Inmo, Dōgen: nell’ottica del Ciò-che-È, tutto è Ciò-che-È 5

Il patriarca della 17ª generazione, il venerato Soganandai11, ha come proprio successore nella Via Kayashata. Una volta, udendo una campanella di metallo appesa alla gronda di un palazzo tintinnare al vento, chiede a Kayashata: «È suono del vento, è il suono della campana?».
Kayashata risponde: «Non è il suono del vento, non è il suono della campana, è il suono del mio cuore 12».*

Il venerato Soganandai dice: «Ebbene, cos’è il cuore?».
Kayashata risponde: «E che in effetti sono insieme quiete perfetta13».** Il venerato Soganandai dice: «Bene, benissimo! Chi altri se non tu può proseguire la mia strada?».

[Gudo Nishijima, Chodo Cross traducono] “È il suono del vento? È il suono delle campane?”. Kayashata risponde: “È oltre il suono del vento e oltre il suono delle campane, è il suono della mia mente”. Il venerabile Samghanandi dice: “Allora cos’è la mente?”. Kayashata risponde: “La ragione per cui [suona] è che tutto è immobile”.

[Forzani] Alla fine avviene la trasmissione della custodia della vera norma 14. Cioè, là dove non è il suono del vento, apprendo il suono del mio cuore. Quando non è il suono della campana, apprendo il suono del mio cuore 15. Anche nel caso in cui diciamo che il suono del mio cuore è proprio così, è “sono insieme quiete perfetta” 16.***

Trasmessa dal Cielo Occidentale alla Terra dell’Est 17, giunta dai tempi antichi fino ai giorni nostri, per farne il criterio di apprendere concretamente il legame causale, è divenuta un formidabile fraintendimento.
L’espressione di Kayashata che afferma: “Non è il suono del vento, non è il suono della campana, è il suono del cuore”, è interpretata come dicesse che c’è pensiero consapevole18 che sorge nell’esatto accadere del tempo proprio così della capacità di ascolto, e che questo pensiero consapevole che sorge è chiamato cuore 19.
Se questo cuore consapevole non ci fosse, che relazione potrebbe esserci col suono vibrante? In virtù di questo pensiero consapevole 20 si dà l’ascolto, e siccome si può chiamare il fondamento dell’ascolto, è chiamato “il suono del cuore”. Questa è errata comprensione. Avviene così perché manca la forza del vero maestro. Per esempio, è come la spiegazione dei maestri della dottrina del soggetto dominante e del vicino prossimo 21. Quando questo accade, non si tratta della profonda lezione della via di Buddha.

Per coloro invece che hanno imparato a sufficienza nella giusta discendenza della via di Buddha la suprema realtà custodita dalla visione della vera norma 22, cioè la verità che è chiamata quiete perfetta, che è chiamata non condizione 23, che è chiamata samadhi 24, che è chiamata dharani 25, se una cosa 26 è anche poco in quiete perfetta, tutte le cose insieme sono quiete perfetta.

Se il soffio del vento è quiete perfetta, il suono della campana è quiete perfetta. Perciò diciamo che è “insieme quiete perfetta”. È l’espressione che dice che il suono del cuore non è il suono del vento, e il suono del cuore non è il suono della campana, e il suono del cuore non è il suono del cuore 27. Dall’investigare e praticare l’essere così dell’aver cura intimamente 28, allora a maggior ragione si deve dire semplicemente “è il suono del vento”, “è il suono della campana”, “è il suono del soffio”, “è il suono del suono”: così si deve dire. Non è proprio così in virtù del fatto che “Perché ti angusti della cosa che è proprio così”, ma è proprio così in base a “Come ha a che fare la cosa proprio così?” 29.****

11 Si intende la diciassettesima generazione di discendenza diretta a partire da Gotama Sakyamuni Buddha. Soganandai (o Sogyanandai) è vissuto nel II-III° secolo dell’era corrente.

12 Traduco cuore l’ideogramma shin invece del più usato mente per due motivi. Il primo è che anche in cinese e in giapponese questo ideogramma è usato anche per dire cuore nei molteplici sensi che la parola ha in italiano, oltre che per indicare ciò che qui indica. Il secondo è che la parola mente è ancora meno efficace di cuore (della cui ambiguità sono pur conscio) a rendere il senso qui presente e inoltre si presta a fraintendimenti di carattere intelletual-psicologistico che allontanano ulteriormente dal vero significato. Mente sembra essere più una traduzione italiana dell’inglese mind che non la traduzione diretta in italiano del cino-giapponese shin: ma mind ha sfumature di significato che mente non conosce. Capirà in ogni modo il lettore cosa cuore sta a voler dire in questo contesto. Vedi comunque il precedente “Ciò che chiamiamo corpo e spirito si manifesta insieme all’universo intero” che non indica altro da ciò che mio cuore dice.

