[Sommario IA] Il dolore rivela l’illusorietà delle interpretazioni personali, mostrando che è una reazione a una presunta “sottrazione indebita” di sicurezze.
Le risposte immediate al dolore sono approssimazioni per placare l’eccitazione mentale e le proteste interiori, ma non soddisfano veramente.
Il dolore è la vita che bussa, un evento gratuito e inspiegabile, che l’ego interpreta come un’offesa personale.
La ricerca di un senso al dolore porta a giustificazioni superficiali e nuove “strutture” mentali che possono essere nuovamente spazzate via.
La via della Conoscenza rivela che la ricerca di giustificazioni e il protagonismo dell’io nel dolore ostacolano l’accettazione della realtà della morte e la continuazione della vita.
Fonte: Via della conoscenza, comunicazioni fondanti riviste e aggiornate nel 2024.
Domanda: voglio sapere, nei casi di forte dolore, che cosa può insegnare la via della Conoscenza, per vivere con una proiezione diversa da quella con cui possiamo viverlo abitualmente.
Una voce: Che cos’è quel dolore che scava dentro l’umano, quando lui si trova impreparato di fronte a esso? Perché, anche se finge di essere preparato, lui sa di non esserlo. E che cosa può comprendere nell’incontro con via della Conoscenza quando, non più afferrato dal dolore, può porsi l’interrogativo: “Di che cosa davvero mi parla quel dolore?”. In quell’incontro l’uomo incomincia a scoprire l’illusorietà di tutto quello che ha affermato su quel dolore, poiché la via della Conoscenza gli parla di altro.
Che cosa gli mostra di un forte dolore? Tutto quello che lui si stava raccontando, inseguendo la mente dentro a quel dolore, cioè di una sottrazione indebita; e anche quando non si è consapevoli di definirla così, dentro di sé c’è il marchio di “indebito”, che significa incongruente con quello che l’uomo aveva prima pensato, sperato, progettato, desiderato, magari anche temuto in quel rapporto, e che ora è accaduto “proprio a lui”.
E come vi provoca la via della Conoscenza, quando parla all’uomo di un dolore che può così tanto ferire, da renderlo bisognoso di trovare in fretta la risposta per curare quella ferita? Dice che quella risposta nata nella fretta non è mai esaustiva, ma è sempre un’approssimazione che serve a placare per un po’ l’eccitazione dolorosa che si è scatenata dentro il mondo mentale. E inoltre serve anche a placare per un po’ le proteste che dentro di lui gridano che qualcosa è stato definitivamente sottratto, e quel qualcosa sono le sicurezze che ognuno pensa di darsi costruendosi un equilibrio prestabilito, che però la vita non può rispettare. Vacilla o crolla il senso che si dà al vivere in un certo modo, e ci si ripete la stessa domanda: “Che senso ha questo dolore?”. Nessun senso. Non c’è un senso all’accadere, ciò che accade non può che accadere.
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Ma voi volete dargli un senso, perché quando il dolore scava, vi vengono sottratte le sicurezze e le difese che avete eretto; vengono proprio spazzate via, scompaginate, e allora sentite il bisogno di rifondarvi per ritrovare un nuovo equilibrio. Scavare dentro il dolore attraverso la via della Conoscenza significa comprendere che questo bisogno di rifondarsi, per radicarsi in nuove abitudini, in nuovi principi e in nuovi progetti, parla solo di una mente strutturata. E anche quello che potete scoprire, pur operando un’osservazione su voi stessi, sulle vostre reazioni e sul brulicare di quei pensieri che ritornano compulsivamente sull’accaduto, mai è quel rispettoso chinarsi davanti alla vita, davanti all’accadere, davanti al mistero.
Perché, nel momento in cui il dolore vi afferra, è la vita che bussa e lo fa a suo modo, un modo che non vi riguarda, poiché la vita accade in modo gratuito, senza possibilità di spiegazione alcuna, ma quel modo gratuito spesso è offesa e ferita per il vostro “io” che riferisce tutto a sé. Però il dolore, nella sua profondità, non ha spiegazione, mentre le spiegazioni sono la superficie e necessitano di nuovi altari, di nuovi bisogni, di nuove speranze. Lì dentro vi create inconsapevolmente la possibilità che la vita spazzi via, ancora una volta, quel nuovo ordine precostituito dentro il vostro mondo mentale.
Provate a osservare quello che vi si presenta davanti ogniqualvolta ricordate l’accaduto e come subito ve la narrate su di voi, sugli altri, sulla vita e sugli avvenimenti per trovare una giustificazione a ciò che è successo “proprio a voi”, non a chi non c’è più. E cercate, cercate per individuarne una ragionevole, una che vi porti verso mete interiori, una che possa accontentarvi e placarvi un po’, anche se dentro qualcosa scava.
Scava perché invita a fermarsi e a non accontentarsi della superficie, ma a inoltrarsi nel dolore per scoprire che quello che ci si racconta sull’accaduto mai è così: è soltanto un modo per giustificarsi nelle proprie reazioni, essendo il dolore reazione. E anche quando è passato il primo momento, continua a essere reazione, perché ogni volta che ritornate sull’accaduto, si eccita tutto il mondo mentale e l’emotività lo accompagna; in quel momento voi siete imprigionati da un’azione/reazione condotta dal pensiero e gonfiata dall’emotività.
L’uomo, nel tempo in cui si prolunga il dolore, cerca di darsi una risposta dentro quel vuoto, che è mancanza e che lui si sforza di riempire, affacciandosi a vari percorsi interiori, creandosi nuove immagini del Divino, e spesso costruendo l’idea della presenza nell’aldilà di chi non c’è più, col quale dialogare, a volte più di quando era presenza concreta accanto a sé. Molte volte, nell’elaborare il dolore, l’uomo lo indirizza verso l’attesa del dopo, e gli dà come senso la speranza che quel dolore “gli serva per”, “gli dia la forza per”, “lo liberi da”, e molte volte il senso per l’uomo si situa nel sentirsi grato a quel dolore perché: “mi ha fatto capire che”.
Se, però, lungo tutta questa ricerca l’uomo si trova a sperimentare un’insoddisfazione crescente, che si approfondisce, allora solo lì la via della Conoscenza può dargli una risposta: risposta che a quel punto lui è in grado di comprendere. E cioè di quanto lui voglia comunque trovare una giustificazione al dolore che preme, e di quanto lui tenti di erigersi come chi è, anche e soprattutto nel dolore, ancora una volta protagonista. La domanda che ci si può fare è se davvero quello che si pensa sull’accaduto sia così grave, così pesante, così devastante, così fuorviante dalla vita del giorno dopo giorno e dagli affetti ancora lì presenti. Chi se n’è andato ha davvero cancellato tutto, oppure giorno dopo giorno è possibile, proprio grazie a quel dolore, comprendere che quella morte riguarda chi se n’è andato e non il protagonismo del proprio “io” che grida per quella mancanza che si fa vuoto, offesa e chiusura alla vita.
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