Una voce: La vita è. La vita è così com’è, ma quel così com’è rappresenta un costringimento che non vi lascia scampo nel percorso interiore, perché vi costringe a stare dove non vi piace, dove nulla c’è da aggiungere, dove non sapete come collocarvi e dove non trovate più alcun senso per compiere passi verso il vostro progredire.
Senza meta e senza miglioramento, voi chi siete? Ma la vita è, ed ogni atto è compiuto in sé: non ha bisogno di aggiunte, di miglioramenti e quindi nulla da ricevere da voi. Ed ora pensate a quanto vi sentite costretti e vincolati se non potete ridipingere la vita secondo aspettative e aggiustamenti di un “io” che vuole esserci e sentirsi importante; è per voi un’assurdità stare semplicemente fissi in ogni attimo, che è ciò che è, che scorre via senza darvi quel senso che voi cercate per riempirvi.
Il dilemma in cui vi dibattete, qui con noi voci, è se sia meglio essere sempre più progrediti spiritualmente, sempre più “illuminati” e sempre più certi che la via evolutiva possa aumentare il vostro valore individuale, oppure essere sconcertati e gettati nel dubbio. Noi rispondiamo che, quando l’uomo si trova ad affrontare il mistero della vita, non può che esserne sconcertato e disorientato, poiché lo sconcerto viene prodotto dal riconoscere che la vita non è lì per servire a voi, e nemmeno vi appartiene: siete voi che appartenete alla vita.
La vita non è né utile, né non-utile, non distribuisce dispiaceri a qualcuno e privilegi ad altri, non concede opportunità ad alcuni e difficoltà ad altri, poiché le opportunità, le difficoltà, i dispiaceri ed i privilegi sono etichette mentali. Esistono i vincoli ed esistono situazioni di sofferenza ma, ostinandovi per rendere la vita funzionale a voi, quei vincoli vi sembreranno sempre più pesanti e le sofferenze continueranno a mordere.
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Vita è gratuità. E la gratuità non vi arricchisce di alcunché, non vi premia, non vi elogia, ma dà e prende indifferentemente. Ogni uomo sempre riceve possibilità dalla vita che vanno al di là di quanto egli possa percepire, comprendere ed accogliere, poiché l’offerta gratuita ed indifferenziata è sempre al di là di quanto lui riesca ad immaginare. La vita è offerta incondizionata, ma l’uomo non sa cogliere ciò che continuamente viene elargito; ed è soprattutto nel momento in cui decide di impegnarsi e di lavorare su se stesso che non si accorge di ciò che sempre viene distribuito a tutti, proprio a tutti, nonostante i meriti che qualcuno sente la necessità di esibire.
Questo significa che, anche quando l’uomo si impegna ad essere meritevole protagonista del suo processo evolutivo, è sempre immerso in offerte incondizionate che eccedono qualunque sua intenzione o convinzione, e che si collocano proprio dove egli non comprende, perché il suo sguardo è puntato su di sé, sui suoi meriti e sui suoi sforzi, pur dicendosi che non sono abbastanza e che lui non è degno di alcun dono divino. E anche se quell’uomo, lungo il suo cammino evolutivo, riconosce che c’è sempre qualcosa che lo trascende, non fa che ricondurre tutto dentro quell’ambito che egli può comprendere. Pertanto, ciò che è gratuitamente elargito viene ridotto a quello che egli può concepire e che non può che portare le carenze presenti nel suo mondo concettuale.
Nel percorso evolutivo, l’uomo si abitua a spostare la sua attenzione da ciò che lo circonda per puntarla su ciò che lo trascende; a volte si riferisce alla Grazia, a volte parla di Coscienza, altre volte pensa ad un “intervento” divino, visto come accompagnatore o sollecitatore del suo sforzo, ma spesso come risolutore di quello che da solo non riesce a risolvere. Questo vi fa comprendere come lo sguardo umano, distogliendosi dal semplice quotidiano e rivolgendosi al Divino, resti comunque puntato su se stesso, e non su ciò che è altro da sé, persino quando si dice che vuole amare di più gli altri, perché misura quel “dare amore” come “passo in più”; oppure quando si dice che vuole diminuire il proprio egoismo, perché sta puntando lo sguardo sulla sua meta evolutiva.
Comunque ogni uomo si sente il centro di ciò che accade, ed anche nel suo concetto di Grazia vede un aiuto rivolto proprio a lui, cioè un dono per fargli fare il percorso che, pur riproponendosi di realizzare attraverso le sue forze, spesso non riesce a compiere perché si ostacola da solo. È in quel momento che ama raccontarsi di un’entrata in campo del Divino come supporto al suo sforzo di migliorare per essere degno di venir assorbito nell’Uno. Perché il suo concetto di gratuità, nella via del “passo dopo passo”, si esaurisce in tutto quello che lo aiuta, lo agevola, lo premia e che può anche sorprenderlo, essendo sovrabbondante rispetto ai meriti che si attribuisce, ma mantenendo comunque una valenza di supporto.
Mai la gratuità viene riconosciuta come ciò che si presenta casualmente ed indifferenziatamente ora qua ed ora là, non privilegiando, non punendo, non premiando e non aiutando, ma affermando unicamente la neutralità della vita. Può essere un accadimento che viene gradito o atteso, ma può ugualmente essere un accadimento che non viene gradito e non atteso, perché premiare o non premiare, privilegiare o non privilegiare, aiutare o non aiutare sono contrapposizioni concettuali che fanno parte del mondo mentale, però nulla hanno a che fare con la gratuità presente nella vita.
