Fonte: Eihei Dogen, Inmo, Proprio così, traduzione dall’originale giapponese di Jiso Forzani.
Quando il curatore lo ritiene necessario, vengono anche utilizzati frammenti della traduzione di Aldo Tollini così come compaiono nel suo Buddha e natura di Buddha nello Shobogenzo, Ubaldini editore. Dalla redazione del Tollini viene preso anche un brano dell’introduzione e la suddivisione in paragrafi che in Forzani non compaiono.
(Dogen parla della saggezza/sapienza, ndr) Non è qualcosa che viene, non è qualcosa che entra.* Per esempio, è come il dio della primavera che incontra la primavera 48. La sapienza non è presenza di pensiero consapevole, non è assenza di pensiero consapevole. La sapienza non è l’esserci del cuore, non è il non esserci del cuore 49.
[Tollini traduce] La saggezza non ha pensiero e non ha non pensiero. La saggezza non ha coscienza né è priva di coscienza.
*La saggezza (si veda il post precedente in cui definiamo la differenza tra saggezza e sapienza) non è qualcosa che viene dall’esterno, è intrinseca all’Essere, al compreso, al sentire conseguito; non è dunque in relazione al pensiero consapevole o inconsapevole. La saggezza è oltre il Ciò-che-È o l’assenza di Ciò-che-È, semplicemente perché precede il Ciò-che-È, né è la causa prima e il Ciò-che-È da essa discende.
A maggior ragione come può aver a che fare con grande o piccolo, come si può trattare in termini d’illusione o satori? Ciò di cui si parla è che, senza neanche sapere che cosa è la verità di Buddha, senza averla mai prima udita, senza averla agognata, senza neppure averla chiesta, udita questa verità, il debito di gratitudine si fa leggero e il proprio corpo è dimenticato, perché il corpo e il cuore di chi ha la sapienza non è fin dall’inizio cosa sua: così avviene.** Questo è il senso di dire “allora è in grado di credere e comprendere”.
**Paragrafo complesso dove Dogen fa di tutta un’erba un fascio. “Perché il corpo e il cuore di chi ha la sapienza non è fin dall’inizio cosa sua: così avviene”: niente è nostro perché “nostro” non esiste, è pura illusione, eppure la saggezza non abita ogni manifestazione illusoria, ogni individuo che si affanna nel divenire, allo stesso modo.
Se Dogen parla di Essere e di Eterno Presente, allora non c’è alcun grado differente di saggezza. Se parla di Ciò-che-È, idem, ma se parla di divenire esistono saggezza e saggezza in relazione all’ampiezza del sentire conseguito. Questo perché, come abbiamo detto nel post 7, la saggezza deriva dall’ampiezza del sentire/comprensioni acquisite, e dunque dalle esperienze nel mondo del divenire.
Nell’ottica del Ciò-che-È, l’espressione di Dogen: “così avviene”, è perfetta, infatti nella disposizione del Ciò-che-È nulla conta ed è soggetto a divenire, nulla è nostro, Tutto-È e semplicemente accade.
Non sappiamo quanti giri di nascita e morte, pur possedendo questa sapienza, giriamo fra polverose incombenze. Ora, è come una pietra che avvolge una perla, ma la perla ignora di essere avvolta dalla pietra, e la pietra non sa di avvolgere la perla. La persona che sa questo è la persona che la prende. Non è qualcosa che la perla attende, non è qualcosa che la pietra aspetta, non dipende dalla conoscenza della pietra, non è nel pensiero della perla. In verità, benché l’uomo e la perla s’ignorino l’un l’altra, senz’altro è come se la via della verità fossa udita dalla sapienza 50.***
[Tollini traduce] Non dipende dalla comprensione della pietra e neppure è il pensiero del gioiello. Cioè, l’uomo e la saggezza non si conoscono reciprocamente, ma succede che la Via sicuramente si accorda con la saggezza.
***“Benché l’uomo e la perla s’ignorino l’un l’altra”: se la perla è la saggezza/sapienza (o un suo equivalente), affermare che l’uomo e la pietra si ignorano è privo di senso essendo l’uomo la manifestazione della saggezza (dei diversi gradi di saggezza conseguiti, o realizzati, se preferite).
“La via della verità fossa udita dalla sapienza”: impostata male la questione ora Dogen la peggiora, la saggezza diviene una astrazione totale.
Sono affermazioni imbarazzanti: da un lato ci sono uomo e saggezza che si ignorano, dall’altro c’è la saggezza che svetta e conduce tutto a sé.
[Gudo Nishijima, Chodo Cross traducono] “In altre parole, un essere umano e la saggezza non si conoscono, ma sembra che la verità venga infallibilmente discernuta dalla saggezza”.
Anche Gudo Nishijima, Chodo Cross confermano che umano e saggezza non si conoscono.
Il limite evidente di questa impostazione di Dogen risiede nella sua dualità, sembra non esserci una visione antropologica altra, unitaria. Sembra che l’umano acceda alla natura autentica – che pure gli è propria – per puro caso.
Ricapitoliamo quanto affermato nei post precedenti sulla saggezza (che Forzani chiama sapienza): essa deriva dalla struttura del corpo della coscienza (akasico) e dalle comprensioni conseguite, dunque dall’ampiezza del sentire strutturato. Il sentire/saggezza è come un magnete che attrae il metallo, il sentire e l’umano sono indissolubilmente uno, è il sentire che crea l’umano e le scene che egli vive e tanto più il sentire è ampio e strutturato, tanto più l’operare umano è interno alla sua natura autentica, è in armonia unitaria con essa.
C’è una parola che dice: «Chi è senza sapienza dubita incredulo, per questo senz’altro è perduto per sempre» 51. La sapienza certamente non è un esserci, la sapienza certamente non è un non esserci, eppure, c’è il tempo in cui è, come pino primaverile, c’è il tempo in cui non è, come crisantemo autunnale 52.
