35. Nessuno è quello che mostra né quello che crede di essere: lo sguardo contemplativo, la focalizzazione sul sentire ci portano a comprendere l’illusorietà di ogni manifestazione.
Indagando a fondo si arriva anche alla chiara consapevolezza che non solo non esiste un soggetto, ma nemmeno un individuo incastrato tra sequenzialità e separazione. Il contemplativo può accedere alla dimensione unitaria – sentita come flash o come stato durevole – dove nessun senso hanno tempo e divenire perché sente l’attimo eterno.
L’attimo eterno è colto come la radice su cui cresce la pianta, le fondamenta su cui è edificata la casa del divenire. La consapevolezza dell’attimo eterno affiora per via intuitiva e il sistema dei corpi transitori la regge solo per pochi istanti: permane invece nel sottofondo della consapevolezza come una nota continua e costante. [18.1.25]
34. Il presente contemplato è una stato vibrazionale, una “bolla” vibrazionale caratterizzata da una sospensione del tempo e delle connessioni con il passato e il futuro: è una bolla atemporale definita da una specifica vibrazione del sentire. La consapevolezza risiede sul piano del sentire e gli altri piani sfumano. Non si pù intendere la contemplazione come dono, essa sorge anche come atto di una semplice volontà allenata e attrezzata allo scopo. [17.1.25]
33. Da quanto affermo in #32 deriva la possibilità di sentire l’essenza di ogni fatto. Qui è anche la radice dello Zen: se c’è solo il sentire l’attimo che accade, allora l’attenzione e la consapevolezza sono alti, la presenza è totale, l’Essere, il Ciò-che-È splende nel gesto, nella parola, nello stare. [16.1.25]
32. Se c’è la piena consapevolezza che tutto è sentire e che esso È nel momento presente e solo e sempre in quello, allora l’unica opera consiste nell’acoltare e nell’osservare ciò che affluisce dall’adesso ai sensi fisici, astrali, mentali, akasici. Questa è gran parte dell’opera, ogni altra indagine, analisi, consapevolezza, ogni agire ruota attorno a questa. [16.1.25]
31. Il sentire che oggi si manifesta è il centro della nostra consapevolezza e della nostra indagine. Il sentire di oggi contiene quello di ieri pertanto è inutile indagare oltre un certo limite l’ieri perché è superato dall’oggi.
Diverso è il caso del sentire che verrà domani e viene preparato oggi: in noi opera come programma di base la vibrazione prima che ci conduce alla meta unitaria, vibrazione che orienta l’oggi inquadrandolo nella prospettiva dell’unità. Non possiamo occuparci del sentire di domani, ma siamo tenuti ad assecondare la spinta che al domani unitario ci conduce e questo lo possiamo fare oggi, ora. [16.1.25]
30. Ogni sentire cerca quello prossimo a sé. In questa vita da straniero ho cercato senza fine e nulla mi è mancato. [15.1.25]
29. Afferma la Via della conoscenza: Nella forma uomo, una delle caratterizzazioni della mente è la memoria, che è un aiuto per vivere e per inter-relazionarsi, perché sia dialogare nei rapporti che condividere esperienze si fondano sui ricordi. Quindi la memoria pur essendo la caratteristica naturale della forma uomo, diventa poi la base su cui fondate la vostra identità.
Stiamo dicendo che la memoria diventa un impedimento per vivere la vostra naturalità quando, nel crearvi un’identità, la espandete, facendola diventare la base per concettualizzare la vita e per costruire rapporti di incontro/difesa con l’alterità.
Memoria/base identità/concettualizzazione: sequenza formidabile che vanifica ogni possibilità contemplativa. La concettualizzazione, con queste radici, è autentica tossicità per ogni contemplativo che sia dotato anche di capacità analitica: questa capacità analitica propia del sistema, non va utilizzata sul piano concettuale ma va indirizzata all’analisi contemplativa del sentire.
In altre parole: la disposizione analitica che appartiene al carattere di quella incarnazione e a specifiche qualità del sentire e del corpo mentale, va finalizzata all’ascolo e all’osservazione della sfera del sentire facendoli divenire accurati, dettagliati, mai approssimativi. [15.1.25]
28. Il senso di colpa di cui si parla al #27 può divenire un bastione a difesa dell’integrità dell’identità: quel provare dolore per qualcosa del passato ormai superato nel sentire, alimenta un senso di esserci, una continuità identitaria. È una questione seria per il contemplativo che, in virtù della sua pratica, del suo esistere, disaggrega senza fine il nucleo identitario che però torna sotto mentite spoglie.
