Fonte: Eihei Dogen, Inmo, Proprio così, traduzione dall’originale giapponese di Jiso Forzani.
Quando il curatore lo ritiene necessario, vengono anche utilizzati frammenti della traduzione di Aldo Tollini così come compaiono nel suo Buddha e natura di Buddha nello Shobogenzo, Ubaldini editore. Dalla redazione del Tollini viene preso anche un brano dell’introduzione e la suddivisione in paragrafi che in Forzani non compaiono.
4 Ciò nonostante, comprendere soltanto proprio così, e non comprendere anche non proprio così, è come non aver indagato questa parola. Per esempio, anche se si dice che l’espressione di un antico buddha è stata tramandata proprio così, quando c’è l’ascoltare la parola di un antico buddha da antico buddha 8, deve esserci un interrogare che va oltre*. Ora, anche se non è mai stato detto in India, anche se non è mai stato detto nell’alto dei cieli, c’è il principio del dire ulteriormente.
*È proprio di chi ha compreso il Reale unitario non fermarsi mai al già conosciuto, vanno indagati altri punti di vista per conseguire altre comprensioni – e dunque attivare altro sentire – per cogliere/sentire la complessità del Reale che si va investigando.
Se noi ci cristallizzassimo sul principio che chi cade a terra non può che appoggiarsi a terra per rialzarsi, rimarremmo vincolati a una ovvietà. Ma possiamo leggere/sentire penetrando in profondità l’intenzione all’origine di una affermazione, o di un punto di vista.
Cioè: “Chi cade appoggiandosi a terra, se cerca di rialzarsi appoggiandosi a terra, anche se passano epoche incalcolabili, non si può certo levare.” Davvero grazie a una sola via d’uscita è possibile rialzarsi. Cioè: “Chi cade a terra senz’altro si leva appoggiandosi al cielo vuoto** 9, chi cade nel cielo vuoto senz’altro si leva appoggiandosi a terra”. Se non fosse proprio così, non sarebbe assolutamente possibile rialzarsi. Tutti i buddha, tutti i patriarchi sono così.
**Se cado perché sono troppo legato alla terra, per rialzarmi dovrò contattare il vuoto in me, scoprirlo e su di esso appoggiarmi per rialzarmi. Se cado perché troppo aereo, dovrò mettere radici e darmi concretezza per rialzarmi.
Se uno chiedesse proprio così: “E il cielo vuoto e la terra, quanto sono distanti?”
A chi chiedesse proprio così, a lui rivolti proprio così va risposto: “Il cielo vuoto e la terra distano 108.000 ri 10. Se cadi appoggiandoti a terra, senz’altro ti rialzi appoggiandoti al cielo vuoto. Chi cerca di alzarsi staccato dal cielo vuoto, alla fine questo non è possibile. Chi cade appoggiandosi al cielo vuoto, senz’altro si alza appoggiandosi a terra. Se cerca di alzarsi staccato da terra, questo è assolutamente impossibile”.
Se non si risponde così, vuoi dire che non si è mai conosciuta né si è mai vista la misura concreta di terra e di vuoto della via di Buddha.
[Tollini traduce] Coloro che cadono a terra, sicuramente si rialzano grazie al vuoto, chi cerca di rialzarsi allontanandosi dal vuoto alla fine non vi riesce. Coloro che cadono a causa del vuoto, sicuramente si rialzano per mezzo della terra, chi cerca di rialzarsi allontanandosi dalla terra, alla fine non ci riesce.
[Tollini commenta] Questo è il principio citato all’inizio di questa parte, la conoscenza del non così com’è. La conoscenza dell’illusione per gli esseri ordinari, il così com’è, non è sufficiente, si deve avere anche la conoscenza del non così com’è, ossia di quanto non è il così com’è del proprio punto di vista. Il percorso dall’illusione all’illuminazione comporta un salto in una dimensione diversa. Perché ciò avvenga bisogna che oltre alla conoscenza della realtà in cui si vive (il così com’è), ci sia anche uno sprazzo di conoscenza che ci faccia intravedere l’altra dimensione, quella cui vogliamo giungere (il non così com’è)***. Si tratta di quel flash che apre uno squarcio su una realtà diversa e ci fa percepire la sua esistenza e la sua raggiungibilità. Questo flash ci permette di avere un punto di riferimento nel percorso verso l’illuminazione e di capire la direzione da prendere. Capire che il mondo è illusione è importante, ma non basta se non si percepisce un mondo diverso, della non illusione.
