Il testo del secondo capitolo.
[Traduzione Forzani-Mazzocchi] Sappi: l’essere di ogni cosa che è, non è l’essere di essere-non essere. Ogni cosa che è, è verbo di Budda, è lingua di Budda. È la pupilla dei budda e patriarchi, è la narice dei monaci.
[→uma] “L’essere di ogni cosa che è, non è l’essere di essere-non essere“. L’Essere di ogni-cosa-che-È è oltre ogni discernimento, speculazione, discussione, contrapposizione, dualismo, è oltre l’ambito della mente e del pensiero e la sua esperienza e sperimentazione richiede un balzo oltre tutto questo, una disconnessione radicale di questo livello di approccio.
Essere-non essere è l’ambito speculativo e filosofico, Dogen ci chiamo all’esperienza, un registro completamente altro.[/uma]
Inoltre l’essere che ogni cosa che è indica, non è l’essere di chi dice: inizio l’esperienza dell’essere, oppure: raggiungo la piena consapevolezza dell’essere, oppure: faccio esperienze meravigliose dell’essere.
[→uma] L’Essere di ogni-cosa-che-È non ha a che fare con un soggetto che inizia, raggiunge, sperimenta: se c’è un soggetto, con le sue inevitabili identificazioni e con i suoi scopi, non c’è l’Essere di ogni-cosa-che-È: è nell’atto contemplativo che questo emerge come stato di coscienza, di sentire, quando la scena è libera dall’ingombro della soggettività. Allora l’Essere di ogni-cosa-che-È sorge naturalmente, senza atto di volontà, senza finalità e senza scopo.
Sono piani di esperienza differenti quelli che vedono qualcuno che inizia, raggiunge, sperimenta e quello di chi semplicemente “sente”: il sentire è una comprensione del Reale/reale (il Reale come Essere e il reale come divenire), una “qualità” acquisita dal corpo della coscienza, qualcosa di molto differente dal pensare e che abbisogna che il pensare, il provare e l’agire fluiscano come le onde del mare che non intaccano la sua profondità. Il sentire è gli abissi del mare e convive, nell’esperienza concreta, con le onde della superficie.[/uma]
Nemmeno è l’essere causato della relazione causale, né l’essere libero della fantasia che vaga.
[→uma] L’Essere di ogni-cosa-che-È non è interno al meccanismo di causa ed effetto, non sorge da un impulso che lo origina, né è il frutto della fantasia di una mente. Non è provocato/generato all’interno delle leggi del divenire, né è il frutto di una soggettività: esiste a prescindere, ma questo lo vedremo più avanti.[/uma]
Non ha a che fare né con centro né con periferia, né con essenza né con forma. Così è! Orbene, il senso originario di ogni cosa che è del tutto che vive, non sta nel raggiungere una forza maggiore con le proprie azioni, non scaturisce da volontà o capriccio, non è accordo con la norma, non è potere miracoloso, né pratica illuminata.
Se ogni cosa che è del tutto che vive consistesse nel potenziare se stesso con le proprie azioni, o nel risultato di causa ed effetto che viene dall’accordo con la norma, allora anche la testimonianza della via di tutti i santi, e il risveglio di tutti i budda, perfino la pupilla di budda e patriarchi, sarebbe una forza maggiore procurata con le proprie azioni, oppure il risultato di causa ed effetto che viene dall’accordo con la norma. Così non è.
[→uma] L’essere-di-ogni-cosa-che-È non è condizionato dalle logiche e leggi del divenire, né è soggetto all’esercizio della volontà personale o all’accordarsi con la norma: non è dipendente dallo sviluppo personale o dall’ottemperanza degli archetipi sociali, precede e trascende tutto questo. [/uma]
Il mondo intero non ha granellino di polvere estraneo a sé, lì dove sei non c’è un altro te stesso. È detto «L’uomo ancora non sa tagliare la radice sul momento; (il superamento dei condizionamenti, ndr) quando verrà il tempo in cui riposare da questo affanno delle opere?»[1]
[Traduzione Tollini]. L’intero mondo è completamente privo di contaminazioni che vengono dall’esterno, proprio qui e ora non c’è una seconda persona. Ciò perché: “Non si conoscono ancora persone che abbiano tagliato direttamente le radici, quando mai si placa la coscienza agitata creata dal karma?” (Il significato della frase è che la realtà è incontaminata – infatti è illuminazione – e sono le persone ordinarie a vederla contaminata. Dal commento di Tollini)
“Seconda persona”: la persona illuminata è la stessa di quella ordinaria, per intendere che l’io illuminato non è una seconda persona, ossia persona diversa, rispetto all’io ordinario.