La contemplazione toglie energia, struttura e consistenza all’immagine di sé, il senso di colpa per qualcosa che non è più riporta energia e struttura perché rimette un illusorio sé al centro, un sé dolorante e penitente.
Va però considerato che questa dinamica ha una sua peculiarità nel contemplativo anziano, meno nel giovane, perché l’anziano tende naturalmente a guardare al passato, forse come anticipazione di quel processo di rivistitazione dell’esistenza che si avvia subito dpo il trapasso.
Qualunque sia la ragione, è chiaro che nell’intimo del contemplativo costantemente avviene un riequilibrio delle forze: la disaggregazione dell’immagine di sé non può non provocare uno squilibrio che produce una riflessione e una piena comprensione dei fattori che costituiscono quella disaggregazione, che la rendono possibile.
In altri termini: se oggi consapevolmente vedo l’operare dell’identificazione e lo disaggrego attraverso l’analisi, la disidentificazione, la contemplazione, quel vedere si estende sempre sulle mille identificazioni, il file degli errori si presenta sempre aggiornato nella sua sintesi unitaria: viene visto il dettaglio e l’insieme.
Quando disconnetto, disaggrego, ho chiaro l’insieme e il dettaglio del limite che vado a disaggregare e questo moto produce uno squilibrio vibrazionale, squilibrio che tende naturalmente verso un nuovo equilibrio.
Nuovo equilibrio dato dall’affiorare del nuovo sentire frutto della comprensione in atto, ma anche da un nuovo livello dell’immagine di sé che automaticamente si ricostruisce.
Ne consegue che finché c’è incarnazione, disidentificazione, disaggregazione, contemplazione producono un riassetto continuo anche dell’immagine di sé, perché l’incarnato ha comunque una immagine di sé, o identità. [15.1.25]
27. Man mano che il tempo cronologico di una incarnazione scorre, giungono a manifestazione gradi diversi e progressivi di sentire: il sentire che veniva manifestato a 30 anni non è quello che si manifesta a 50. Questa è la ragione per cui il contemplativo osserva l’insieme alla luce della compassione, comprende gli errori ma evita di macerarsi nel senso di colpa: il sentire alla base di un certo comportamento del passato ora non c’è più, è stato superato anche grazie a quell’esperienza che oggi viene considerata sbagliata ma che a suo tempo era, evidentemente, quella possibile. [15.1.25]
26. Il sentire è senza tempo. Sebbene nel piano akasico esistano ancora la sequenzialità e la separatività, lo scorrere cronologico non esiste più; ogni sentire, indipendentemente dal fatto che è stato preceduto da un grado più limitato e sarà seguito da uno meno limitato, mentre accade semplicemente È. È Ciò-che-È.
Quel sentire in manifestazione, di quel grado, è eterno.
Ora, il contemplante sente il Ciò-che-È, l’eterno Essere di quel sentire, e lo sente mentre è immerso anche nella dimensione transitoria, nel divenire. Il Ciò-che-È è lo sfondo, i fatti del divenire “scorrono” su quello sfondo immobile e senza tempo: il contemplativo coglie unitariamente i due livelli di consapevolezza, li sente in una consapevolezza unitaria che spazia dal Ciò-che-È al fatto come sensazione (con nel mezzo tutti i piani).
Ne conseguono due possibilità di percezione:
a– quella consapevolezza unitaria ha due intensità:
– una intensità primaria, focalizzata sul sentire;
– una intensità secondaria che registra il divenire.
Per intensità intendo una focalizzazione, una preminenza di un grado. Viene sentito il sentire come reale, primario, pervadente, costitutivo la totalità sentita; viene sentito il divenire ma ha un’altra natura non confrontabile con l’abisso del Ciò-che-È pur essendo esso stesso aspetto unitario del Ciò-che-È.
b– Questo se il film del divenire lo si contempla scorrere sullo sfondo fisso del sentire, ma se si esce da questa percezione/rappresentazione e si entra ancor più nel dettaglio, il divenire viene frazionato in flash, in fotogrammi, e allora eterno è il sentire ed eterno il fotogramma e i due sono indissolubili, come in realtà sono perché il fotogramma esiste solo se c’è il sentire che lo genera.
