Mi appresto a scrivere questo post stimolato da una discussione nella comunità: il tema che affronto è scontato per tanti versi, ancora da indagare per altri ed è con l’intenzione di indagare che scrivo.
Quando parliamo di gratuità intendiamo l’operare mosso da una intenzione libera da ogni tornaconto personale e da ogni connotazione egoica: chi opera nella gratuità è libero da se stesso ma, il suo operare, non necessariamente è uno spargere semi al vento, quasi sempre è inserito all’interno di una progettualità e quindi ha una direzione realizzativa.
Quando siamo travolti da un afflato mistico diciamo che tutto nel cosmo è gratuità, ma diciamo qualcosa carico di ambiguità: nel cosmo tutto è governato da leggi e tutte hanno lo scopo di svelare il suo disegno e di condurre le coscienze alla consapevolezza dell’unità con l’Assoluto.
Quindi, il cosmo che si manifesta nel divenire, è gratuito perché non persegue lo scopo di qualcuno, ma non è avulso dal progetto e dalla sua gestione: la legge del karma è il sistema di gestione, di controllo e di verifica più sofisticato che si possa immaginare.
Dobbiamo dunque aver chiaro che gratuità è assenza di sé, ma non assenza di finalità.
Assenza di sé e assenza di finalità finiscono per produrre danni: il genitore che nella gratuità della sua funzione dà soldi ad un figlio tossico, fa danni notevoli.
La carità fatta ad un povero, se non è illuminata dal discernimento, alimenta il racket dell’accattonaggio.
Il volontariato che non porta con sé anche una visione politica del suo operare, finisce per essere la foglia di fico dell’inefficienza e della corruzione del potere e dello stato.
La gratuità è innanzitutto una sfida personale: nella mia intenzione, nel mio pensiero quanto c’è di egoico, quanto di finalizzato ad ottenere un tornaconto, quanto di protagonismo e quanto invece di puro disinteresse per me e di disponibilità all’altro?
Questo è un primo livello della questione, l’intenzione che mi muove. Per alcuni questo livello è sufficiente, non hanno strumenti per indagare più a fondo, per allargare lo sguardo sulle implicazioni del loro operare.
Per altri, la questione non si chiude e si pone un interrogativo ulteriore: il mio operare, mosso da quella intenzione non condizionata da me e dai miei bisogni, che conseguenze ha sull’altro? Ed è legittimo che io mi interroghi sull’impatto del mio operare?
Se i missionari cristiani di tutte le epoche si fossero posti queste domande, avrebbero ancora perseverato nel seminare la loro visione personale di Cristo in tutte le culture?
Se tutti i volontari che quotidianamente sopperiscono alle carenze dello Stato, si ponessero il problema delle conseguenze del loro operare, del bene che fanno al singolo e dello squilibrio che, contro la loro volontà, sono complici involontari nel procrastinare, potrebbero continuare ad operare sapendo che la loro gratuità permette ad altri, tanti, di evadere allegramente le tasse e di non assumersi la responsabilità dei bisogni dell’organismo sociale?
Se l’impulso personale alla gratuità non è legato alla visione politica (che riguarda i molti, la polis), se non è ricco di capacità di discernimento, può divenire un moto sofisticato dell’egoità?
Nel cosmo l’operare di tutte le forze e di tutte le intenzioni è governato dalla legge del karma, ogni più piccolo dettaglio è in essa inquadrato: tutti sono liberi di tutto proporzionalmente al sentire acquisito, ma ciascuno si assume la responsabilità delle proprie scelte e delle sue conseguenze karmiche.
Gratuità e responsabilità procedono assieme anche quando siamo perfettamente consapevoli che il film di ciascuno è soggettivo e solo da quella persona vissuto: non basta dirsi che si opera nella gratuità da sé, bisogna vedere le ricadute sull’altro, ambiente o persona che siano, anche nel proprio personale film.
Il karma governa l’insieme, il sentire ampio tiene assieme l’insieme; la visione limitata si occupa solo della propria motivazione e ad essa basta sapere se è gratuita o meno, ma questo è solo l’inizio dell’opera, altro ci attende.
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Credo che quelli di Robi fossero solo degli esempi, su cui non fare grosse elucubrazioni; le situazioni sono tante e le variabili ancor di più. Mi è chiaro, per quanto mi riguarda, che se vedo uno affogare e lo posso salvare lo faccio, felicemente incurante del fatto che forse lo doveva fare qualcun altro per regole dettate dalla società civile!
Più che giusto! Quella situazione ti ha interpellato e hai risposto secondo il tuo sentire.
Ciò non toglie che magari su quella spiaggia è necessario un servizio di salvataggio ed attuarlo richiede un’azione politica..
E’ sempre interessante il richiamo alla consapevolezza dell’intenzione che muove l’azione e delle conseguenze che la nostra azione ha sull’ambiente e sugli altri. Sicuramente più semplice la prima e meno la seconda. Come distinguere, per esempio, il semplice accattonaggio da quello del racket? Quanto all’esempio del volontariato, non riesco a cogliere bene il passaggio intermedio tra il volontariato da una parte e l’evasione delle tasse dall’altra: forse che il volontariato sopperisce a carenze dello Stato, dovute al fatto che mancano le risorse finanziarie perché non tutti pagano le tasse? Ma se è questo, è sbagliato sopperire a una carenza?
È possibile non avere moto egoico finché non siamo pronti a morire per qualcosa? Non basta sentire ogni più piccolo di questi moti per fare il bene che ci è concesso? In fondo volere la pace non è egoismo?…
Grazie!