[→uma] La realtà è semplicemente quello che è: un monte è un monte ma nella mia percezione/interpretazione/esperienza può divenire un incubo o una gioia, si può portare dietro un treno di reazioni sui diversi piani dei corpi transitori: l’esperienza dell’essere-di-ogni-cosa-che-È, esperienza contemplativa, è tale quando abbandona/lascia/disidentifica il percettore dalla reazione dei suoi corpi.
Il percettore, libero dal condizionamento, sperimenta l’esperienza contemplativa e l’essere-di-ogni-cosa-che-È naturalmente viene sentito. Sottolineo “sentito”.
C’è un balzo dalla dimensione del percepire qualcosa di esterno che colpisce i sensi dei vari corpi – il monte – e il sentire la situazione presente: questo sentire è attivato da una percezione ma non è a essa vincolato e sottoposto, è il flash percettivo che apre su di una esperienza interiore che vede l’esprimersi di quella vibrazione che denominiamo “sentire”.
Le percezioni appartengono a un range vibrazionale, il sentire a un altro range, sono mondi molto differenti costituiti di materie e di vibrazioni in successioni sempre più rarefatte e alte, ecco perché parliamo di un “balzo”: da una dimensione si passa indubbiamente a un’altra. Una cosa è il monte percepito, un’altra il monte sentito: sempre monte è, ma non nel suo riverbero interiore.
Affinché questa dimensione altra possa manifestarsi, è necessario che non vi sia vincolo che lega alle pastoie del divenire e della soggettività a esso relativa: l’esperienza dell’essere-di-ogni-cosa-che-È accade in assenza di soggettività, di adesione a essa.
“Lì dove sei non c’è un altro te stesso”: ci sono due livelli, abbiamo detto, di percepire/sentire, ma quando senti c’è solo il sentire che domina e abbraccia unitariamente anche le reazioni al percepire. In altre parole: il percepire eccita i sensi e attiva il sentire unitario che comprende in sé anche quella eccitazione nei corpi transitori; il sentire non sarebbe unitario se non comprendesse ogni sfumatura appartenente al divenire come all’Essere.
“Attiva il sentire unitario“: espressione che va precisata. Non è il sentire unitario che viene attivato, che ora c’è e prima non c’era, è la consapevolezza del sentire unitario che viene attivata: c’è un balzo nel posizionamento della consapevolezza. Il sentire unitario esiste a prescindere da dove la consapevolezza è focalizzata, è l’essere-di-ogni-cosa-che-È. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] L’essere non è l’essere suscitato che viene fuori secondo capriccio, perché il mondo intero non tiene nulla in riserve occulte*[2]. Dire che il mondo intero non tiene nulla in riserve occulte, non significa che il mondo che ha tutto, questo è l’essere. Questa è la visione pervertita di chi è fuori dalla via e afferma: «Il mondo intero è io».
[Tollini] L’ u (“essere”) non nasce per effetto di cause condizionate o illusorie, poiché in tutto il mondo nulla è mai stato nascosto. Il fatto che in tutto il mondo nulla è mai stato nascosto non necessariamente significa che l’intero mondo sia u. Considerare tutto il mondo come “mio essere” è una visione falsata non buddhista.
[→uma] *“Il mondo intero non tiene nulla in riserve occulte”: esiste una dimensione che si può chiamare “mondo intero”?
Il mondo quale? Quello fisico, quello astrale, quello mentale, quello akasico (o superiore)? Il mondo nei suoi mille aspetti non è “Essere” per la semplice ragione che Essere è un livello di creazione/percezione.
Da chi è creato il mondo feriale? Da Essere. Da chi è percepito? Da Essere. Se sento il monte sento qualcosa che il sentire stesso crea: è così che balziamo all’origine di ogni cosa e sentiamo l’essere-di-ogni-cosa-che-È.
Avremo modo di tornarci, ma se noi ci limitassimo a considerare l’essere-di-ogni-cosa-che-È come un livello della percezione – per quanto relativo al sentire più che al percepire – non coglieremmo l’interezza unitaria di esso.