È chiaro che questa seconda possibilità è quella che scende più a fondo nella natura del reale e supera anche l’apparente scorrere del divenire, esce da questo programma per affermare la piena unità atemporale di sentire/divenire. [14.1.25]
25. Ribadisco un principio: l’atto contemplativo non riguarda il fatto che accade, ma il sentire che genera l’atto che accade. Il sentire sente se stesso, il fatto non è che una semplice conseguenza di quell’atto di percezione/creazione. Chiamiamo l’insieme contemplazione perché sentiamo unitariamente dal fatto che si manifesta nei piani densi, fino al sentire che genera il tutto passando per la consapevolezza che il sentire ha del suo accadere. [14.1.25]
24. François (CF77) afferma: “Attraverso la sua evoluzione l’uomo sperimenterà delle dimensioni in cui potrà conoscere la realtà di ciò che lo fa vivere, dell’ambiente nel quale è immerso; la conoscerà attraverso nuovi modi di approccio, nuovi mezzi di conoscenza – noi abbiamo detto – ossia attraverso l’identificazione con ciò che si conosce.
E sarà una conoscenza vera, perché andrà al di là dell’apparenza. Non esisterà più l’apparenza, ma vi sarà proprio un’identificazione tra l’oggetto e il soggetto, quindi senza possibilità di errore o di distorsione.” Fonte: Il libro di François, Cerchio Firenze 77
Parla dunque di identificazione tra l’oggetto percepito e il soggetto percepente, ma temo sia una riduzione didattica: nel sentire dell’akasico, pur continuando a esistere un senso di separatività, non esiste più un soggetto canonico, esiste invece quella disposizione che è alla base dell’esperienza del contemplativo: quell’assenza di sé e quell’Essere totale del fatto accadente.
In questo spazio vuoto di connotazione soggettiva accade l’Essere, si dispiega il sentire senza tempo che non parla di alcun oggetto ma solo di Essere: credo che questo da me abbozzato sia un altro modo di descrivere quella che viene chiamata “conoscenza per identificazione”. [14.1.25]
23. La nostra osservazione ininterrotta ci conduce a essere consapevoli di ogni sfumatura di ciò che viene provato, pensato, sentito e conviviamo con una consapevolezza multipiano che nello stesso istante ci permette di sentire la luce come l’ombra. La luce di comprensioni e intuizioni profonde patrimonio stabile del sentire, l’ombra del velo introdotto dalla densità del transitorio.
Viviamo con questa consapevolezza unitaria sentendo il vasto e il limitato assieme, nello stesso non tempo. [14.1.25]
22. Il contemplativo dovrebbe aver scritte nella pietra queste parole di Kempis/CF77:
Noi affermiamo che esiste solo ciò che “sente” in senso lato (nella sfera psichica, dei tre corpi transitori, ndr), ossia che percepisce, e ciò che è “sentito” ossia percepito; quindi le cose che non “sentono” e sono percepite saltuariamente, esistono solo allorché sono percepite.
Non solo: abbiamo detto anche che le cose che sono percepite non esistono in sé come vengono percepite: la loro realtà – al di là delle limitazioni dei soggetti percepienti – è la realtà della sostanza indifferenziata.
Sicché gli oggetti che cadono sotto la vostra attenzione, come voi li percepite esistono solo nella vostra percezione e in forza delle sue limitazioni. Quindi, se venissero meno le limitazioni percettive sparirebbero gli oggetti, e non sareste voi a non percepirli più, pur essendo essi ancora esistenti oggettivamente, bensì l’inverso: non esisterebbero più in quanto voi non li percepireste più. [13.1.25]
21. Da alcuni giorni affiora un ricordo: non rammento l’anno, comunque il primo lustro di questo secolo, e Soggetto – il maestro della Via della conoscenza – che mi dice qualcosa come: “Quando tornerai a occuparti dello spirituale autentico…” Non concluse la frase perché ci eravamo capiti, il suo non era un rimprovero ma una presa d’atto e un auspicio, la consapevolezza – che era anche mia – di essere in un regno di mezzo, di stare operando in un terreno non mio ma comunque necessario per un qualche scopo esistenziale mio e di servizio all’altro.
Mi occupavo allora di accompagnare le persone incontro alla dimensione dell’Essere e contemplativa, ma, ovviamente, molte risorse erano assorbite dalla necessità di rimuovere identificazioni e difficoltà che impedivano agli accompagnati uno sguardo chiaro sul loro procedere esistenziale. Era l’opera necessaria per riuscire a creare quell’organismo vibrazionale che solo nel tempo avrebbe assunto consistenza e concretezza.
