Sull’amore che tutto è

Continua la riflessione iniziata nel post precedente.
Molto si parla dell’amore, ma a noi non interessa parlarne, ci interessa trasmetterne l’esperienza ed offrire gli strumenti per conoscerlo e sperimentarlo nelle proprie esistenze.

  • Fornire gli strumenti

Non c’è albero che non produca frutto, non c’è persona che non possa vivere l’amore.
A volte l’albero è ammalato; a volte non piove o piove troppo; a volte non è curato a dovere e allora i frutti sono pochi, ammalati e soggetti a non conservarsi.
Il nostro compito, se abbiamo un compito nella nostra insignificanza, non è offrire frutti, ma mettere a disposizione di chi quei frutti desidera, le possibilità e gli strumenti per la conoscenza, la consapevolezza, la comprensione che da soli condurranno al frutto desiderato.
Non è compito nostro distribuire l’acqua, ma insegnare semmai ad aprire il rubinetto.
Questa è la ragione per cui poco parliamo dei frutti e molto della cura dell’albero.

  • Trasmettere l’esperienza dell’amore

Si può fare in molti modi, quello da noi scelto è il modo da persona a persona, della testimonianza più passiva che attiva, del viverlo e del coprirlo con il velo della discrezione.
In quanti modi potrei declinare l’esperienza dall’amore che ci attraversa? In molti, e potrei declinare l’esperienza parlando di meraviglia, di gioia, di senso incontenibile e senza confine. Ma non andrò oltre, questa è una sfera privata e tale deve rimanere.
Ma, come dicevo, l’esperienza dell’amore si può trasmettere da persona a persona: accade durante gli individuali, durante i gruppi, durante gli intensivi.
Pervade l’ambiente e lo rende saturo del suo essere tutto ciò che è e che c’è.
Possiamo fare l’esperienza dell’amore conoscendo ciò che in noi ci separa da esso, ce lo vela e ce lo nasconde.
Possiamo farla incontrando qualcuno che quella realtà vive nella sua ferialità, qualcuno per cui è norma, quotidiano integrato e ordinario.
Possiamo anche incontrare l’amore nelle parole, anche in quelle del web, o di un libro: è naturale, esse fanno risuonare qualcosa  che in noi già c’è, che ci appartiene ma non è così evidente e lo diventa quando viene risvegliato.
Noi abbiamo fatto la duplice scelta:
– dell’offrire alcuni strumenti per aprire il rubinetto dell’acqua da sé;
– dell’offrire una testimonianza silente di ciò che vive in noi come amore compreso, lasciando che si manifesti come fatto nella relazione, nella presenza, nella vicinanza.

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1 commento su “Sull’amore che tutto è”

  1. Ho letto entrambe le riflessioni su questo tema del limite come lo strumento più efficace.
    Si parla di tenere da parte quelle sfumature che parlano anche dei momenti ‘premianti’ ma non condivido questo termine, lo uso solo perché usato in queste due riflessioni.
    Questi momenti ‘pregnanti’, direi meglio, seppur testimoniati con la presenza, vengono taciuti perché autoreferenziali, parlano solo di chi questi stati ha raggiunto ma non sono di nessuno aiuto viene detto.
    Mi chiedo, proponendo il limite come unico mezzo che porta alla conoscenza, consapevolezza, comprensione, non c’è come un utilizzare uno strumento, la comprensione di un ampio sentire che si è riversata sul nostro buon amico ad esempio, a metà?
    Usando un’altra immagine proposta nelle due riflessioni quando si parla di un certo sapore dell’acqua, non c’è il dubbio, parlando esclusivamente del limite, che questo non lasci spazio alla possibilità di assaporare quell’acqua che potrebbe innescare in chi l’assapora anche la spinta necessaria, o meglio indicatrice, a trovare quell’acqua in sé?

    Togliere con il paradigma del limite gli ostacoli che impediscono il fluire di quella libertà totale che solo l’amore e la fiducia può far sorgere;
    Aggiungere un sorso d’acqua fresca nel secchio appena svuotato che inneschi il desiderio di saggiarla o di riassaggiarla.

    La via che contempla il tutto, gli opposti dell’umano: Zorba il Buddha.
    La via di Zorba del bere tutte le sfumature della vita per arrivare a quell’equilibrio della via di mezzo del Buddha?

    Mi rendo conto che quest’ultima citazione è pericolosa perché mi espone oltremodo, connota questo commento in un alveo ben riconoscibile e può essere che venga definito ‘circo’, ma non sono qui, in questo cammino, per essere protetto ma per espormi ed osare, con tutti i limiti delle mie limitate comprensioni.

    Un abbraccio fraterno.

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