Tutto questo rivela che l’uomo “in cammino” vede nell’“azione” del Divino il fatto di percorrere, e talvolta precorrere, le strade che sta intraprendendo; e anche quando a lui sembra che non le percorra, si rassicura dicendosi che comunque “l’azione” del Divino asseconda sempre il cammino dell’uomo verso il superamento dei suoi umani errori, delle sue insufficienze e verso la fusione con l’Uno. Perché lui sente proprio di aver bisogno di un “intervento” divino che compensi le sue difficoltà, ma in quel bisogno c’è sempre lui, come punto centrale: lui l’elemento di riferimento dell’amore divino e lui presenza necessaria a “quell’azione” che lo eccede. E così, l’uomo si riconferma nell’affermare che: “Io nella vita ci sono come essere amato e devo agire in quella direzione per migliorare, anche grazie all’aiuto del Divino”.
Siamo proprio di fronte ad un discorso di dualismo mentale nel quale Divino ed umano si contrappongono concettualmente – uno quaggiù ed uno lassù, uno sacro ed uno profano – e nel quale l’“io” assume un ruolo così importante da provocare “l’agire” divino in suo aiuto. Ecco perché spesso, nella via evolutiva, sentendosi il centro dell’amore divino e trovandosi in una situazione che giudica molto difficile, oppure dolorosa, l’uomo si senta portato ad intravedere in quella difficoltà o quel dolore un aiuto offerto dal Divino per fargli riconoscere i suoi errori e fargli ritrovare la giusta via, oppure affinché lui possa trovare in quell’aiuto la forza per stare dentro quella dura situazione. Anche qui vediamo l’uomo collocarsi al centro di una realtà che non capisce essere gratuità ed appropriarsi di un ruolo che gli fa affermare: “Questo fatto, seppur sgradito, è l’aiuto del Divino, anche se mi colpisce duramente, e forse proprio per questo lo è, dandomi una scrollata in un momento di difficoltà”.
Questo mostra che l’uomo “in cammino” si crea una propria modalità per circoscrivere il Divino dentro la struttura della propria mente. E lo fa dicendosi che il Divino lo assiste, che il Divino lo protegge, magari provocandolo per amore, e che è accanto a lui anche quando gli fa attraversare momenti difficili. In tutto questo è possibile capire come l’uomo, pur nel momento in cui pensa di trovarsi di fronte alla gratuità, guardi sempre ai propri interessi, guardi sempre al proprio orticello. La gratuità diventa per lui qualcosa che comunque si aspetta dal Divino, perché desidera e spera che Lui gli offra un dono che rientra, come logica, nei concetti che si sono strutturati nella sua mente. Ma, tutto ciò che credete vi venga donato non può che far parte del vostro mondo concettuale, sia pure provocandovi emotivamente, comunque sempre sotto forma di aiuto.
Ed ecco come mai l’uomo, nel riferirsi alla gratuità, introduce il concetto di un Divino umanizzato che, avendo dato vita a soggetti insufficienti, non capaci, è spinto ad aiutarli a superare le loro limitazioni, anche se poi l’uomo si domanda il motivo di questo incomprensibile errore. Quindi, è radicata convinzione che gli uomini “in cammino” non possano fare a meno di una qualche “azione” divina che li conduca verso la realtà profonda, facendoli magari anche attraversare momenti difficili, affinché comprendano. Tutto questo agisce come riflesso nascosto dentro i convincimenti umani, mettendo in evidenza proprio quello che l’uomo si occulta, e cioè che quando parla di gratuità si pone sempre al centro e colloca il Divino come appoggio al suo agire. È questo il maggior fraintendimento sulla gratuità.
Riconoscere l’intima essenza del Divino, che non è pretesa di trasformazione, significa comprendere di essere nulla di tutto ciò che si attribuisce a se stessi, e che anche il Divino è proprio nulla di ciò che gli viene attribuito. Vivere la gratuità significa essere in un totale silenzio interiore che non necessita di porsi domande sul perché essere qui e ora e nemmeno sull’importanza della propria evoluzione, poiché niente c’è più da realizzare, niente più da conquistare, niente c’è più da praticare e niente c’è più da migliorare; in quel niente muoiono domande e risposte sul mistero dell’essere vita nella vita, sul cammino spirituale e sul rapporto col Divino.
Quindi se, ascoltandoci parlare di gratuità, trovate un’assonanza con le vostre categorie mentali, è il dubbio l’unica strada, poiché la gratuità non è ciò che vi alimenta nei convincimenti, non è ciò che vi conferma nelle vostre idee, non è ciò che vi rassicura o che vi aiuta o che vi dà un senso. Gratuità non è quello che pensate; gratuità è ciò che vi provoca, ciò che vi svuota mentalmente e ciò che irride ogni tentativo di rendere la gratuità un vostro concetto mentale.
Ciclo gratuità della Via della conoscenza
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“Gratuità è ciò che vi provoca, ciò che vi svuota mentalmente e ciò che irride ogni tentativo di rendere la gratuità un vostro concetto mentale.“
In questa chiusa viene ribadita la natura provocatoria dell’insegnamento della VDC che vuole condurre oltre la mente.