Da: Il libro di François, Cerchio Firenze 77. I maestri dicono che nell’eterno presente deve esserci tutto. Se veramente c’è una possibilità di scelta, per un individuo, deve esserci tanto la scelta vissuta quanto quella scartata, e devono essere identiche in se stesse.
Cioè, se da un bivio e per giungere a un certo punto ci sono due strade, tu ne imbocchi una sola, ma non puoi dire che l’altra non c’era perché tu, al bivio, hai imboccato questa. Le storie debbono esserci entrambe, identiche – nel senso della tua presenza nell’una e nell’altra – tanto identiche che, viste dal di fuori, nessuno sa quale delle due l’individuo ha scelto. La scelta dell’una o dell’altra riguarda solo la sua consapevolezza. Lui solo lo sa.
Quindi nell’eterno presente c’è tutto, si diceva. Un soldato va in guerra e decide di uccidere o di non uccidere (ammesso che abbia questa possibilità di scelta); siccome Dio non può divenire, non può accrescersi in funzione delle decisioni dell’uomo, affinché sia vera quella possibilità di scegliere deve esserci, nell’eterno presente – cioè nello stato in cui è Dio – tanto l’azione del soldato che uccide quanto l’azione del soldato che decide di non uccidere.
Se non ce ne fosse nessuna delle due, che succederebbe? Arrivato a quel punto il soldato decide, e vi sarebbe qualcosa di nuovo che, a quel punto entrerebbe in Dio. Vorrebbe dire che Dio era mancante, prima di quel punto, di quel qualcosa di nuovo che è l’azione decisa dal soldato, è vero? Ma questo non è possibile, perché Dio deve comprendere tutto e deve quindi esistere sia la via che vede l’uomo scegliere di uccidere e sia la via che lo vede scegliere di non uccidere, e tutte e due debbono esistere uguali, identiche, perché quando nell’illusione del divenire l’uomo arriva a quel bivio deve poter scegliere tanto l’una quanto l’altra soluzione, indifferentemente. Ma per poter scegliere indifferentemente debbono esistere tutte e due allo stesso modo.
Quindi nell’eterno presente devono esistere le due versioni; ma i maestri hanno precisato che non si deve intendere l’eterno presente come un canovaccio, come una storia già scritta che l’uomo si limita a seguire, a eseguire, senza esserne protagonista; ma deve essere inteso piuttosto come un archivio, un deposito, un dossier di tutto quello che è vissuto, di tutto quello che esiste.
In questo archivio che esiste al di là del tempo, c’è già quello che nel tempo non si è ancora manifestato, non è ancora accaduto. Si tratta infatti di due dimensioni diverse: una è quella del tempo, che vede le cose in successione, l’altra del non tempo, in cui tutto è presente nello stesso attimo eterno. Sono due cose diverse, per cui là dove non v’è il tempo c’è il deposito, il dossier di quello che nel tempo, invece, succede volta a volta.