Non ho corso in questa vita il rischio del rimanere seduto, dell’aspettare, dell’omologarmi.
Il rito sociale, consolatorio e rassicurante, dell’intruppamento non mi ha contagiato. Non ho fatto niente per essere contro a priori, ma il consentire al punto di vista generale non mi ha mai attratto. Perché?
Perché la realtà collettiva è adesione a degli archetipi collettivi che hanno una loro utilità per un tratto del cammino esistenziale ma, alla lunga, divengono macigni che ostacolano il cammino di conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il film personale è soggettivo; l’archetipo è collettivo: bisogna sapere quando è tempo di abbandonare i secondi per adempiere compiutamente al primo.
Cos’è un archetipo? Una religione è un archetipo; un principio morale è un archetipo.
Esistono anche piccoli archetipi, che forse sarebbe più corretto chiamare forme pensiero, che governano e orientano le nostre esistenze quotidiane: la passeggiata lungo il corso della cittadina, è una forma pensiero collettiva. Il manifestare aspetti superficiali del proprio interiore, e il leggere di quello altrui su Facebook, è una forma pensiero collettiva. Pratiche che ci confermano e ci rassicurano: ci siamo, piccole minuscole rituali consolazioni, necessarie quotidiane minute inconsce ricerche di approvazione. L’essere in tanti ci rassicura.
Tutto questo vale fino ad un certo punto del cammino, poi, man mano, si generano altre esigenze ed inizia un lento processo di estrazione: estrarsi dagli archetipi, dalle forme pensiero, dalla massa, dalle quantità e incominciare a vedere i particolari, i dettagli, i singoli fatti nella chiarezza della non adesione e del non giudizio: nella freschezza di uno sguardo non condizionato che ad ogni istante muta, libero di farlo perché non vincolato, non prigioniero di un dover essere, dover fare, dover apparire.
Ci si estrae dal film collettivo, che in sé non esiste ed è solo un’illusione, per entrare fino in fondo nel dispiegarsi del film personale. Questo, naturalmente, non significa che non teniamo più in conto l’altro: al contrario, proprio perchè abbiamo compreso che tutta la realtà ci svela, l’attenzione all’altro diviene particolare.
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