Fonti: Il cammino religioso, Bendowa, Stella del mattino. Tollini, Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, Mediterranee.
Questo materiale è finalizzato alla formazione dei monaci del Sentiero contemplativo e non ha altra finalità. Il curatore interviene per interpretare Dogen alla luce delle comprensioni e interpretazioni proprie del Sentiero e non è mosso da alcuna intenzione esegetica.
❓ 1 «È stato appena detto che questo zazen, vasto e profondo in modo addirittura insondabile, esercita un’influenza su tutte le cose26; però, per chi ancora non conosce il significato di questa verità, nell’insegnamento di Śākyamuni sono proposti vari tipi di pratica religiosa, quali: bruciare e offrire incenso, inginocchiarsi con la fronte a terra, ripetere il nome del buddha Amida27, leggere i testi tramandati dagli antichi. Allora, perché solamente zazen è ciò che inviti a praticare?»
Risposta «Questo perché fare zazen è l’ingresso al vivere l’esistenza del proprio vero essere».
26 Riferimento alla frase di poco precedente: “Lo zazen che proprio ora noi facciamo, la cui influenza raggiunge ogni dove…”. Quello che chiamiamo “mondo esterno” (ma che comprende anche noi) non è le cose da noi percepite e pensate. Il nostro zazen, lasciando scomparire queste fantasie, permette all’intera realtà di manifestarsi liberamente, senza sovrapposizioni mascheranti o limitanti.*
27 Pronuncia giapponese del nome indiano del buddha Amitabha (“buddha della luce infinita”), cfr. supra, n. 24.
*In altri termini: non essendoci focalizzazione e identificazione né con gli stimoli interni né con quelli esterni, lo stare in zazen è caratterizzato da una profonda disposizione all’ascolto e all’osservazione passivi e neutrali: tutto scorre e nulla riguarda un soggetto che in nessun modo viene attivato o eccitato.
Questa disidentificazione di fondo crea una disposizione interiore tale per cui la realtà interiore e quella esteriore scorrono e si manifestano nella loro essenza in quanto non velate, non censurate, non temute da alcuna soggettività.
Se non c’è l’intervento di una soggettività, il reale è Ciò-che-È, ma anche in presenza di una connotazione soggettiva il reale è Ciò-che-È, questo perché il praticante/contemplante esce da ogni logica interpretativa e semplicemente lascia che il reale sia.
Nella pratica dello zazen tutto è consegnato a se stesso e tutto è solo se stesso: questo rende lo zazen una pratica universale adatta all’evoluto e al meno evoluto perché tutti possono semplicemente Essere. Va tenuto in conto, però, che Essere non è un monolite e non ha un significato univoco, è un’espressione che ha molti significati e non è colta nella stessa profondità e implicazione dall’evoluto e dal non evoluto.
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❓ 2 «Perché solo zazen è la vera porta d’ingresso dell’esistenza?»
Risposta «Śākyamuni, conformandosi allo zazen, imparò a fondo la realtà del vivere in modo assoluto l’essere fondamentale. Quindi trasmise questa realtà sotto forma di insegnamento. Ciò non fu un’invenzione di Śākyamuni, ma, poiché è una verità eterna che supera passato presente e futuro, è stata tramandata come la vera porta. Questa trasmissione non è avvenuta tramite le scritture o la dottrina; è avvenuta da un uomo in carne e ossa a un uomo in carne e ossa, proprio durante la vita quotidiana. All’interno di questa tradizione, poiché coloro che, in India e in Cina, vissero nel vero la realtà dell’essere vivi si dedicarono realmente allo zazen, questo è il giusto modo di essere che oggi indichiamo».