Il quinto Patriarca Daiman Zenji era della provincia di Kishu Obai. Nacque orfano di padre e fin da ragazzo entrò nella Via divenendo un uomo della Via che pianta i pini.
Mentre si trovava a Seizan nel Kishu e stava piantando pini, ecco che si incontrò con il quarto Patriarca che era uscito per una passeggiata. Il Patriarca gli dice: «Io intendo trasmetterti la norma [cura] della Via, ma tu sei ormai troppo avanti negli anni. Se puoi aspettare fino a quando tornerai in questo mondo, a maggior ragione anch’io aspetterò te».
Daiman annuisce. Alla fine va e si affida a una ragazza madre del casato di Shu e così rinasce. Ma per questa (nascita disonorevole), viene buttato in un fosso. Però una forza divina lo protegge e per sette giorni rimane illeso; allora viene raccolto e allevato. Fino all’età di sette anni cresce come un fanciullo comune, finché incontra il quarto Patriarca Daii Zenji sulla via di Obai.
Il Patriarca lo vede: è ancora un fanciullo, ma il suo fisico è eccellente! È un fanciullo straordinario!
Il Patriarca gli domanda: «Tu, quale è il tuo nome?».
Egli risponde: «Evidentemente c’è il nome, ma non è il nome ordinario».
Il Patriarca replica: «Questo quale nome è?».
Risponde: «Questo natura autentica».
Il Patriarca dice: «Tu natura autentica niente».
Egli risponde: «La natura autentica è vuoto, perciò è detta niente».
Il Patriarca, riconoscendolo un vaso idoneo, lo fa suo assistente e in seguito gli trasmette la completezza della norma [la cura della Via]. Abitò nella montagna orientale di Obai, facendo soffiare grandemente il vento del suo carisma.
Quando investighi la testimonianza dei patriarchi, il punto è qui: il quarto Patriarca chiede: “Tu, quale è il tuo nome?” Anticamente ci fu un uomo che era del Paese quale, e si chiamava col nome quale[1]. È annunciare che tu sei quale nome. Per esempio, è come esprimere la Via dicendo io davvero sono questo, tu davvero sei questo[2].
[1] Il maestro Daisei a chi gli chiedeva «Quale è il tuo nome?» rispondeva «Ho nome quale»; a chi gli chiedeva «Di che paese sei?» rispondeva «Del paese quale».
[2] Da un dialogo fra il sesto Patriarca Daikan Eno e il suo discepolo Nangaku Ejo.
Il quinto Patriarca dice: «Evidentemente c’è il nome, ma non è il nome ordinario». Vale a dire, il nome che evidentemente c’è non è il nome ordinario; il nome ordinario non è il nome che evidentemente c’è.
L’espressione Il quarto Patriarca dice: Questo quale nome è? indica che quale è già questo, quale fa già essere questo. Questo è il nome. Ciò che fa essere quale proviene da questo. Ciò che fa essere questo, è la funzione di quale. Il nome è questo, il nome è quale. Lo versi anche versando la tisana, lo versi anche versando il tè, lo fai preparando il cibo di ogni giorno.
[→uma] Afferma Jiso nel commento a questo passo: “dove quale è il modo di dire la natura universale di ogni natura individuale”. E questo: “Questo, la realtà concreta della vita vissuta, è quale, la realtà assoluta oltre ogni nome”. [/uma]
[Continua Forzani-Mazzocchi] Il quinto Patriarca dice: «Questo natura autentica».
Il principio che egli addita è che questo è natura autentica. È divenire Budda in virtù di quale. Non si giunge ad apprendere questo solo in quale nome; questo quando è non questo è comunque natura autentica. Pertanto, pur dicendo questo è già quale, è già Budda, il nome è davvero il nome quando è spogliato da tutto, quando passa attraverso tutto. Quel nome davvero è Shu[3]. Ciò nonostante, non si eredita dal padre né dagli antenati, non proviene dal somigliare alla madre. Ah! non consiste certamente nel mettersi allineati con spettatori esterni.
[3] Shu ha due significati: è il nome della famiglia adottiva, e quindi è l’equivalente del cognome, inoltre l’ideogramma shu significa anche ambito circostante, tutt’intorno, onnicomprensivo. Dogen gioca con i significati.