L’essere-di-ogni-cosa-che-È è il livello della creazione/percezione. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] È detto che non è l’essere di chi raggiunge la piena esperienza dell’essere, perché esso permea e il passato e il presente.
[Tollini] Non si tratta di un u che è l’essere attuale, poiché si estende nel passato e si estende nel presente. 76
[→uma] L’Essere è sentire atemporale, aldilà del tempo che è e che diviene. Sarebbe da discutere su come evolve il sentire (e se qui si sta parlando di un sentire che evolve), ma non qui, ci accontenteremo di dire che non evolve lungo linee temporali. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Non è l’essere di chi inizia l’esperienza dell’essere, poiché non gli manca neppure un granellino di polvere[3].
[Tollini] Non è un u che ha un inizio, poiché non riceve neppure una sola contaminazione.77
[→uma] È l’esperienza fuori dalla dimensione dello scorrere, di ciò che inizia e ha una fine, come è fuori dall’avere un fine, uno scopo. È sempre esistito e sempre esisterà perché è Eterno Presente (EP), una dimensione propria di Essere, come lo scorrere è proprio di divenire.
In questa dimensione esiste il seme in condizione di EP, esiste il germoglio come EP, esiste l’alberello come EP, esiste l’albero adulto come EP, ed esiste l’albero vecchio e sterile come EP. In questa logica di sentire si può comprendere perché la legna che brucia non diventa cenere, siamo su un altro piano di realtà, quello accessibile al contemplativo.
Il sentire non sente qualcosa come proveniente e sfociante, sente come essente: la mente intende ogni cosa come proveniente da e sfociante in, il sentire no. Solo al livello del sentire possiamo parlare di essere-di-ogni-cosa-che-È, di Ciò-che-È, di natura autentica.
Il monte è un monte brulicante di vita che diviene, o è un monte brulicante di vita-che-È: cambia solo lo “sguardo”, il come il monte viene sentito. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Non è l’essere di questa o quella cosa, poiché l’essere unisce e abbraccia.
[Tollini] Non è un u che [si identifica] con le singole entità, poiché è onnicomprensivo.78
[→uma] Bisogna intendersi: l’Essere è tale perché contiene ogni aspetto del divenire, ogni singolo grano di polvere.
Ogni creatura, o grano di polvere, sono sentiti come un insieme unitario. Là dove la mente è l’organo che divide e contrappone, il piano del sentire è quello che coglie l’insieme unitario.
Ma nell’Essere ogni creatura È come cifra originale e non replicabile, e così per ogni grano di polvere.
L’unità è sentire la complessità come una: ogni creatura è complessità e chi la sente coglie l’insieme e la parte: il senso di fusione che a volte si avverte è propedeutico a una fase più matura, è proprio di un processo: nella contemplazione dell’unità viene sperimentata la complessità del contemplato, complessità che È, senza tempo, disgiunta dal suo divenire sebbene anche quello venga pienamente sentito.
Essendo sentire unitario, vengono sentiti sia Essere che divenire simultaneamente. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Nemmeno è l’essere che non ha inizio; infatti è questo che cosa è che viene? (È Ciò-che-È, ndr)
[Tollini] Non è un u che è un essere senza inizio, poiché è: “chi è costui che viene così?”79
[→uma] Non è questione di inizio o non inizio ma solo di Ciò-che-È: chi conosce la comprensione implicita nell’esperienza del Ciò-che-È, sa che con essa finiscono tutte le speculazioni e tutti i discorsi perché dal piano del divenire/mente si passa al piano del sentire/Essere. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Non è l’essere che uno comincia a far essere; infatti proprio il mio cuore ordinario, questo è la via [4].
[Tollini] Non è un u che è un essere con un inizio, poiché la propria mente della quotidianità è la Via.80
[Carl Bielefeldt traduce] Non è l’esistenza di qualcosa che è appena nato per la prima volta, perché la nostra mente ordinaria e sempre presente è sinonimo di Via.
[→uma] L’Essere di cui si parla non ha un inizio in me, è l’Essere che determina i miei passi, che è i miei passi ordinari e quotidiani, è la Via che si srotola ogni giorno e che prende la forma che chiamo “me”. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Sappi che dentro ogni cosa che è c’è il tutto che vive: lì ti visita la gioia e lì t’imbatte la difficoltà. Quando comprendi così ogni cosa che è, allora ogni cosa che è diviene corpo limpido e liberazione.
