Dōgen, Busshō: commento (1) di Jiso Forzani a Bussho 4 [busshō4.3]

Saremmo tentati di sorvolare su questa frase: «Aspirare a conoscere la vera forma della natura autentica, in verità è osservare la relazione del tempo reale. Quando il tempo viene, la natura autentica si fa presente».

Sembra ovvio: se il tempo non è maturo, non c’è niente da fare. In effetti facciamo sempre esperienza di questo aspetto della realtà: se le circostanze del tempo non sono adatte, i nostri sforzi vanno a vuoto. Possiamo zappare, concimare, sarchiare, seminare, innaffiare finché vogliamo, ma se non viene il tempo giusto, tutto il nostro impegno è inutile: siamo dentro qualcosa di più grande di noi, che condiziona il risultato di tutti i nostri sforzi.

Possiamo dire e ridire a una persona le cose giuste, ma se quella persona non si mette in sintonia, se per quella persona non è ancora venuto il momento, non c’è nulla da fare: quante volte facciano questa esperienza con le persone che ci stanno a cuore, con i figli e gli amici, e quante volte altri la fanno con noi. Quante volte facciamo questa esperienza con noi stessi: sappiamo quello che dovremmo fare, ma non ce la facciamo: il tempo non è venuto. Eppure…

Qui non si nega la realtà di queste nostre ripetute osservazioni: è in discussione l’ottica, il punto di osservazione. «Osservare la relazione del tempo reale, è osservare con in mano la relazione del tempo reale». Il rapporto con il tempo non è qualcosa che si osserva dal di fuori, come guardare dalla riva un fiume che scorre: io sono dentro al rapporto con il tempo nel momento stesso in cui lo osservo. Il mio osservare non è mai da spettatore: la vita non è uno spettacolo, non c’è un punto esterno da cui osservarla. La filosofia occidentale contemporanea, non ignorando le teorie fisiche dell’indeterminatezza per le quali, almeno nel campo delle particelle elementari, non è possibile osservazione oggettiva in quanto l’osservatore modifica il fenomeno con la sua stessa presenza, concorda in pieno: il vero osservare non è un soggetto che osserva, non è un oggetto osservato.

Aspirare a conoscere non si limita quindi a una conoscenza obbiettiva e discriminante, come uno che guarda una cosa dal di fuori, e giudica. Aspirare a conoscere è totale coinvolgimento e porta con sé, necessariamente, il mettere in pratica concretamente, il testimoniare con il proprio comportamento, l’annunciare intorno a sé, e il procedere oltre. Aspirare a conoscere è sinonimo di osservare la relazione del tempo perché tutto avviene in essa e fuori di essa nessuna cosa avviene.

C’è attesa del tempo che viene, perché certo il tempo viene. Attesa non è stare lì ad aspettare qualcosa che speriamo o temiamo che accada: non è aspettativa statica. In realtà non esiste un posto dove stare lì ad aspettare, come si aspetta l’autobus: siamo dentro la vita, siamo dentro il rapporto con il tempo, ci muoviamo con esso. L’attesa è all’interno del rapporto con il tempo, si muove con esso e lo muove: la vera attesa è contribuire a creare il tempo che viene, non con l’atteggiamento di chi si osserva in questa opera, ma riversando me stesso nel rapporto totale con il tempo che sto vivendo.

Osservare non è stare a guardare: «non dipende da chi opera l’osservare e da chi lo subisce, nemmeno va fatto corrispondere a un giusto o a un pervertito osservare dicendo: questo è “il vero osservare”. È vero osservare, quindi non è un soggetto che osserva, non è un oggetto osservato. Questo è la relazione del tempo reale: è la relazione che trascende. La natura autentica è questo: è il corpo nudo della natura autentica. Natura è questo, autentica è questo».

Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.

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