Invece non c’è l’osservare adducendo categorie del conoscere come chi vive nelle passioni o chi è libero dalle passioni o chi possiede il risveglio originario o chi è all’inizio del risveglio o chi è privo di risveglio o che ha raggiunto il vero risveglio: allora non c’è più l’osservare.
L’osservare non dipende da chi opera l’osservare e da chi lo subisce, nemmeno va fatto corrispondere a un giusto o a un pervertito osservare dicendo: questo è “il vero osservare”. È vero osservare, quindi non è un soggetto che osserva, non è un oggetto osservato. Questo è la relazione del tempo reale: è la relazione che trascende. La natura autentica è questo: è il corpo nudo della natura autentica. Natura è questo, autentica è questo.
[→uma] Purtroppo nessuno, fuori da un ristrettissimo ambito esoterico, usa il verbo sentire per definire una percezione del reale e del Reale. Il verbo “osservare” che Jiso usa – e con lui una moltitudine di autori e traduttori, da sempre, Dogen compreso, immagino – in realtà significa sentire: quando un fatto, di qualsivoglia natura, accade si possono verificare diverse condizioni, semplificando ne prendiamo in esame due:
– esiste un osservatore e un osservato e l’osservatore è identificato con l’esperienza in quanto si percepisce come soggetto e dice: “io osservo”;
– esiste un fatto e questo viene semplicemente contemplato.
Nella seconda delle opzioni, quella che ci interessa, l’atto del contemplare è il passare dalla sfera dell’esserci a quella dell’Essere: dal “io osservo” al “c’è sentire”. Il soggetto scompare perché la consapevolezza è andata oltre quella sfera, siamo nell’ambito del sentire che non è mai soggettivo e dunque il fatto che vi siano dei sensi e un sistema che percepisce e interpreta e un oggetto che sia percepito e interpretato, non dà luogo a niente altro che: accade Ciò-che-È; viene sentito Ciò-che-È.
→ Scompare il soggetto,
→ scompare la relazione tra l’osservatore e l’osservato,
→ scompare ogni divenire,
→ si afferma il momento presente senza tempo,
→ la situazione è sentita con i sensi del corpo della coscienza/corpo akasico, il focus della consapevolezza è su questo corpo non sui corpi transitori pur, ovviamente, presenti.
Ne consegue che c’è osservazione e osservazione: osservazione esterna di un soggetto che osserva un oggetto con i sensi dei suoi corpi transitori (fisico, astrale, mentale) e c’è una osservazione interna che non dipende dai sensi transitori, osservazione che è improprio definire tale perché in effetti è sentire la scena aldilà di soggetto e oggetto.
Sempre il sentire è aldilà della dualità, sempre è unitario: questo è il grande balzo e finché non entreremo nella comprensione di questa dimensione d’esistenza e d’Essere, e nella sua esperienza, dovremo arzigogolare non poco con il linguaggi e rimarremo spesso oscuri. Chi ha esperienza del sentire, e il contemplativo l’ha, comprende immediatamente di cosa stiamo parlando perché lo sente nel suo midollo. [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
Comprendo la difficoltà dell’utilizzare termini appropriati per descrivere stati e sensi che non appartengono a nessun soggetto eppure alla portata di chiunque si disponga a lasciare andare pezzi di Se. Grande lavoro, grazie.
“Sempre il sentire è aldilà della dualità, sempre è unitario: questo è il grande balzo e finché non entreremo nella comprensione di questa dimensione d’esistenza e d’Essere, e nella sua esperienza, dovremo arzigogolare non poco con il linguaggi e rimarremo spesso oscuri. Chi ha esperienza del sentire, e il contemplativo l’ha, comprende immediatamente di cosa stiamo parlando perché lo sente nel suo midollo.” Il linguaggio, nella sua complessità, può limitare o ampliare la comprensione. Uno studio approfondito diventa quindi essenziale per accedere a una conoscenza autentica e per trasmettere con chiarezza ciò che è stato compreso. Grazie per lo studio e la dedizione che rendono comprensibili queste preziose letture.