Fonte: Eihei Dogen, Inmo, Proprio così, traduzione dall’originale giapponese di Jiso Forzani.
Quando il curatore lo ritiene necessario, vengono anche utilizzati frammenti della traduzione di Aldo Tollini così come compaiono nel suo Buddha e natura di Buddha nello Shobogenzo, Ubaldini editore. Dalla redazione del Tollini viene preso anche un brano dell’introduzione e la suddivisione in paragrafi che in Forzani non compaiono.
“Così com’è”, dell’introduzione a Inmo di A.Tollini, tratto da Buddha e natura di Buddha nello Shobogenzo, Ubaldini editore
Questo capitolo, uno dei più pregnanti tra quelli dello Shôbôgenzô per l’importanza del contenuto, tratta, come dice il titolo stesso, della concezione espressa dal termine inmo. Inmo è una parola di derivazione cinese e veniva usata colloquialmente per indicare “questo”, o “così”. È poi passata in ambito religioso, soprattutto nel buddhismo ch’an e poi zen, dove, con la valenza di “così” o “così com’è”, è passata a indicare il vero aspetto della realtà, l’oggettività dei fenomeni che ci circondano, prima di ogni discriminazione e valutazione soggettiva da parte dell’uomo. In altre parole, indica il vero volto della realtà che è nascosto a coloro che osservano i fenomeni, e se stessi, con atteggiamento egocentrico.
A seguire il testo tradotto dal giapponese da Jiso Forzani che traduce inmo con: proprio così. Sia la scelta di Forzani che quella di Tollini (così com’è) non ci convincono perché l’espressione tradotta non rimanda, a nostro parere, all’esperienza diretta, quella che nel Sentiero definiamo con l’espressione Ciò-che-È, quella a cui Dogen si riferisce.
Questa frase: “Sei già una persona proprio così, perché ti angusti per cosa è proprio così”, tradotta con la locuzione del Sentiero risulterebbe così: Sei già Ciò-che-È, perché ti angusti per comprendere cosa sia Ciò-che-È?
Il Ciò-che-È è un’esperienza precisa che sia il praticante di zazen che il contemplante conoscono bene: è la realtà senza aggiunta. Quando al divenire noi togliamo gli attributi per mezzo dei quale lo qualifichiamo, il reale del divenire diviene il Reale dell’Essere, ecco l’uso delle iniziali maiuscole nell’espressione Ciò-che-È.
Cosa significa? Che ciò che diviene è sentito come Essere senza tempo: né perfetto, né imperfetto, quello che è, semplicemente.
Ma se io – con una disposizione contemplativa – osservo un tavolo e dico: “È quello che è”, o “È proprio così”, oppure “È com’è” non esprimo la reale esperienza contemplativa e percettiva che sto sperimentando.
Contemplare quel tavolo significa estrarlo dal flusso del divenire: quel tavolo diviene un fatto a se stante, qualcosa che è e che accade come un fotogramma fisso e immobile: così viene sentito, senza continuità con altro, senza divenire, senza essere inserito in un flusso dove tutto cambia.
Il principio chiave per comprendere questo è quello espresso nella frase: “così viene sentito”. L’umano non percepisce solo attraverso i sensi dei suoi corpi transitori (fisico, astrale, mentale) ma utilizza, innanzitutto e simultaneamente all’uso dei sensi di questi corpi, la percezione che deriva dal sentire-creare-percepire le scene.
Le scene, i fatti (a questo livello il tavolo è un fatto) sono innanzitutto sentiti (tralasciamo il creare-percepire che ci porterebbe molto lontano): il contemplante sente il tavolo, non lo percepisce soltanto con i sensi fisici, non lo cataloga con la mente discriminante, innanzitutto lo sente.
Se comprendiamo questo, allora possiamo approssimarci all’esperienza del Ciò-che-È: un fatto, sentito, è la frattura irrimediabile dell’illusione del divenire, frattura dalla quale emerge, sorge, erompe la consapevolezza-esperienza di Essere.
Il Ciò-che-È fa riferimento alla Realtà sentita dal contemplante, quindi a un livello della realtà possibile – perché la realtà non è oggettiva, è lo “sguardo” con cui la cogliamo: sentire è molto diverso da percepire-pensare.
Si veda il significato dei termini: quiddità, talità.
1 Il grande maestro Gukaku1 del monte Ungo è erede diretto di Tozan2. A partire da Sakyamuni Buddha è il discendente legittimo della trentanovesima generazione, patriarca ereditario della tradizione di Tozan.
Un giorno insegnò a tutti dicendo: «Se aspiri a ottenere la cosa che è proprio così, questa è necessariamente dover essere una persona che è proprio così. Sei già una persona proprio così, perché ti angusti per cosa è proprio così?»3.
