[Traduzione Forzani-Mazzocchi] Budda dice: «Aspirare a conoscere la vera forma della natura autentica, in verità è osservare la relazione del tempo reale. Quando il tempo viene, la natura autentica si fa presente»[1].
[1] Un’espressione del maestro Hyakujo, che riprende un verso del Nehan gyo – Sutra del nirvana, 28.
[Carl Bielefeldt traduce] Il Buddha disse: “Se desideri comprendere il significato della ‘Natura di Buddha’, guarda semplicemente le condizioni associate al momento. Allora, quando arriverà il momento giusto, la Natura di Buddha si manifesterà davanti ai tuoi occhi.”
[Forzani-Mazzocchi] Ora aspirare a conoscere la vera forma della natura autentica non è solo un semplice conoscere, ma è aspirare a metterlo in pratica, è aspirare a testimoniarlo, è anche aspirare ad annunciarlo, è anche aspirare a dimenticarlo. Questo annunciare, mettere in pratica, testimoniare, dimenticare, fraintendere, non fraintendere eccetera, è pur sempre relazione del tempo reale. Osservare la relazione del tempo reale è osservare con in mano la relazione del tempo reale. Usando il fazzoletto e il bastone[2] è il reciproco osservare di te e degli strumenti.
[2] Nel testo si parla in realtà del bastone che i monaci usavano per il viaggio e la questua e dello scacciamosche, un attrezzo fatto con peli di cavallo che un tempo serviva appunto a tener lontano gli insetti e che oggi ha una funzione puramente decorativa nelle cerimonie religiose. Siccome indicano oggetti di uso comune, abbiamo pensato di tradurli con nomi comuni, anche se una sfumatura va perduta.
[Carl Bielefeldt] Ora, l’affermazione “Se desideri comprendere il significato della ‘Natura di Buddha’” non significa semplicemente avere conoscenza di essa. Piuttosto, equivale a dire: “Se vuoi metterla in pratica, se vuoi sperimentarla direttamente, se vuoi ‘vederla’,” o addirittura “Se vuoi liberarti dal pensiero di essa.” E dare voce a questo, metterlo in pratica, sperimentarlo direttamente, abbandonare i pensieri su quanto si sia precisi o imprecisi riguardo a esso, e così via, sono condizioni associate al momento. Contemplando le condizioni associate al momento, contempliamo attraverso le condizioni stesse. È il nostro fare contemplazione reciproca tramite hossu e bastone da viaggio, per esempio.
[→uma] Si può essere a conoscenza che esiste una natura autentica e fermarsi lì, o si può essere pronti per confrontarsi con essa e incarnarla/manifestarla per il possibile a sé: in questo secondo caso si avvia un processo che è un autentico corpo a corpo e che coinvolge tutta l’esistenza e ogni momento di essa. In ogni momento, in quel dato frangente e condizione cosa è natura autentica e cosa velo su di essa, frattura con essa?
In questa data condizione, qualunque sia, esiste una situazione che è relazione con una persona, un oggetto, uno stato interiore o esteriore: è nella dinamica di questa relazione, di questo muoversi di forze interiori stimolate da una reazione o da una intenzione mia che la questione della natura autentica compare: il mio reagire è Ciò-che-È? La situazione è Ciò-che-È? L’altro è Ciò-che-È?
Il contemplante è senza sosta interrogato dalla natura autentica che È in questo istante, o che scompare travolta da una identificazione. Ogni momento della sua vita è questo confronto totalizzante con il Ciò-che-È, con la realtà autentica che splende in quel momento, che può essere o non essere: il contemplante non contempla a suo comodo, è strumento della contemplazione, è colui/ei che alla contemplazione si è votato, ed è anche colui che, in dati frangenti, ha bisogno di allontanarsi dalla contemplazione perché essa è una sinusoide, non una linea retta.
Il centro della questione è che ogni fatto del presente interpella, pone in scacco, libera un potenziale contemplativo, suscita una ribellione: qualunque cosa accada, qualsiasi sia l’intenzione o la reazione, siamo all’interno di un corpo a corpo in cui il reale è totalmente interiorizzato, la separazione io/tu, dentro/fuori superata, il fuoco è rappresentato da questo vivere immerso nell’atto contemplativo e nell’essere natura autentica.
Il contemplante non è altro dalla natura autentica, è essa e la sente operare e attrarre e respingere: la natura autentica è una forza e il contemplante un fascio di forze: si intrecciano senza fine, indistinguibili nell’intimo: l’esistere diviene quel processo di manifestazione. Un processo, non solo dei flash, e non di sicuro una continuità data una volta per tutte, questo perché, alla fine, non esiste uno standard della natura autentica, essa è senza fine e non risponde ad alcun modello. Mai puoi dire: “Questo è natura autentica” perché senti che c’è sempre dell’altro. [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Fonte: Carl Bielefeldt
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?