Il frutto avvelenato della mente consiste nel separare la realtà, nel dividerla e frantumarla. Il dualismo divino-umano ne è esempio eclatante.
Postulata questa separazione, che non appartiene alla realtà, ma alla lettura che le menti danno della realtà, è stato giocoforza inventare la figura del mediatore e del rivelatore, di colui che supera quella irriducibilità e riconduce ad unità – indicandone il percorso – ciò che agli occhi della mente risulta separato.
In realtà il mito dell’origine è molto chiaro: il divino e l’umano vivono nell’indistinto unitario; l’umano ha necessità di esperienza, consapevolezza e comprensione e dal processo di queste nasce la separazione. Ne consegue il cammino del dolore e della fatica per comprendere ciò che da sempre è stato lì: la conclusione logica è che quello umano è un cammino dalla inconsapevolezza alla consapevolezza, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla non comprensione alla comprensione del reale.
Dunque nessuna separazione divino-umano, ma il secondo natura-in-manifestazione del primo, secondo i mille gradi della consapevolezza-comprensione conseguita.
Il divino non muta, se mutasse non sarebbe assoluto e l’immagine di un divino che cambia con l’umano fa tenerezza, ma è uno schiaffo alla logica: ciò che cambia è la conoscenza di sé dell’umano che, progressivamente e attraverso le esperienze del vivere, scopre la natura di ciò che chiama se stesso: aspetto del sentire assoluto colto nella sua relatività fenomenica e temporale.
In quest’ottica non c’è alcun bisogno di inventare il dio- che-si-incarna per indicare, mostrare, rivelare, salvare: è nel dispiegarsi del reale che si mostra l’essere di dio, è il creato lo specchio del suo sentire; è il sentire dell’umano in cui fiorisce l’unità la prova che non teme confutazione della natura unitaria del tutto.
L’umano si salva da sé perché il suo perdersi non parla di una separazione ontologica dal suo creatore-origine, ma solo della sua ignoranza: la vita è la scuola che conduce al superamento dell’ignoranza.
In tutti i tempi coloro che hanno conosciuto l’unità l’hanno testimoniata, essendo tutti dio-uomo, essendo quella la natura originaria del reale e quello il fine del percorso di conoscenza-consapevolezza-comprensione che svela come mai l’umano sia stato separato da dio, se non nelle menti degli uomini.
Il dio-uomo svela dunque un’illusione, quella della separazione da cui gli umani sono accecati, rivela nella testimonianza del suo vivere ordinario che l’uno mai è divenuto due.
Ma dio non si incarna, sorge nella carne come consapevolezza-comprensione di ciò che già era, è e sarà.
Dio non diviene uomo, l’uomo non diviene dio ma, piuttosto semplicemente, scopre che mai è stato uomo se non nel limite dei vari gradi della consapevolezza-comprensione che ha attraversati prima di scoprire l’evidenza dell’unità che non diviene, se non nell’illusione.
Un paio di testi di Alberto Maggi sul dio-uomo.
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