Prenderò in considerazione solo quattro dei sette corpi di cui l’umano è costituito: l’akasico, che è un corpo permanente, e i tre transitori, il mentale, l’astrale, il fisico.
Inizierò dal corpo fisico e dal piano fisico, l’aspetto più denso in cui si riversa una coscienza, la materia più grossolana che si trova a elaborare, le vibrazioni più lente e pesanti che deve gestire.
Subito mi sorge una questione avendo usato termini come grossolano, lento, pesante: se i fisici che studiano la materia/vibrazione fisica, e prevalentemente quella studiano perché quella principalmente concepiscono e quella è rilevata dalle apparecchiature di verifica che utilizzano, conoscessero il principio della compenetrazione* tra tutte le materie, quanto più libera e vasta potrebbe essere la loro ricerca?
Nel loro sperimentare essi incappano, teoricamente o praticamente, in altre materie e vibrazioni che vanno oltre i limiti del piano fisico ma, non avendo un paradigma adeguato a interpretare la complessità che toccano, il loro procedere è necessariamente incerto.
Dunque quanto la loro ricerca è limitata da un deficit di comprensione unitaria – sentire unitario (e da una conseguente limitazione nell’impianto filosofico che li orienta)? Quanto la visione di tutti noi, di noi stessi e della vita, è limitata da ciò che sentiamo, pensiamo, proviamo?
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L’immagine fissa lo stato dell’ambiente dell’Eremo dal silenzio nel corso del 2024, qualche mese fa: come vedete è un ecosistema, lo è diventato da 1983 quando abbiamo acquistato questi 14.000 mq di terreno. Prima di allora era solo una casa tra i campi coltivati come tante altre e, come si vede nell’immagine successiva, dove la prevalenza di terreno agricolo sulla vegetazione spontanea era soverchiante.
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Per realizzare questo ecosistema fisico è stata necessaria un’intenzione: l’ambiente naturale in 42 anni è stato trasformato e plasmato da un’intenzione.
Qual era questa intenzione? Edificare – dare vita e forma – a un mondo interiore lontano/diverso/altro dal “mondo esteriore”: un micro universo altro immerso suo malgrado nel macro universo, un micro mondo per due eremiti che volevano vivere per altro, qualcosa di molto lontano dal “mondo esteriore”. Quel “molto lontano” è ben rappresentato simbolicamente dalla lunghezza di via Caravaggio, strada che gli scarsi frequentatori dell’Eremo conoscono bene per la sua immersività.
L’intenzione ha guidato la generazione/costruzione dell’ecosistema: la risoluzione del problema dell’acqua, le essenze vegetali da piantumare, la necessità di costruire difese dall’invadenza di cacciatori, veleni, incurie degli agricoltori vicini.
Nelle immagini si vede chiaramente che l’ecosistema ha dei confini, che marca una cesura netta tra ciò che c’è fuori e ciò che c’è dentro: questa era ed è la nostra intenzione, così è risultato l’ambiente fisico che abbiamo costruito plasmato da quella intenzione.
Eremi come il nostro in genere arrotondano economicamente ospitando, cosa che noi non abbiamo mai fatto: venivi, ascoltavi una parola e andavi via, e ancora è così e lo sarà fino alla fine.
Perché? Perché l’intenzione, per essere preservata, ha bisogno di una coerenza che attraversi senza distorsioni i tre piani transitori: il mentale, l’astrale, il fisico. Ci arriverò.
Immedesimati nella realtà superficiale come siamo, ci rimane difficile comprendere come un ambiente fisico sia il risultato di forze generatrici che abitano il sentire, che divengono concetto, pensiero, affettività, emozione, sensazione e infine azione. Un ecosistema come quello dell’Eremo dal silenzio è una realtà unitaria di cui appare allo spettatore l’aspetto fisico ma, colto nella sua unitarietà, esso è la risultante di tutti i piani tra loro compenetrati.
Un ecosistema fisico dunque è come un corpo fisico, parla di chi lo indossa, di chi lo abita: della sua intenzionalità, del suo karma, del suo carattere e del compito esistenziale che lo muove.
“Che lo muove” non che si è scelto, perché non si fa una vita come questa perché la si sceglie, è la vita che sceglie noi.
Aspetti del corpo fisico/ambiente fisico, della sua cura/non cura, svelano molto dell’interiore, anche aspetti che la persona non è disposta ad ammettere.