Da alcuni anni quell’opera di accompagnamento è terminata, l’organismo per cui tanto si è lavorato tra molte difficoltà ha preso forma: nel tempo mi sono sentito sempre più a casa, immerso in quella condizione d’Essere così a lungo preparata, ma immerso non da solo, perché era chiaro che un’opera comune doveva essere compiuta. Perché?
Non ho una risposta certa, ma innanzitutto perché nessuno realizza l’Essere da solo, poi perché il mio disegno esistenziale è molto chiaro: offrire possibilità d’amore, declinare l’Amore unitario nella relazione viva, non da una distanza di sicurezza.
La relazione viva, vissuta sempre all’interno delle logiche contemplative, è stata una specie di forgia: brace incandescente, processi intensi, vita senza riserva. Chi ha impattato nel Sentiero questo ha trovato: non la contemplazione che placa ma quella che incendia il proprio spazio esistenziale, non la quiete ma, molto spesso, la tempesta della ribellione, o quella protesta più sottile che non diviene tempesta, ma un tentativo di piegare l’impiegabile alle personali logiche soggettive.
Abbiamo usato la contemplazione come un piede di porco finché del materiale umano ha bussato a queste porte, poi, con chi è nato alla via unitaria dentro questa prospettiva, abbiamo realizzato che si poteva andare molto oltre, era facile andarci per coloro che erano pronti, liberi dal grossolano di sé già lavorato e passato al setaccio. [12.1.25]
20. Il contemplativo condivide con lo studioso la disposizione a indagare, un indagare che non è mosso da una intenzionalità soggettiva ma dalla logica stessa del precipitare nell’abisso del sentire.
Il contemplativo ascolta e ascolta, lascia che il sentire affiori e invada, accoglie i suoi processi senza attivare la volontà ma spogliandosi senza fine di ogni resistenza, preclusione, ottusità: in questo vuoto che diviene, che domina l’attimo presente, che è, il sentire è come una nota che si declina, come una parola che svela il suo significato: il sentire svela se stesso, è sentito.
Siamo in una dimensione molto diversa dalla vita comune di un soggetto, molto oltre il pensare, provare, agire sebbene questi, comunque, siano presenti nel sottofondo, ma il sentire occupa l’intero spazio e il precipitare in esso è naturale, avviene da sé, è implicito nella dimensione stessa. [12.1.25]
19. L’osservazione costante conduce alla penetrazione profonda dell’osservato. Non è l’osservatore che si fonde con l’osservato, è l’osservazione senza soggetto che diviene l’osservato. È questo un processo caratteristico del sentire e del piano akasico: si conosce per identificazione/fusione, si conosce/comprende perché si è quello, l’osservato.
Questo processo ha poco a che vedere con la funzione cognitiva e infatti l’osservato solo fugacemente è presente a qual livello della consapevolezza: l’osservato compare come oggetto d’indagine nella consapevolezza multipiano ma non permane, non è possibile bloccarlo, scompare rapidamente.
È come un flash che per un attimo illumina un oggetto e dice: questo è il tema, viene posto in risalto e poi lasciato che prenda forma, si “chiarifichi” nella dimensione del sentire, inconscia per la consapevolezza ordinaria.
Cosa significa “si chiarifichi”? Semplicemente che i dati contenuti nel sentire non sono sufficienti perché una intuizione chiara e robusta si affermi, e allora – posto il tema dell’osservazione – sono necessari altri dati che sorgeranno dalle esperienze e saranno questi ulteriori dati, combinati con quelli già posseduti, a creare chiarezza.
Ecco che l’osservazione è per il contemplativo una totalità che lo assorbe aldilà del tempo: la contemplazione è osservazione, è sentire il sentire senza sosta: affinché possa essere questo, il contemplativo si ritrae in vario grado dall’immersione nelle identificazioni e la consapevolezza è focalizzata nell’ambito sottilissimo del sentire l’origine di ogni fatto. [12.1.25]
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In queste parole trovo un’intuizione profonda. Non mi sono del tutto estranee, ma molto devo lavorare, affinché possa sentirle in tutta la loro intensità:
“Ecco che l’osservazione è per il contemplativo una totalità che lo assorbe aldilà del tempo: la contemplazione è osservazione, è sentire il sentire senza sosta: affinché possa essere questo, il contemplativo si ritrae in vario grado dall’immersione nelle identificazioni e la consapevolezza è focalizzata nell’ambito sottilissimo del sentire l’origine di ogni fatto. [12.1.25]”
Post molto profondo.
Il contenuto iniziale è compreso, più difficoltosa la comprensione dal capoverso :”che cosa si chiarifichi?”
Grazie per queste sollecitazioni costanti.
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