Quando è “assenza di sapienza” la suprema verità tutta intera è “dubbio incredulo”, tutte le cose fino in fondo sono incredulo dubbio 53. Allora in quel momento per sempre essere perduto certamente si dà 54. La parola che deve essere udita, la verità che deve essere dimostrata, tutto è incredulo dubbio. Non dipende da me, l’intero mondo non ha luogo nascosto 55. Non dipende da altri, tutta la realtà è una solida sbarra di ferro (ovvero non muta, ndr) 56.****
[Tollini traduce] Quando si realizza questa non esistenza della saggezza, i sambodhi (la suprema illuminazione) sono tutti dubbio, e tutti i dharma sono dubbio. In questo momento, perdere per sempre è “con questo” (è Ciò-che-È, ndr) Le parole che dovrebbero essere ascoltate, il Dharma che dovrebbe essere realizzato, sono così un dubbio. Indipendentemente da me stesso, non c’è luogo nascosto nell’intero mondo. Indipendentemente dagli altri, le cose della realtà non cambiano e sono sempre le stesse (indipendentemente da tutto, se c’è dubbio, tutto è dubbio, ndr).****
****Molte perplessità. Il concetto è ben espresso da Forzani alla nota 54: “Quel per sempre non è una durata incommensurabilmente lunga da cui non si esce, è il tutto del momento, il sempre dell’ora”.
Chi ha esperienza del Ciò-che-È sa che quello è lo stato del sentire, una percezione vivida di uno stato/livello di sentire: la Realtà viene sentita come Ciò-che-È, eterna/senza tempo, immutabile, totale, unica, unitaria.
Ora, se posso contemplare il dubbio come Ciò-che-È, sono tutto tranne che perduto perché per poterlo contemplare così la consapevolezza risiede nel sentire, e se il sentire è, chi mai è perduto?
Voglio dire: se sono identificato con un dolore, quello è totalità e, in virtù dell’identificazione, mi perdo, ovvero la consapevolezza viene invasa dal transitorio illusorio. Ma se è presente lo stato di Ciò-che-È – di questo stiamo trattando – pur essendoci dolore non c’è identificazione -altrimenti il Ciò-che-È non potrebbe esservi – e dunque non c’è soggetto che possa considerarsi perduto per la semplice ragione che soggetto non può esservi in presenza del Ciò-che-È.
Il soggetto si perde, ma lo stato di Ciò-che-È, lo stato di dubbio dell’esempio, è sentito senza identificazione e dunque non può essere in alcun modo associato alla nozione del perdersi: non c’è soggetto, non c’è perdersi; c’è il Ciò-che-È, la Realtà è sentita come dubbio. Non altro.
L’espressione: “Se c’è dubbio, tutto è dubbio” è tanto d’effetto quanto priva di sostanza, vale per la persona ordinaria in balia dell’identificazione, non nello stato del Ciò-che-È.
48 Il dio della primavera è letteralmente il re dell’oriente, un nome dello spirito della primavera. Non c’è primavera senza dio della primavera, non c’è dio della primavera senza primavera.
49 Non c’è sapienza che non sia cuore (l’intero universo fino in fondo — il sé della mia realtà)
non c’è cuore che non sia sapienza: non è questione di dire che la sapienza è (u) presenza di
cuore o non è (mu – assenza) di cuore. Né l’una né l’altra categoria sono appropriate.
50 L’orecchio che ode la sapienza è l’orecchio della sapienza, non dipende dall’acutezza dell’orecchio umano.
51 È l’opposto del precedente verso di cui alla nota 38.
52 Dogen non fa della teoria per riscattare la realtà contro ogni evidenza: la verità non smentisce la realtà. Vedi anche Ghenjōkoan Divenire l’essere, pag. 15 (Tuttavia…).
53 Nel momento del dubbio la suprema verità è il dubbio e tutto è dubbio. La verità non è messa in crisi dal dubbio, perché non c’è una verità separata dalla realtà.
“La verità non smentisce la realtà””Perché non c’è una verità separata dalla realtà”: vorrei mettere in discussione queste affermazioni che Forzani ogni tanto propone. La realtà che viviamo, in questo caso l’imperare del dubbio, non è detto che sia tutta la realtà: se c’è dubbio tutto è dubbio. Questa è una riduzione molto didascalica. Il dubbio convive con il compreso acquisito e deriva da ciò che ancora compreso non è. Quella del dubbio non è la verità del momento, ma il prevalere della non comprensione sulla comprensione. Ma questa prevalenza non oscura certamente la comprensione acquisita, può, transitoriamente, metterla in secondo piano.
L’imporsi alla consapevolezza della non comprensione (dubbio) è necessario affinché su di essa vi sia una focalizzazione, ma lo svolgersi stesso, il dipanarsi della non comprensione è del tutto in relazione col già compreso e il suo svolgimento è dal compreso condizionato e orientato.
54 Dogen inverte qui l’ordine degli ideogrammi della frase citata in precedenza: così facendo può leggere il verso del sutra mettendo in evidenza una diversa sfumatura: non tanto il fatto che l’essere perduti è per sempre, quanto il fatto che l’essere perduti è qualcosa che accade nel momento del dubbio. Quando il dubbio signoreggia, si è certo perduti, non c’è speranza di salvezza. Quel per sempre non è una durata incommensurabilmente lunga da cui non si esce, è il tutto del momento, il sempre dell’ora.
55 Vedi Busshō — La natura autentica, pag. 32, riga 7. il mondo intero non tiene nulla in riserve occulte.
56 Vedi Busshō — La natura autentica, pag. 34, riga 24, anche se lì il senso è opposto.
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