Una comunicazione di Soggetto, via della Conoscenza (16)
Solo una cosa porta l’uomo a credere che operando egli si trasforma o che volendo egli si trasforma o che sforzandosi egli si trasforma, ed è l’ansia di arrivare.
Arrivare, cioè giungere ad una meta che non sta dentro di voi se non per certi aspetti molto e molto secondari, perché quando l’uomo pensa che è necessario adoperarsi e sforzarsi, immagina sempre che questo riguarda ciò che lui non ha ancora.
Ma, quando si fa tacere la mente, emerge ciò che si è, ed allora non serve sforzarsi.
E già qualcuno di voi sta commentando: “Ma, per raggiungere qualsiasi cosa bisogna sforzarsi, perché se io non possiedo quella cosa o se non sono ancora in un certo modo, devo darmi da fare”.
Che brutto concetto è “sforzarsi” o “darsi da fare” nel momento in cui scoprite che invece avete già tutto dentro!
Ma allora serve o non serve la volontà? E a chi serve o a chi non serve? E perché mai serve? E di nuovo le vostre menti stanno commentando: “Serve, però forse non serve per chi è arrivato alla non-mente”.
No, serve anche per chi è arrivato alla non-mente nel momento in cui la non-mente porta quell’individuo ad impegnarsi, anche se per lui non è più un impegnarsi.
Ed in quel momento la volontà emerge, che però per lui è aderire a ciò che avviene in lui, mentre per voi, quando volete raggiungere qualcosa, l’impegno è prendere posizione, cioè scartare ciò a cui non aderite, ed in questo è il limite del vostro sforzarvi.
Nello sforzo voi piegate voi stessi a qualcosa che ancora non siete, e quindi aderite a ciò che pensate sia esterno a voi, scartando qualcos’altro. Chi è non-mente non scarta niente, accetta ciò che accade e nel ciò che accade non si dispiega lui stesso ma la Coscienza.
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Ricordatelo, perché il punto centrale del nostro
insegnamento diverrà molto simile a colui che dice: “Non c’è strada, non c’è mezzo, non c’è nulla, se
non il silenzio della mia mente”, che non vuol dire semplicemente negare la propria mente, ma che significa sfidarla. E sfidare la propria mente non significa battagliare contro i pensieri, ma intraprendere
un esercizio di cui poi vi parleremo.
qual è questo esercizio?
soggetto allude alla pratica/esercizio della disconnessione e della consapevolezza simultanea?
ed è questo il salto di cui parla?
quando l’insoddisfazione dei piccoli passi conduce comunque a cogliere la possibilità del salto..
ottimo.
ma quando non abbiamo il necessario per la sopravvivenza minima quotidiana?
quando le necessità impellenti di mangiare, lavarsi, vestirsi se fa freddo non permettono dilazioni di tempo, che fare?