Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.
Mi chiedo, però, a questo punto, da dove sorge quel senso di disagio che provo quando incontro per strada qualcuno che fa l’elemosina e magari “non posso” dare niente perché ho solo banconote, o da dove sorge il bisogno di dare qualcosa quando “posso” farlo.
Quanto ego c’è dietro?
Fino a sabato scorso pensavo che dietro ci fosse una spinta della coscienza e che l’ego potesse magari entrare in gioco dopo, diciamo così, per farsi bello. Sembra, invece, che le cose siano più complesse..”
Il sentirsi interpellati è la chiave: l’altro, con il suo bisogno, ci interpella; compare nella nostra scena, nel nostro film e ci chiede: “Cosa si muove in te? Come reagisci, come ti nascondi, come te la racconti?”
Se in noi si muove un mondo e se abbiamo strumenti per decodificarlo, quel mondo, allora vediamo le spinte e le resistenze e il loro intreccio.
Il procedere umano non è mai lineare, è sempre un processo complesso e non è risolvibile rimanendo dentro lo schema identità/coscienza.
La dinamica identità/coscienza è uno dei livelli di lettura, ma dobbiamo chiederci: da cosa è influenzato l’operare della mia identità? Dal mio bisogno di gratificazione, di obbedienza ad una regola, di pacificazione di un senso di colpa? E da cosa è sospinta una coscienza nel suo produrre senza sosta esperienze? E fino a quando le produce?
Tutta la nostra rappresentazione avviene sotto l’influsso degli archetipi permanenti e di quelli transitori che dei permanenti sono una riduzione operata dalle menti e dalle culture.
Fai la carità perché sospinto dall’archetipo permanente della fratellanza, o dell’amore, o mosso dall’archetipo transitorio della tua educazione morale ed etica?
Ma anche se facessi la carità perché mosso dall’archetipo transitorio, quindi da qualcosa inscritto più nella tua mente che patrimonio del tuo sentire, questo non sarebbe un fatto negativo, sarebbe la conseguenza dell’ascolto di una spinta che ha vari gradi di profondità.
E quel fare la carità, quante domande in te suscita e quanto scambio di dati tra il tuo operare e il tuo sentire, quanto nutre la coscienza e quanto ascolta la sua pressione? Tanto, certamente.
Tutti, in vario grado siamo immersi nel condizionamento degli archetipi transitori e delle loro influenze più o meno limitanti o liberanti; tutti siamo immersi nel programma degli archetipi permanenti che orientano il nostro procedere umano: tra limite e non limite accade tutto il possibile per noi.
Una coscienza è orientata principalmente dagli archetipi permanenti e opera in un contesto regolato dagli archetipi transitori: vive una tensione senza fine dovuta alla spinta degli archetipi permanenti e al limite di quelli transitori che da un lato la veicolano, dall’altro la limitano.
Mentre tu fai la carità tutto questo si dispiega, consapevolmente e inconsapevolmente.
Chiudendo: la questione, ad un certo punto del nostro procedere interiore, non è quanto ego e quanto sentire, ma addentrarsi in una lettura più complessa del reale e dell’agire in esso che non produca condanna o assoluzione, ma consapevolezza lucida e comprensione, quella possibile a noi.
In altri termini: non martoriarsi e non mortificarsi, collocare il nostro sperimentare in un processo e ad esso abbandonarsi sapendo che è il processo che conta, non il singolo fatto che di esso è simbolo.
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