Dogen, Daigo: l’illuminazione provvisoria 11

Tratto dal libro: Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, a cura di A. Tollini, Ubaldini editore.

[11] Il maestro Meiu di Keichô, fece chiedere a Kyôzan464 da un suo monaco:” Per le persone di questo momento, l’illuminazione è provvisoria?465
Kyôzan disse: “Non è che non ci sia l’illuminazione, ma (così) si va a finire nella seconda testa, come si fa?”466

[Kosen Nishiyama -S.Oriali, così traducono] “Il risveglio esiste, ma è facile fraintenderlo.”

Il monaco tornò e riferì al maestro Meiu. Il maestro Meiu a ciò assentì profondamente. Quello che qui si intende con “questo momento” è il “questo momento” delle varie persone. Anche noi pensiamo mille volte al passato, al futuro e al presente, ma ciò è l’adesso, proprio questo momento. Lo stato delle persone è comunque quello del momento attuale.
C’è chi fa della pupilla degli occhi l'”ora”, e chi fa delle narici del naso l'”ora”.467 Quindi, si studino in tranquillità queste parole di Kyôzan al fine di trasformare il nostro petto e di trasformare la nostra testa.

Recentemente, in Cina, monaci stupidi dicono:” L’illuminazione della Via è il vero scopo”. Dicendo così, vanamente si aspettano l’illuminazione. Tuttavia, ciò non è rischiarato dallo splendore dei Buddha e dei patriarchi. Sebbene ci si dovrebbe attenere soltanto a un vero buon maestro, si batte la fiacca e si inciampa qua e là. Se anche si presentasse di fronte un vecchio Buddha non si riuscirebbe a risvegliarsi.

464 Kyôzan Ejaku (840-916).
465 Letteralmente “illuminazione provvisoria”, ma quello che si vuole intendere qui è piuttosto se l’illuminazione sia un “oggetto acquisibile e delimitato temporalmente“, quindi non sempre e universalmente presente, cioè “provvisorio” nel senso che prima non c’è, poi una volta acquisita, c’è. Quando si concettualizza l’illuminazione, e si fa di essa un oggetto, ci si allontana da essa. Il termine giapponese utilizzato è karu che significa “provvisorio”, “temporaneo”, “preso a prestito, quindi non definitivo”.

466 “Andare a finire (cadere) nella seconda testa” significa, trattare l’illuminazione come qualcosa di estraneo alla nostra natura. Abbiamo forse bisogno di una seconda testa? Quella che abbiamo non ci basta? Così, abbiamo bisogno di acquisire una cosa detta illuminazione, sebbene già ci viviamo immersi dentro? Nishijima Gudo Wafu & Cross Chodo, op.cit., vol.2, p. 89, traducono: “‘Does even a person of the present moment rely upon realization, or not?’ Kyozan says: ‘Realization is not nonexistent, but how can it help falling into the second consciousness?'”


COMMENTO (Tollini)

[11] Questa volta è il maestro Kyôzan a parlare. Gli viene chiesto se l’illuminazione sia “provvisoria”, cioè se sia delimitata temporalmente, se, quindi, sia da considerare come qualcosa che ha un inizio e una fine e che perciò possa venir acquisita e anche perduta. In questo senso, questa domanda rimanda a quella formulata da un monaco al maestro Hôchi: “Quando un uomo che ha la grande illuminazione si smarrisce, cosa succede?”.

Secondo questa domanda, si suppone che l’illuminazione sia “provvisoria” e che dopo essere stata acquisita possa essere perduta, quindi mantenuta per un tempo delimitato.

Il maestro Kyôzan risponde che sì, l’illuminazione esiste, ma considerarla provvisoria è come cadere nella seconda testa. È come dire che l’uomo, pur avendo già la propria testa ne necessita di un’altra. L’illuminazione vera riguarda la prima testa, quella che già abbiamo e quella provvisoria la seconda, quella che vorremmo porre al posto della prima. È, evidentemente una metafora per dire che considerare l’illuminazione come provvisoria o acquisibile è assurdo, come volersi mettere una testa nuova.

Il problema dal punto di vista di Dôgen riguarda la prima parte della domanda che era stata formulata in questo modo: “Per le persone di questo momento, l’illuminazione è provvisoria?”. Cosa significa “le persone di questo momento”? Cosa si intende per “questo momento”? Noi siamo questo momento del tempo, e il passato e il futuro non sono noi di questo momento. Allora, chi è il noi di questo momento? Un illuminato o una persona nell’illusione? E cosa era nel momento appena passato, e, ancora, cosa sarà nel momento subito dopo? Affinché ci sia una illuminazione provvisoria è condizione indispensabile che vi sia una persona che ha durata nel tempo. Ma se noi siamo questo singolo attimo, cosa significa illuminazione provvisoria? Evidentemente non ha più senso.

Porsi l’obiettivo di giungere all’illuminazione è una aspettativa falsa. Ciò implicherebbe un percorso che ha durata temporale, impiegando sforzi in una pratica volta al fine di acquisire qualcosa di acquisibile e desiderabile (l’illuminazione). Ma ciò non rientra come sappiamo nelle concezioni di Dôgen.

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Leonardo P.

Doghen insiste sull’ illusorietà del divenire: non esiste una illuminazione provvisoria perché ammetterla significherebbe accettare che il fuoco diventa legna, che esiste un soggetto che diviene: l’uomo di questo momento che dopo cambia ed è diverso.

Non esiste l’uomo ma una consapevolezza relativa che collega sentire a sentire questo genera l’illusione della durata.

Ora quella consapevolezza fa capo a un soggetto? No; direi piuttosto a determinato grado di consapevolezza/comprensione dell’Assoluto.

Catia Belacchi

“Per le persone di questo momento l’illuminazione è provvisoria”?

In questo momento, ora, ciascuna persona ha un grado di illuminazione pari al suo sentire, pari alle comprensioni acquisite.
Una volta acquisite non sono più provvisorie tuttavia a quelle già strutturate si aggiungono altre comprensioni e quindi si amplia il sentire /illuminazione.
In questo caso, fino al completamento del sentire di coscienza l’illuminazione è provvisoria nel senso che va ampliandosi, nel divenire.
Nell’eterno presente l’illuminazione è già per tutti.

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