13 Jakujō, composto di due ideogrammi che vogliono il primo quiete e solitudine, il secondo
pace e silenzio. Spesso viene usato come sinonimo di nirvana. Il vento, la campana, il suono, il mio cuore, l’intero universo, tutt’insieme è quiete perfetta, solitario nirvana. È la quiete del quietismo indifferente, è la solitudine del solipsismo narcisistico, o il vero volto di ogni cosa che non necessita di nulla di altro da sé per essere ciò che è, il vento come vento, la campana come campana, il suono come suono e solo essendo proprio così occupa il proprio posto insieme a tutto ciò che è?

14 Shōbōghenzō wo denfusu.
15 Quando non colgo un fenomeno come dipendente, operazione per la quale la realtà si frammenta e si aliena (il suono dipende dal vento o dalla campana? c’è prima l’uovo o la gallina?) ma lo ricevo e ne partecipo come espressione compiuta e unica dell’essere.

16 Anche quando però recepisco il suono nella forma convenzionale (la campana suona mossa dal vento – e qui proprio così indica l’apparenza del fenomeno come relazione) anche questo è comunque quiete perfetta.

17 Cielo Occidentale sta a indicare l’India, come luogo di ispirazione posto a occidente, Terra dell’est è la Cina, inteso come luogo posto a oriente dove l’ispirazione prende corpo.
18 Nen. È la traduzione cinese del termine sanscrito sati, spesso tradotto in italiano con consapevolezza.

19 La critica di Dogen è molto precisa e attuale. Qui si chiarisce uno dei motivi per cui non traduco shin con mente. Ciò che shin (cuore) vuol dire è infinitamente più profondo di un pensiero di consapevolezza a misura d’uomo. Il pensiero e la consapevolezza c’entrano, ma sono ben lungi dall’esaurire il senso di quel che cuore significa. Come vedremo oltre, cuore vuol dire che ogni dicotomia fra soggetto e oggetto, fra osservatore e osservato è polverizzata, e proprio questa è la porta spalancata della verità che libera.

20 Shin nen.
21 Enshushaku e ringonshaku. Si tratta di due modi di descrivere la realtà della relazione fra le cose, come è indicata in un trattato cinese, il Ta ch’eng fa yuan i lin (in giapp. Dai jōhō on gi rin jō) scritto da Tz’u en ta shih (Jion Daishi) attorno all’ottavo secolo, e che tratta vari aspetti della dottrina Mahayana dal punto di vista della scuola Yuishiki. In parole povere, qui sono di fronte due modi diversi di intendere le relazioni fra le cose: per uno, il cosiddetto soggetto dominante, le cose stanno nella stessa relazione in cui stanno i due componenti di una parola composta (per. es. pescecane) in cui c’è un termine che comanda e dà il senso generale, e un altro che determina e specifica. Per l’altro, il cosiddetto vicino prossimo, si tratta invece di un rapporto come il fiume e le sponde: è tutto ciò che è intorno (le sponde) determinare la realtà del fiume. Dogen conosce bene la dottrina, ma non considera nessuna teoria come esauriente.

22 Mujō bodai shōbōghenzō.
23 Mu i – solitamente tradotto non azione. L’ideogramma i ha vari significati, anche in base alla funzione grammaticale che svolge nella frase. Vuoi dire anche a causa di, per questo motivo e qui sembra appropriato il senso di qualcosa che non è a motivo di qualcos’altro, quindi non condizionato.

24 Zanmai, in sanscrito samadhi, immersione totale nella realtà di quel momento.
25 Parola sanscrita che letteralmente significa ciò da cui qualcosa è sostenuta. È espresso da un suono che non ha un significato descrittivo volto a definire quella cosa in rapporto ad altre, ma un puro valore fonetico attribuito a quella cosa. Equivale al mantra della tradizione indiana.

26 Una cosa (hō – dharma) qui non è un oggetto che sta di fronte a un soggetto o una cosa fra
tante, ma la natura autentica di ogni cosa. Un briciolo di verità è tutta la verità e allora tutto è
verità.

27 Il suono del vento penetra l’intero universo fino in fondo, non c’è dove non giunga, ma questo non significa un’indistinta reciprocità: il suono dell’intero universo non è il suono del vento. Il suono del cuore così inteso non è definibile neppure come suono del cuore.

28 Il rapporto così intimo e accurato con la realtà che impedisce di dire null’altro che ogni cosa è se stessa.
29 Dogen sostituisce un termine della frase del maestro Gukaku che si trova all’inizio di Inmo: al posto dell’ideogramma shu – angustiarsi scrive l’ideogramma kan – aver a che fare.

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