Chi arriva all’Eremo si confronta, per poter entrare dalla porta principale, con una specie di maniglia fatta con un fil di ferro, una meraviglia di approssimazione fonte di qualche perplessità nei più sofisticati.
Eppure, il visitatore più attento, già da lì, da quel gesto di aprire la porta per entrare in un mondo altro di cui nulla sa usando uno strumento così fragile e precario, potrebbe tratte una infinità di dati sull’intenzione in cui si sta inoltrando e su chi quell’intenzione coltiva e ha improntato in quella forma effimera e impermanente.
Non solo, ma la fragilità dello strumento già lo mette su quell’avviso che poi lo “perseguiterà” per anni se vorrà vivere il Sentiero: la maniglia è di fil di ferro, si piega, se forzi la rovini, la porta non chiude ed entrano le zanzare; il tuo gesto deve essere misurato, accurato, attento, se ti muovi senza consapevolezza squilibri un ambiente, basta un attimo e una grande casa si riempie di insetti molesti e la vita di chi la abita ne è condizionata per giorni o settimane.
Ecco che da come gestisci una semplice maniglia si svela il tuo mondo interiore e quello di chi ti ospita: quella maniglia parla di chi l’ha fatta e di tutti coloro che la usano e non ha pietà né fa sconti.
Il mondo più denso, quello fisico, svela e rivela tutti i mondi che contiene, tutti i mondi che lo creano: vale per chi quel mondo ha creato e per chi quel mondo usufruisce, tutti vengono svelati dal semplice esistere della dimensione fisica che si mostra come un’istantanea impietosa che narra di sé senza abbellimenti.
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Prima di chiudere questo primo post di una serie di almeno quattro, un altro esempio sul corpo-ambiente/fisicità testimone/specchio di tutta l’interiorità: durante un intensivo di tre giorni, un paio di anni fa, il primo giorno imposi a una partecipante di cambiare pantaloni e mutande. Il suo abbigliamento parlava in modo limpido di lei ma non era adeguato all’ambiente vibrazionale nel quale era inserita: quando entro in un ambiente che sorge da una intenzione altrui, o da una intenzione condivisa, fondamentale è la mia consapevolezza relativa a ciò che porto e alla coerenza con l’insieme vibratorio.
Chi sono, cosa sto facendo, cosa porto? Se so rispondere a queste domande userò con criterio una maniglia fragilissima e non turberò un ambiente vibratorio altrettanto fragilissimo.
Ecco che parlando di dimensione fisica siamo arrivati in realtà a connetterci immediatamente con tutto l’insieme unitario: l’apparente stabilità della dimensione fisica è nulla presa a se stante – perché non esiste disgiunta dal resto – è il terminale di una complessità unitaria, è la porta di ingresso e di uscita di innumerevoli forze tutte intersecanti e interdipendenti.
Il piano fisico, e il relativo corpo, sono unità inscindibile con l’intenzione, il pensiero, l’affetto, l’emozione, la sensazione, l’azione: l’ecosistema dell’Eremo dal silenzio parla di questa inscindibilità. Nei prossimi post vedremo l’ambiente astrale, quello mentale e poi quello akasico di Eremo dal silenzio, e non perché vogliamo parlare di noi, ma per essere concreti e accessibili su temi così complessi.
Vedremo anche le dinamiche che si creano in un ecosistema quando in esso si fanno entrare forze perturbanti, come le dinamiche affettive o emozionali turbano gli equilibri, come la mente e la predominanza di certi pensieri inquina le falde.
La materia fisica è relativamente stabile, non così quella astrale e mentale: l’ambiente fisico che abbiamo costruito forse sopravviverà alla siccità, ai nubifragi o all’incuria dei vicini proprio in virtù della relativa stabilità della materia fisica e della lentezza delle vibrazioni primarie, ma così non è sui piani più sottili dove tutto si complica.
*Una particella elementare del piano fisico è composta da due particelle elementari del piano astrale; la particella elementare astrale è composta da due particelle elementari del piano mentale e così via per tutti i sette piani.
Post molto chiaro che richiama al senso di responsabilità. Grazie.
La vibrazione di questo luogo, la percepisco appena svolti per via Caravaggio e diventa più consistente dopo la curva della Bara.
La cura dei fossi, il taglio delle piante, le giovani querce, tutto parla di una cura, di un’attenzione che accoglie chi arriva e lo dispone a sua volta a non violare l’ambiente.
Grazie per questo post perché permette ad ognuno di noi, di comprendere, quanto sia nostra responsabilità favorire l’ambiente vibratorio che abitiamo.
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