Il quarto Patriarca dice: «Tu natura autentica niente».
Perciò il testimoniare la Via non è condizionato da chi tu sei, anche se è affidato a te: è rendere palese natura autentica niente. Devi sapere, devi apprendere che ora, in qualsiasi momento, ecco: è natura autentica niente. Diventando la testa di Budda, è natura autentica niente? Procedendo verso Budda, è natura autentica niente? Non ostruire i sette passaggi, non arraffare gli otto arrivi.
[→uma] “Natura autentica niente” “La natura autentica è vuoto, perciò è detta niente“: natura autentica libera da ogni condizionamento soggettivo, Ciò-che-È: vuoto di sé, vuoto di ogni categoria, vuoto di senso umanamente inteso, vuoto delle illusorie logiche del divenire. [/uma]
Natura autentica niente: la si impara anche da un istante di immersione nella tranquillità interiore. Interrogati e rispondi: è quando la natura autentica giunge alla perfezione di Budda che si attua come natura autentica niente? O è quando la natura autentica inizia a risvegliarsi che si attua come natura autentica niente? Costringi anche la colonna della rugiada[4] [della tua casa] a porsi la domanda, poni tu la domanda alla colonna della rugiada; sfida perfino la natura autentica a farsi la domanda!
[4] La colonna esterna al muro della casa, detta della rugiada per distinguerla da quelle interne. Esposta alle intemperie naturali, deve essere particolarmente resistente. Analogia della vita così com’è.
[→uma] “È quando la natura autentica giunge alla perfezione di Budda che si attua come natura autentica niente? O è quando la natura autentica inizia a risvegliarsi che si attua come natura autentica niente?”
La natura autentica è una comprensione, un sentire l’adesso che accade e non ha alcuna importanza se quell’adesso, nella sequenza della successione temporale, rappresenta uno stadio iniziale, intermedio, finale: il sentire contemplativo sente l’attimo eterno come natura autentica. [/uma]
È così! La testimonianza: natura autentica niente, è una voce che giunge da lontano, dalla stanza del quarto Patriarca. La si vede e la si ode in Obai, scorre attraverso Doshu, diventa vessillo in Daii[5]. Ecco la via che testimonia natura autentica niente. Senza alcun dubbio devi avanzare spremendo l’anima, non devi frapporre indugio. Natura autentica niente è qualcosa che non devi cercare qua e là con fatica; tuttavia, ecco il segnale che è quale, ecco il tempo che è tu, ecco l’afferrare l’occasione che è questo, ecco il convivere con il nome Shu; ecco quell’oltre che è immediatamente [questo momento].
[5] Rispettivamente, il quinto Patriarca cinese Daiman Konin (601-674), il maestro Joshu Jushin (778-817) e il maestro Isan Reyu (771-853).
[→uma]
– “Ecco la via che testimonia natura autentica niente”: la via altro non è che esperienza della natura autentica, di quello svuotarsi dell’umano e affermarsi dell’Essere.
– “Non devi frapporre indugio”: non porre te stesso tra la vita che accade e l’Essere, l’indugio sorge sempre da quel mettere nel mezzo le proprie esigenze: tutto chiama al vuoto di sé, ascoltalo senza distarti e senza tentennare.
– “Non devi cercare qua e là con fatica”: non si tratta di cercare ma di vedere, ascoltare, sentire ciò che già è, ciò che accade ora. Non c’è un luogo per la natura autentica, né un tempo: il luogo è questo e il tempo è adesso e se ti sei arreso lo puoi sentire, se non ti sei arreso cercherai ancora e ancora.
– “Ecco il tempo” “Ecco l’afferrare l’occasione” “Ecco il convivere” “Ecco quell’oltre”: è qui, la natura autentica, e la puoi cogliere se senti ogni aspetto di questo istante eterno, se scompari come centro di percezione e lasci che solo l’accadere sia, di qualunque natura esso sia. Nello scomparire di sé e nel precipitare della consapevolezza nell’abisso del sentire, sorge il Ciò-che-È, la natura autentica di adesso, l’Essere. [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
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