Vale a dire: “Se pensi di ottenere ciò che è proprio così, devi senz’altro diventare una persona che è proprio così. Sei già questa persona proprio così, perché allora ti angusti a proposito di cosa sia questo proprio così?»4.
Qui il punto fondamentale è: tendere direttamente al risveglio supremo è detto proprio così (inmo). La condizione di questo supremo risveglio è che l’intero universo nelle dieci direzioni fino in fondo è in effetti un po’ più ridotto del supremo risveglio. O anche, che il risveglio sopravanza ancora l’intero universo. Noi stessi siamo strumenti che siamo posseduti dentro questo universo intero nelle dieci direzioni. In base a cosa sappiamo che proprio così è? Ciò che chiamiamo corpo e spirito si manifesta insieme all’universo intero, e siccome non è io, sappiamo solo che è.
1 Ungo Doyo (?-902)
2 Tozan Ryokai (807-869)
3 Espressione tratta dal Keitoku dento roku, 17
4 Qui Dogen si limita a ripetere in giapponese la precedente espressione che è in cinese: per questo nella traduzione le due frasi risultano pressoché identiche.
2 In base a cosa sappiamo che proprio così è? Ciò che chiamiamo corpo e spirito si manifesta insieme all’universo intero, e siccome non è io, sappiamo solo che è.
Il corpo in sé non è io, la vita trascinata dal flusso del tempo non si arresta neppure per un attimo. Dove è mai il volto roseo [dell’infanzia]?: quando lo cerchiamo è del tutto svanito.
Guardiamo pure con attenzione, le cose del passato non accadono due volte. Anche la fiamma dello spirito (seki shin, lett. rosso cuore) non si arresta, volta per volta viene e va. Per esempio, anche se diciamo che la verità esiste, non è qualcosa che ristagna nei pressi del mio ego. Siccome è proprio così, senza limiti avviene il sorgere del cuore. Dal momento che questo cuore sorge, gettato via tutto ciò con cui finora mi sono divertito, pregare di udire ciò che finora non ho udito, cercare di verificare ciò che finora non ho verificato, non sta soltanto al frutto dell’opera di me stesso.
Bisogna sapere che avviene solo perché siamo persone proprio così. Grazie a che cosa sappiamo di essere persone proprio così? In vero è grazie al fatto che aspiriamo a ottenere la cosa proprio così che sappiamo di essere persone proprio così. Già sussiste la dignità di persona proprio così, non c’è da essere preoccupati ora della cosa proprio così. Anche preoccuparsi è esso stesso la cosa proprio così, ma allora, vuol dire che non c’è da preoccuparsi.
Inoltre, anche se è il proprio così di una cosa che è proprio così, non c’è di che stupirsi. Ad esempio, anche se c’è il proprio così che fa meraviglia e suscita dubbi, anche questo è proprio così. E c’è il proprio così che non è legato allo stupore. Non si tratta di qualcosa che può essere misurato in base a valutazioni su Buddha, in base a valutazioni sullo spirito, in base a valutazioni sul mondo del Dharma, in base a valutazioni sull’intero universo. Soltanto, davvero, si tratta di: “Sei già questa persona proprio così, perché allora ti angusti a proposito di cosa sia questo proprio così?” Perciò, il proprio così di suono e colore ha da essere proprio così, il proprio così di corpo e spirito ha da essere proprio così, il proprio così di tutti i buddha ha da essere proprio così.
2 [Tollini traduce] Sulla base di che sappiamo che il “così com’è” esiste? Lo sappiamo perché il corpo e la mente che si manifestano insieme nell’intero mondo non sono il nostro io. Il corpo non è certamente il nostro io. La vita si riflette [procede] nei giorni e nei mesi e non si ferma neppure per un poco. Dove sono andati i volti della nostra giovinezza? Quando li cerchiamo non ne troviamo neanche le tracce. Se osserviamo bene, sono molte le cose del passato che non incontreremo mai più. Anche la mente sincera442 non si ferma e va e viene ogni momento.
Benché la sincerità443 esista, essa non risiede accanto a noi.444 Però, pur stando così le cose, senza una ragione445 esiste la “mente del risveglio”446. Quando si sia risvegliata questa mente, abbandoniamo le cose con cui ci si è intrattenuti fino a quel momento e speriamo di udire ciò che non abbiamo mai sentito, e cerchiamo di sperimentare ciò che non abbiamo mai sperimentato, e questo non solo per noi stessi. Si sappia che succede questo perché siamo persone del così com’è.447
Perché sappiamo di essere persone del così com’è? Poiché siamo persone che vogliono ottenere la cosa così com’è, siamo persone del così com’è.448 Per certo, abbiamo l’aspetto delle persone del così com’è, e in questo momento non dovremmo preoccuparci della cosa così com’è. Poiché anche il preoccuparsi è cosa del così com’è, è un non preoccuparsi.
