Il quotidiano contemplato 2

21. Da alcuni giorni affiora un ricordo: non rammento l’anno, comunque il primo lustro di questo secolo, e Soggetto – il maestro della Via della conoscenza – che mi dice qualcosa come: “Quando tornerai a occuparti dello spirituale autentico…” Non concluse la frase perché ci eravamo capiti, il suo non era un rimprovero ma una presa d’atto e un auspicio, la consapevolezza – che era anche mia – di essere in un regno di mezzo, di stare operando in un terreno non mio ma comunque necessario per un qualche scopo esistenziale mio e di servizio all’altro.

Mi occupavo allora di accompagnare le persone incontro alla dimensione dell’Essere e contemplativa, ma, ovviamente, molte risorse erano assorbite dalla necessità di rimuovere identificazioni e difficoltà che impedivano agli accompagnati uno sguardo chiaro sul loro procedere esistenziale. Era l’opera necessaria per riuscire a creare quell’organismo vibrazionale che solo nel tempo avrebbe assunto consistenza e concretezza.

Da alcuni anni quell’opera di accompagnamento è terminata, l’organismo per cui tanto si è lavorato tra molte difficoltà ha preso forma: nel tempo mi sono sentito sempre più a casa, immerso in quella condizione d’Essere così a lungo preparata, ma immerso non da solo, perché era chiaro che un’opera comune doveva essere compiuta. Perché?

Non ho una risposta certa, ma innanzitutto perché nessuno realizza l’Essere da solo, poi perché il mio disegno esistenziale è molto chiaro: offrire possibilità d’amore, declinare l’Amore unitario nella relazione viva, non da una distanza di sicurezza.

La relazione viva, vissuta sempre all’interno delle logiche contemplative, è stata una specie di forgia: brace incandescente, processi intensi, vita senza riserva. Chi ha impattato nel Sentiero questo ha trovato: non la contemplazione che placa ma quella che incendia il proprio spazio esistenziale, non la quiete ma, molto spesso, la tempesta della ribellione, o quella protesta più sottile che non diviene tempesta, ma un tentativo di piegare l’impiegabile alle personali logiche soggettive.

Abbiamo usato la contemplazione come un piede di porco finché del materiale umano ha bussato a queste porte, poi, con chi è nato alla via unitaria dentro questa prospettiva, abbiamo realizzato che si poteva andare molto oltre, era facile andarci per coloro che erano pronti, liberi dal grossolano di sé già lavorato e passato al setaccio. [12.1.25]

20. Il contemplativo condivide con lo studioso la disposizione a indagare, un indagare che non è mosso da una intenzionalità soggettiva ma dalla logica stessa del precipitare nell’abisso del sentire.
Il contemplativo ascolta e ascolta, lascia che il sentire affiori e invada, accoglie i suoi processi senza attivare la volontà ma spogliandosi senza fine di ogni resistenza, preclusione, ottusità: in questa vuoto che diviene, che domina l’attimo presente, che è, il sentire è come una nota che si declina, come una parola che svela il suo significato: il sentire svela se stesso, è sentito.

Siamo in una dimensione molto diversa dalla vita comune di un soggetto, molto oltre il pensare, provare, agire sebbene questi, comunque, siano presenti nel sottofondo, ma il sentire occupa l’intero spazio e il precipitare in esso è naturale, avviene da sé, è implicito nella dimensione stessa. [12.1.25]

19. L’osservazione costante conduce alla penetrazione profonda dell’osservato. Non è l’osservatore che si fonde con l’osservato, è l’osservazione senza soggetto che diviene l’osservato. È questo un processo caratteristico del sentire e del piano akasico: si conosce per identificazione/fusione, si conosce/comprende perché si è quello, l’osservato.

Questo processo ha poco a che vedere con la funzione cognitiva e infatti l’osservato solo fugacemente è presente a qual livello della consapevolezza: l’osservato compare come oggetto d’indagine nella consapevolezza multipiano ma non permane, non è possibile bloccarlo, scompare rapidamente.

È come un flash che per un attimo illumina un oggetto e dice: questo è il tema, viene posto in risalto e poi lasciato che prenda forma, si “chiarifichi” nella dimensione del sentire, inconscia per la consapevolezza ordinaria.

Cosa significa “si chiarifichi”? Semplicemente che i dati contenuti nel sentire non sono sufficienti perché una intuizione chiara e robusta si affermi, e allora – posto il tema dell’osservazione – sono necessari altri dati che sorgeranno dalle esperienze e saranno questi ulteriori dati, combinati con quelli già posseduti, a creare chiarezza.

Ecco che l’osservazione è per il contemplativo una totalità che lo assorbe aldilà del tempo: la contemplazione è osservazione, è sentire il sentire senza sosta: affinché possa essere questo, il contemplativo si ritrae in vario grado dall’immersione nelle identificazioni e la consapevolezza è focalizzata nell’ambito sottilissimo del sentire l’origine di ogni fatto. [12.1.25]

Il quotidiano contemplato 1

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