La solitudine, ciò che non si può comunicare

Il sentire non si può comunicare.
La consapevolezza della limitazione rappresentata dall’umano, non si può comunicare.
La visione unitaria non si può comunicare, non a menti che tutto dividono e frammentano.
Il senso di estraneità e di lontananza che convivono con la compassione, questo è un paradosso incomunicabile.
La danza tra identità e coscienza, tra umano e sovrumano, le mille sfumature, i micro conflitti, l’immensità del grande che contiene il piccolo asino del non compreso, questo non è comunicabile a menti che tendono al bianco e nero e non alla molteplicità colorata.
Rimane sepolto nell’intimo proprio un mondo vasto ed articolato e con esso una solitudine irriducibile.
Solitudine ed unità convivono, solo gli inebriati dalle prime eclatanze del cammino possono pensare che l’esperienza dell’unità non possa contemplare anche quella della solitudine: “Se sei con Dio non sei solo!” Parole prive di senso.
L’essere unitario vive dentro la dimensione dell’umano e di questa patisce il limite, la lontananza, la solitudine che impone.
L’amore che è e che non diviene mai a sufficienza, mai per quanto in potenza è contenuto, perché non c’è un contenitore adeguato che lo possa ospitare, né nell’incarnato, né nell’ambiente attorno all’incarnato.
L’umano pensa che la solitudine sia esperienza negativa e di alienazione, non sa che l’essere contenuto e sperimentato nell’umano quel frutto produce: l’estraneità, l’irriducibilità, la lontananza.
Possono convivere infinita lontananza ed infinita vicinanza?
Possono convivere unità e separazione?
Possono convivere compassione  e solitudine?
Amore e assenza d’amore?
Convivono nell’essere così come è sperimentato dall’umano.


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3 commenti su “La solitudine, ciò che non si può comunicare”

  1. Percepisco una distinzione: “solitudine” come tu dici propria del sentire, di per sè senza colore, senza connotazione negativa o positiva, ma semplicemente è un fatto; “isolamento” proprio dell’identità, spesso radice di molto dolore, fraintendimento, pesanti nevrosi da portare…termini con contenuti che possono essere estremamente diversi.

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  2. Bellissima questa condivisione.
    Di grande generosità ad aprire uno spiraglio ad un mondo così delicato.

    Nonostante la difficoltà a usare parole per questa evanescenza c’è il tentativo di condividere comunque questa leggera brezza che è quasi inafferabile.

    Io personalmente è questa la strada che voglio percorrere.

    Si può pensare di provare ad entrare in questa stanza così fragile, così piena di cristalli, dove bisogna usare la massima attenzione nel muoversi, in una sessione nel prossimo intensivo?

    Per entrare in queste stanze c’è bisogno di gente che inizia da venerdi, non di persone che vengono all’ultimo momento, trafelate, piene di pensieri.
    Né è possibile o perlomeno è molto più difficile provare ad entrarvi in un essenziale dove l’immersione nel sentire non ha un full immersion come in tre giorni.

    Dimmio Robi se rompo troppo su questo tema!
    Però quando sento l’immenso mondo vivente, pulsante, che ci puoi condividere e che per ritrovarlo bisogna andare dall’altra parte del mondo, mi chiedo perchè questo spreco.

    Grazie!

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    • In realtà, Alessandro, l’apertura su queste stanze avviene in continuazione negli intensivi, nei gruppi, nei post.
      Non avviene in maniera diretta, esplicita questo credo non sia possibile: c’è una sorta di “barriera della discrezione” che lo impedisce, che tutela qualcosa di diretto, là dove solo in diagonale, un frammento alla volta, può affluire.
      Quel mondo ti diviene totalmente accessibile nella comunione dei sentire: se l’organismo è ricettivo e stabile, quello che accade è infinitamente vasto.
      Per coglierlo non deve esserci turbativa in te e nell’ambiente: nella scomparsa radicale di te, quello affiora ed è totale.
      Nella scomparsa anche di quel anelarlo.
      Il mio tentativo è di condurvi lì.
      L’eccesso di mente lo impedisce.
      L’eccesso di desiderio lo impedisce.
      Come tu dici, l’impalpabile ha bisogno di camminare sul filo di percezioni sottilissime che, per evidenziarsi, cercano il silenzio totale di sé.
      Ripeto: quel sentire è comunicato senza sosta, in una parola, in una frase, in un concetto, in un silenzio; senza sosta si dichiara nel suo essere e nel suo poter essere contenuto dall’umano.
      Tutto quello che io porto è già dentro di voi, in quella comunione dei sentire è condiviso: vi diviene fruibile nella relazione profonda che stabilite con il vostro sentire.
      Il pericolo è che questo divenga il vostro trastullo: attenzione.
      Più voi sarete in relazione con il vostro sentire, più ciò che da me giunge sarà condiviso e l’insieme dei sentire splenderà come consapevolezza condivisa.

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