Inoltre, non dovremmo sorprenderci del fatto che la cosa così com’è, è così com’è. Anche se il così com’è ci sorprende e ci lascia dubbiosi, è comunque questo così com’è.
Esiste anche un così com’è di cui non dobbiamo sorprenderci. Questo non può essere valutato per mezzo della valutazione dei buddha, né può essere valutato per mezzo della valutazione della mente, non può essere valutato per mezzo della valutazione del mondo del Dharma e non può essere valutato per mezzo della valutazione dell’intero mondo. Solo [si può dire]:”siamo di già uomini del così com’è, perché preoccuparci della cosa del così com’è?“. Perciò, il così com’è del suono e dell’aspetto è il così com’è, il così com’è del corpo e della mente è il così com’è, il così com’è di tutti i buddha è il così com’è.
442 “Mente sincera” è traduzione di sekishin, “mente pura, o sincera”. Qui a “pura” preferisco “sincera” perché questo termine si riallaccia a “sincerità” della frase successiva. Tuttavia, in questo caso, “puro” e “sincero” sono da considerare sinonimi. Nel capitolo “Shinjin Gakudô” Dôgen parla di sekishin chiamandolo sekishin henpen: letteralmente: “una mente pura che comprende in sé tutti i pensieri liberamente” e la considera come “mente del risveglio” (hatsubodhaishin, qui abbreviato in hatsshin).
443 In originale makoto. Si riferisce alla mente sincera di cui alla frase precedente.
444 Cioè: sebbene la mente sincera o pura esista, non la riconosciamo come la nostra vera natura.
445 Cioè: pur senza che vi sia una particolare ragione o motivazione, comunque esiste la mente del risveglio. In originale mutan ni.
446 In originale hosshin, “mente del risveglio” cioè, la mente che decide di avviarsi sulla Via alla ricerca del risveglio. È il primo fondamentale passo per l’illuminazione.
447 “Essere persone del così com’è” vuol dire essere dei tathâgata (in giapp. nyorai), che significa “venuto così com’è”, quindi coloro che sono inmo, persone che esistono secondo il loro vero essere originario.
448 Secondo i parametri normali, la struttura logica di questa frase è assurda, ma nella dimensione della realizzazione di sé, non si può dire altro che siamo persone autentiche poiché vogliamo o otteniamo inmo.
Tante parole ma la sostanza è in questa frase:
[Forzani] “Sei già questa persona proprio così, perché allora ti angusti a proposito di cosa sia questo proprio così?” Perciò, il proprio così di suono e colore ha da essere proprio così, il proprio così di corpo e spirito ha da essere proprio così, il proprio così di tutti i buddha ha da essere proprio così.
[Tollini] “Siamo di già uomini del così com’è, perché preoccuparci della cosa del così com’è?“. Perciò, il così com’è del suono e dell’aspetto è il così com’è, il così com’è del corpo e della mente è il così com’è, il così com’è di tutti i buddha è il così com’è.
Siamo Ciò-che-È: aldilà di ogni considerazione e discriminazione, estratti dall’illusione del tempo e del divenire, compresi nella nostra essenza, siamo solamente e semplicemente Ciò-che-È. Ogni cosa e ogni essere è semplicemente Ciò-che-È: questa è la realtà contemplata da chi ha compreso la natura del Reale.
“Perciò, il così com’è del suono e dell’aspetto è il così com’è, il così com’è del corpo e della mente è il così com’è, il così com’è di tutti i buddha è il così com’è.”
L’assassino è Ciò-che-È, il santo è Ciò-che-È. Può essere spiegato questo? Dubito, è come voler spiegare il sentire d’Essere: non siamo sul piano cognitivo dove attraverso il pensiero è possibile descrivere il reale; qui siamo in una percezione/esperienza del Reale unitario che travalica il pensiero e lo rende inutile mezzo.
Il mezzo che usiamo per sentirci/sentire il Ciò-che-È è il sentire di coscienza, un corpo diverso da quello mentale, sensi diversi, materie diverse sono implicate e universi vibrazionali diversi si riflettono sui nostri corpi transitori.
Il praticante di zazen sa bene cosa sia il Ciò-che-È e lo sa molto bene chi è avvezzo a frequentare la disposizione contemplativa: avviene una commutazione interiore, il passaggio da uno stato ordinario dominato da sensazione-emozione-affettività-pensiero a uno stato di sospensione di tutto ciò con l’imporsi di una rarefazione, di una neutralità, di una essenzialità; tutto è sentito come Essere.
Sospendendo l’attività discriminante che ci pone al centro della scena, permettiamo alla dimensione di Essere di permeare la consapevolezza: il Ciò-che-È è consapevolezza d’Essere, non altro, ed è riferita a noi come a ogni cosa e a ogni fatto, pensiero, emozione, sensazione, relazione.
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