8 Antico buddha non è un riferimento cronologico al passato, ma sta per buddha perenne.
9 Kū. L’ideogramma kū ha come significato originario quello di cavo, vuoto, e viene comunemente usato in giapponese anche per dire cielo (e in questo caso si legge sora). In questo specifico contesto ho pensato opportuno usare l’espressione cielo vuoto perché è evidente che Dogen si serve tanto della contrapposizione terra – cielo quanto di quella pieno — vuoto (e qui terra rappresenta il pieno, nel senso della concretezza della circostanza). Deve essere chiaro che cielo non è qui usato nel senso di celeste (accezione per la quale userebbe l’ideogramma ten, come fa nei precedenti nell’alto dei cieli e sotto il cielo) ma nel senso di cavità del cielo, che non è occupata da nulla.
10 Ri equivale a circa 4 chilometri. Dogen da’ una risposta che indica contemporaneamente una distanza precisa e una misura incommensurabile, in quanto 108.000 è un numero che indica tradizionalmente ciò che è fuori misura.
***Perché ciò avvenga bisogna che oltre alla conoscenza della realtà in cui si vive (il così com’è), ci sia anche uno sprazzo di conoscenza che ci faccia intravedere l’altra dimensione, quella cui vogliamo giungere (il non così com’è).
Ho dei dubbi che questa sia la lettura corretta: quello che Tollini chiama il così com’è non è la realtà ordinaria, illusoria, è il Ciò-che-È, dunque il non così com’è non è la realtà finale alla quale vogliamo giungere ma una possibilità nel Ciò-che-È. Tollini propone il dualismo del percorso di illuminazione dalla non realtà alla Realtà, dall’illusione al Reale, ma io non credo che Dogen parli di questo.
Dogen tira in campo il vuoto: se non appoggi sul vuoto non ti rialzi. “Anche se si dice che l’espressione di un antico buddha è stata tramandata proprio così, quando c’è l’ascoltare la parola di un antico buddha da antico buddha, deve esserci un interrogare che va oltre” (Forzani) Quando chi ha compreso ascolta chi ha compreso (l’ascoltare la parola di un antico buddha da antico buddha) quel Ciò-che-È che ci viene proposto cosa produce in noi?
“Anche se non è mai stato detto in India, anche se non è mai stato detto nell’alto dei cieli, c’è il principio del dire ulteriormente (Forzani)” Quanto in profondità può essere ascoltato il Ciò-che-È? Quanto si può sentire la realtà in modo diverso e più compiuto rispetto a quanto la si sia mai sentita? Mille volte si sono sentite le parole di quel maestro, sentite (con il sentire), non udite, ma per sentirle ancora, in modo nuovo e a una nuova profondità di sentire, bisogna non confidare sulla esperienza pregressa (appoggiare sulla terra), bisogna sprofondare nel vuoto, come se nessuna esperienza fosse già stata fatta e consolidata, non fermandosi al sentire già conseguito ma osando nuovo e più vasto sentire: allora il Ciò-che-È deve spiazzarci, ogni volta deve spiazzarci, ma non lo farà se sarà risucchiato dalla consuetudine, se ci accontenteremo del sentire conseguito.
Questo significa che il Ciò-che-È, quell’esperienza di Essere senza tempo che sorge, non è acquisita una volta per sempre, ma è ogni volta una sorpresa che scuote il sentire conosciuto e ci sprofonda in abissi di sentire/comprensione nuovi. Ogni Ciò-che-È apre su un nuovo livello di Ciò-che-È, senza fine.
Se mi osservo mentre sperimento il Ciò-che-È, mi è chiaro che non c’è uno sperimentare uguale a un altro: quando leggo la prima volta un concetto di Dogen è un Ciò-che-È di una data natura; alla terza rilettura l’esperienza del Ciò-che-È è diversa, così alla sesta.
Questa possibilità di sentire il concetto nella sua verità muta perché non appoggio sulla terra, sul conosciuto e già dato, ma ogni volta pongo l’interiore sull’abisso del vuoto: questo ci interroga sulla natura del sentire e su quella del Ciò-che-È.
Qui torna il tema del 1+1=3 ricorrente nel Sentiero: un grado di sentire conseguito che si somma a un altro grado di sentire conseguito non produce la somma dei due gradi ma un sentire completamente nuovo, il 3.
Ascolto le parole di una comprensione consolidata, od osservo la forma/azione di questa comprensione assodata e ogni volta ciò che sento non è la risultante del passato, è qualcosa di completamente nuovo.
Affermare: questo è Ciò-che-È, non è esporsi a una tautologia, è, ogni volta, sprofondare in un abisso di vuoto di sé, in un abisso d’Essere mai replicabile, mai uguale a se stesso, sempre un passo oltre il conosciuto.
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