Contemplare il paradigma: eterno presente di Dio e nostro 4

Perché noi abbiamo bisogno di parlare dell’Eterno Presente? Forse – lo dico senza offesa di alcuno – per la vostra mentalità e la necessità di esservi utili in questo nostro insegnamento non v’era nessun bisogno di parlare dell’Eterno Presente.

Fonte: Né caos, né caso, dal libro: Cerchio Firenze 77, Oltre l’illusione, ed. Mediterranee.

Parlando di Dio potevamo fermarci al concetto dell’Assoluto senza approfondire, senza portare in campo il concetto dell’Eterno Presente; avremmo reso più piana la comprensione, avremmo evitato molte complicazioni, molte amarezze, forse, a taluno.
Voi sareste stati appagati dal concetto della manifestazione e del riassorbimento che – badate bene – non è per nulla superato dall’Eterno Presente; che lo completa, che, se non si sente la necessità di conoscere altro, è di per sé esauriente.

Ciò avrebbe comportato minore spreco di fatica da parte nostra e vostra. Ma il quadro generale, la Realtà che andiamo annunciandovi, avrebbe – anch’essa – avuto il suo tallone di Achille. Avrebbe avuto il suo lato debole e sarebbe stata allo stesso livello degli altri sistemi filosofici, delle altre teologie che possono spiegare molte cose, ma che in fondo hanno un lato e un punto, un quesito che non viene risolto. Anzi, che molte volte è in contraddizione con le premesse fondamentali.
Per questo motivo, trascinandovi forse vostro malgrado in campi del pensiero e più oltre, forse dell’intuito, che non vi sono consueti – o che non sono consueti alla maggior parte di voi –
abbiamo voluto mostrarvi ciò che fa di questo insegnamento un insieme di Verità che sopravanzano, ripeto ancora, le filosofie più complesse e più complete, le teologie più filosofiche e più ragionate.

Fino a qualche anno fa la scienza non spiegava neppure con ipotesi le origini dell’Universo; ma la voce ufficiosa dei suoi figli diceva: «L’Universo può essere frutto del caso». Questo, oggi, non è più neppure pensato né ipotizzato, perché le ricerche di laboratorio, le esperienze della scienza, hanno inequivocabil­mente dimostrato che tutto è regolato da un ordine immenso; che l’infinitamente piccolo è contenuto costituito ed esistente su leggi fondamentali in un ordine perfetto; che l’infinitamente grande è egualmente regolato da una perfezione matematica.

In questo quadro di perfezione non v’è posto per il «caso». La creazione intesa come risultato di fortuite circostanze, anche se per assurda ipotesi realizzabile, sarebbe di sua stessa natura tanto caduca, effimera, da esistere solo per giungere al proprio disfacimento, conseguenza della sua origine fortuita. Niente «caso», quindi, né tanto meno «caos». Come parlare di «caos» in un quadro ove l’ordine regna sovrano? E che l’ordine regni sovrano non v’è dubbio. Ogni uomo di scienza – visto che voi credete solo alla scienza – ve ne farà verace testimonianza.

In questo ordine delle materie, l’uomo solo appare il «gran disordinato», perché nel suo modo di agire, nella sua storia, non osserviamo quell’ordine che, invece, tanto abbondantemente
è dimostrato nel creato. È dunque possibile che in un quadro così ordinato di materie, l’uomo – figlio della materia, prodotto di un corpo nel quale l’ordine è ingenerato e in cui il disordine è anomalia – possa degenerare e regnare nel disordine?

O piuttosto non è vero che questo apparente disordine non sia che l’attuazione pratica di un ordine che va al di là di ciò che appare? Certo che in questo quadro ove è ordine, la vita dell’uomo, per quanto disordinata possa apparire, trova un suo giusto posto solo se questo disordine s’interpreta in funzione di un ordine più grande che dall’uomo stesso non può essere colto; che va al di là di ciò che l’uomo, con gli occhi e i sensi del suo corpo fisico, può cogliere; che trascende ciò che l’uomo può umanamente congetturare.

E di questo ordine noi, da molti dei vostri anni, andiamo parlando: di un ordine che solo un Dio
può avere stabilito. Dico «avere stabilito» perché in questo momento ragiono come un uomo che non conosca niente dell’Assoluto, che non sia convinto dell’esistenza di Dio, ma che nello stesso tempo sia disposto a credervi, o ad accettare un’ipo­tesi che si sostenga sulla logica e che dia una spiegazione, per quanto difficile ma plausibile.

Se dunque questo ordine è stabilito da un Ente supremo, occorre che questo Ente sia Eterno, cioè non perituro. Occorre che questo Ente sia «completo». Che cosa vuol dire? Che non manchi di niente. Ecco perché vi abbiamo parlato del concetto dell’Eterno Presente.

Dio, nel cui seno si manifestassero e riassorbissero i Cosmi nei quali avessero vita individui come voi, sarebbe un Dio che spiegherebbe molte domande, che appagherebbe molti interrogativi, ma che avrebbe il Suo tallone d’Achille; che non sarebbe né completo né assoluto, se a Lui non si unisse il concetto dell’Eterno Presente, dell’Immutabilità. Perché se un Dio deve esistere, deve esistere un Dio-Assoluto, e se un Dio deve esistere Assoluto, non può che essere Completo e Immutabile.

Ma per essere Completo e Immutabile, niente può accrescersi a Lui stesso, niente può essere elemento che a Lui si aggiunga, che in Lui sia prodotto di una trasformazione. Tutto deve esservi in Lui.
Ecco dunque perché Egli Esiste, È, in un Eterno Presente.
Il Suo «sentire» – che è un «sentire assoluto» – è un «sentire» che esiste nell’Eterno Presente.

«Meditate!». Ciò significa per voi applicarvi, rafforzare il richiamo di questi concetti a essere compresi; significa assimilare queste Verità. Ma per questa assimilazione dovete rendervi consapevoli delle due dimensioni che non trovano accostamento: la dimensione del tempo con ciò che è senza tempo, che hanno un unico canale di collegamento attraverso al quale ciò che è nel tempo ha un senso e non diviene inutile farneticare di un Ente supremo ammalato di fantasie, ma essenziale «sentire» di un Tutto-Uno-Assoluto.

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