[→uma] L’Essere di ogni-cosa-che-È si manifesta nella gioia come nel dolore, quando comprendi questo sei libero dall’identificazione con gioia e dolore, libero dal divenire e lo puoi vivere come Ciò-che-È. [/uma]
Note Forzani-Mazzocchi
[1] Citazione da Shodoka – Il canto del risveglio, opera del maestro cinese Yoka Genkaku.
[2] Parole del maestro Sekiso Keisho, citate nel Keitoku dentoroku, 15.
[3] Espressione del maestro Isan – Dentoroku 9
[4] Espressione del maestro Tozan. La norma non è potere miracoloso, né pratica illuminata.
[Tollini] Si deve proprio sapere che, in tutto l’esistente è difficile incontrare esseri senzienti.81 Quando si comprende tutto l’esistente in questo modo, allora tutto l’esistente attraversa il corpo e lo lascia cadere.
Note Tollini
76 La realtà non è solo quella che si manifesta ora, ma si estende anche nel passato oltre che nel presente.
77 Waddell, N. e Abe M.: ciò che ha un inizio lo deve a una causa e quindi è contaminato. Ciò che è sempre non lo è.
78 L’essere non è questo e quello, ossia le singole manifestazioni dell’essere, ma le comprende tutte.
79 Mentre sopra ha detto che l’essere non ha un inizio, qui dice che però non è privo di inizio perché l’essere inizia con la comprensione. La frase “chi è costui che viene così?” indica appunto il momento della comprensione, che quindi ha un inizio.
80 Di nuovo, l’essere non ha inizio poiché l’essere/illuminazione non inizia quando termina la visione della realtà ordinaria. L’essere/illuminazione è la nostra mente ordinaria, quindi è fin dall’inizio. Quello che Dôgen vuole dire è che l’essere-u non ha inizio, ma neppure ne è privo, cioè è al di là di inizio e non inizio.
81 Frase ambigua. Waddell, N. e Abe M., op. cit.,2002, p.63, traducono:”You must know with certainty that within entire being it is impossible, even with the greatest swiftness, to encounter sentient beings”. Mizuno, op. cit., p. 78, legge: “”In tutto l’esistente gli esseri senzienti non possono incontrarsi tra di loro”. Yasutani Hakuun, Shôbôgenzô sankyû. Busshô, Shunjûsha, 1972, p. 108, interpreta che tutto l’esistente e gli esseri senzienti non possono incontrarsi. Cioè, la natura-di-buddha e gli esseri senzienti non possono incontrarsi poiché sono una sola cosa, e non due cose separate. Grosnick, op. cit., p. 269, traduce:”You should understand directly that no matter what you do you do cannot meet sentient beings within all-being”. A me sembra di poter interpretare che in tutto l’universo non si possono incontrare esseri senzienti, nel senso di esseri ordinari, cioè non illuminati. Una espressione colorita per dire che nell’essere/illuminazione non vi sono esseri senzienti, cioè tutto l’esistente attraversa il corpo e lo lascia cadere.
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
Non è facile commentare perché si parla.di stati interiori che credo di riconoscere ma a cui mancano linguaggi personali per definirli. Grazie per questa elaborazione così articolata.
“Il mondo intero non ha granellino di polvere estraneo a sé, lì dove sei non c’è un altro te stesso“
Non esiste “passato” e “futuro” nel senso di qualcosa che “era e ora non c’è più” e “qualcosa che sarà e non è ancora”.
Entrambi sono fotogrammi che esistono eternamente nell’Eterno Presente.
Ogni fotogramma è un’istantanea del Cosmo, una determinata “situazione cosmica” (nel senso inteso dal CF77), situazione cosmica che non è oggettiva ma esiste in quanto sentita da una coscienza che si collega a essa, e nell’ET sono tutte presenti contemporaneamente.
La situazione cosmica è in sé perfetta essendo una totalità, in quanto non “proceda da” e non “va verso a”, sola la consapevolezza che lega situazione cosmica a situazione cosmica genera scorrimento.
Per questo viene detto: “Il mondo intero non ha granellino di polvere estraneo a sé“, ovvero ogni situazione cosmica è in sé perfetta.