Bendōwa, Dōgen: essere in zazen è essere unificati 5

Fonti: Il cammino religioso, Bendowa, Stella del mattino. Tollini, Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, Mediterranee.

[5] [Traduzione Watanabe-Stella del mattino] Trattandosi così della vita nel suo aspetto originario, ogni comportamento dell’uomo di zazen rende chiaro il modo di essere fondamentale e va creando, momento per momento, un rinnovato modo di vivere. Allora, dato che tutto ciò che esiste e ciascuna cosa, una per una, mostrano la forma autentica così come è, gli elementi del mondo naturale che noi di solito consideriamo oggetti, la terra, la vegetazione, i muri, le pietre, persino le pietre in quanto pietre, parlano con vigore di quel modo di essere.

Quando ne riconoscono la voce, all’udire quel discorso, tutti comprendono sicuramente fino in fondo che il sé vive solamente il sé originario e nient’altro*. Mentre il sasso proprio come sasso, e io proprio come me, ci incontriamo collaborando reciprocamente sull’identica base del vivere insieme il modo fondamentale di essere**, essendo un tutto armonico e manifestandosi sempre di più*** il modo di essere originario, questo zazen si diffonde in tutto il mondo, per l’universo intero.

Tuttavia, questo zazen quando è praticato come puro zazen, non comporta neppure la consapevolezza: «Ora io sto facendo zazen». Infatti bisogna soltanto affidare completamente il proprio corpo e la propria mente alla forma stessa dello zazen. Non solo; riguardo al risultato dell’aver fatto zazen non vi è nemmeno l’acquisizione di un’esperienza particolare. Se pensassimo, come avviene di solito, di ottenere un qualche effetto come risultato del fare zazen, questo sarebbe la normale modalità del pensiero umano.

Invece non è possibile misurare con un’unità di misura stabilita in base a criteri umani il modo di essere di tutta la realtà, comprendente il sé fondamentale. Per esempio, durante zazen, se si ode un qualsiasi suono, non appena viene percepito dall’orecchio, immediatamente si originano eventi di vario tipo. Non bisogna pensare che lo zazen sia non avere alcuna reazione, una condizione di incoscienza o di insensibilità. Quel suono, che non è altro che un suono, fa solamente vibrare l’orecchio in modo chiaro, e non porta con sé alcun disturbo. Allo stesso modo, una determinata cosa, essendo quella cosa stessa nella propria forma completa, diffonde attivamente il modo di essere fondamentale e lo presenta chiaramente senza sosta.

Anche le piante, come pure tutta la terra, facendo risplendere la luce della verità, espandono per ogni dove quel modo di essere; così ognuno vivendo il proprio essere nel modo proprio, quindi con tranquilla naturalezza, esattamente così rende eloquente testimonianza della vera realtà.
Quando si è fondamentalmente se stessi, assimilati alla natura25 così com’è, allora non vi è neppure frattura tra me e “altro da me”* e questo insieme armonico non ha sosta neppure per un istante.

Per questo, l’essere in zazen è l’unione* con ogni modo di essere, l’unione con tutto il tempo; al proprio zazen è unita l’eternità detta presente passato e futuro. Di conseguenza, il momento presente e l’eternità, l’essere che sono e tutto il resto, non si distinguono; all’interno di questo zazen compaiono esistendo insieme.

Questo non si limita al momento in cui facciamo zazen. Come a un colpo dato alla campana il suono vibra senza interruzione per l’aria, così pure, anche prima di essere colpita, la campana, semplicemente essendo una campana, emette il suo suono**.

Allo stesso modo, in ogni aspetto della vita di colui che fa zazen continua a farsi sentire un limpido suono. Inoltre, vivendo in ogni aspetto, genuinamente, il proprio essere fondamentale come direzione e come forma concreta della propria vita, momento per momento si crea un mondo nuovo di cui nulla si può prevedere in anticipo.

Lo zazen che proprio ora noi facciamo, la cui influenza raggiunge ogni dove, è di una tale vastità che anche se tutti coloro i quali nel passato hanno praticato questo zazen, unendo le loro forze, tentassero di tesserne le lodi, non riuscirebbero a descriverlo. Né, a maggior ragione, è misurabile con criteri convenzionali.

25 Nella prima edizione avevamo scritto “Natura”, maiuscolo.

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