La realtà unitaria di Dio

Vi propongo questo brano del Cerchio Firenze 77 sulla natura di Dio, utile per la riflessione e per addentrarsi nella dimensione dell’essere che usa approcci molto differenti da quella del divenire.
Non mi convince pienamente l’affermazione di chiusura: E quindi la vita degli esseri è la condizione necessaria – se di condizione vogliamo parlare – a rendere assoluta la coscienza divina, l’esistenza divina, perché se la natura dell’Assoluto è sottoposta ad una condizione siamo nelle peste.
Credo che si possa formulare il concetto in modo differente: se consideriamo l’Assoluto come tutto assoluto, allora quel tutto assoluto non può che essere la sorgente del molteplice nel momento in cui dalla dimensione dell’essere si passa a quella del divenire.
Propongo il testo anche per imparare a misurarsi con la riflessione su qualcosa di infinitamente più vasto di noi e del nostro ordinario speculare: troppo spesso rinunciamo ad indagare la realtà e rimaniamo confinati in quegli ambiti dove le nostre piccole menti sanno muoversi.
Per affrontare temi come questo bisogna passare dal ragionare al sentire, usando come strumento d’indagine essenzialmente l’intuizione.

Perché tutto è come è.
Molto spesso questo importante quesito viene rivolto da coloro che si avvicinano all’insegnamento. Tutto va bene, tutto è logico e conseguente, ma alla fine scappa imperiosa la domanda: perché tutto è così? Allora, è bene essere chiari ed espliciti, capire per quale motivo viene fatta la domanda, quale è l’errore nel porre questo tipo di domanda.
Ma perché Dio ha bisogno di emanare i mondi e poi di riassorbirli?
Dicendo questo, si capisce chiaramente che il concetto di Dio non è stato compreso. Perché se si parla in questi termini si parla in termini di divenire, e Dio non conosce divenire.
Esiste un solo Dio che possa realmente esistere ed è Dio Assoluto. Ogni altra concezione di Dio non sta in piedi, non regge, non è logicamente sostenibile, non può esistere. Ma per essere Assoluto, Dio non deve essere un monòlito, non una unità come primo numero della serie dei numeri; ma deve essere poliedrico, molteplice, e l’unità deve risultare dalla fusione trascendente di tutte le sue parti costituenti. (Grassetto nostro)
Quando parliamo della realtà esistente dobbiamo parlare della realtà non come appare nel divenire, ma come è nella sua essenza reale, nel suo essere; e non, ripeto, nel divenire. Se si parla di essere, quindi, non ci sono momenti prima e dopo, in Dio; ma il suo virtuale frazionamento che origina gli esseri, quindi i mondi, è in questo stato di eterno presente, è in una condizione senza tempo, nel vero senso di eternità.
Perciò questi esseri, che nella dimensione del divenire (illusoria rispetto alla reale dimensione di essere) sembrano trascorrere, avere un inizio e una fine, nascere da qualcosa e confluire in qualcos’altro, esistono invece, ripeto, nell’eterno presente, in eternità, in condizione di essere. Talchè, se si potessero visualizzare, li vedremmo tutti scomposti nei loro sentire costituenti; e tutti questi sentire costituenti non sarebbero altro che il prodotto del virtuale frazionamento del sentire assoluto.
Ripeto: virtuale frazionamento, necessario a creare quella molteplicità, poliedricità di sentire, senza la quale Dio Assoluto non potrebbe essere.
Per cui non si può dire: che bisogno c’era di emanare e poi riassorbire?, perché se così si dice si parla di una dimensione di divenire.
Si può solo dire: perché le cose sono come sono? Ed io vi rispondo che le cose sono come sono perché sono nell’unica maniera per la quale può esistere Dio Assoluto.
Questa e questa sola; nessun’altra maniera esiste. E quindi la vita degli esseri è la condizione necessaria – se di condizione vogliamo parlare – a rendere assoluta la coscienza divina, l’esistenza divina. Maestro perché?, Cerchio Firenze 77, Edizioni Mediterranee
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