Una logica valida per il relativo, non può essere altrettanto valida per l’Assoluto. Se noi per comprendere il relativo, giungiamo alla conclusione che il relativo ha un suo ciclo di vita che nasce e muore, non possiamo con lo stesso metro misurare l’Assoluto.
[→uma] Contemplare il flusso del divenire e sentire che è Assoluto in atto, Assoluto che nella sequenzialità e nella separazione assume una forma in quanto è sentito e conseguentemente percepito.
Contemplare la vita che scorre come si contempla un quadro dentro a una cornice, i colori stesi su una tela, le immagini che fluttuano in una TV o nello schermo di un PC.
Chi, davanti al monitor direbbe: questa è la realtà? Tutti riconosceremmo che è un aspetto di una realtà molto più grande. Chi direbbe che la realtà operativa del PC vale anche per noi – è la nostra – che lo usiamo e l’osserviamo?
Il contemplativo sa bene che la realtà divenire non è la realtà Essere, lo sa perché lo sente non perché sposa una interpretazione. Tutti hanno accesso a stati contemplativi ma il contemplativo non è un cercatore di stati, è una complessità che sente una complessità.
Il contemplativo è la contemplazione e questa è il contemplativo, un sentire che non tramonta e tiene insieme divenire ed Essere sentendo lucidamente entrambi, diversi quando inscindibili.
È nella propria pelle, carne, ossa, midollo che il contemplativo sente la complessità divenire/Essere, la sente come vita che scorre e come vita che È, la sente perché lui quello è, il suo sentire è dall’interno della complessità. [/uma]
Così non possiamo parlare di «evoluzione », di teoria di «scorrere», quali noi siamo abituati a concepirli nel relativo, e con lo stesso metro a ricercarli e a ritrovarli nell’Assoluto. Eppure il mondo del relativo è nell’Assoluto, eppure il relativo non è avulso dall’Assoluto, eppure il relativo non è un ente a sé stante dall’Assoluto. Non per nulla non abbiamo mai adoperato il termine «creazione», ma sempre «emanazione».
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