Scrivo pensando alle amiche e agli amici che hanno problemi di salute, persone concrete che ho bene a mente e risiedono nel mio cuore.
Consiglio la lettura della prima parte di questo testo, sull’importanza dell’effetto placebo nelle terapie.
Le persone che hanno un problema di salute divengono, per necessità e per scelta, più riflessive e introversive: vanno a monitorare il loro stato, le possibili cause, le auspicabili soluzioni.
Si caricano la vita sulle spalle e sanno che il tempo del fuggire, del divagare, dell’inconsapevolezza, dell’onnipotenza adolescenziale è finito.
Cerco di guardare al presente con i loro occhi, con il respiro delle loro esistenze che, ad un tratto, si è fatto incerto nell’orizzonte temporale.
Come quasi sempre accade, scopriamo il valore di ciò che abbiamo quando stiamo per perderlo.
Cosa abbiamo? Solo quello che accade adesso. E da dove affluisce il presente?
Noi diciamo: dalla nostra volontà, dal caso, dalla volontà dell’altro.
Così ci sembra, ma così non è. Vi farò un esempio.
Mi è sorta alla consapevolezza la situazione di quattro persone del nostro cammino che hanno, in questo periodo, dei problemi di salute.
Scriverò qualcosa, mi sono detto. Non so cosa scrivere, non ho la volontà di scrivere un contenuto piuttosto che un altro, so che posso scrivere, non altro.
Quindi mi affido al caso che farà sorgere quel concetto o quell’altro? No, mi affido al sentire, alla fiducia senza riserva che da lì è sorto l’impulso e lì è la sorgente di quanto va detto.
Procedo dunque senza una sceneggiatura, un progetto, una sequenza di punti da trattare, affidandomi solamente a quel che sorge nel sentire, pervade la mente, attiva l’azione dello scrivere.
L’esempio è banale, forse, ma credo che evidenzi il processo con sufficiente chiarezza: ogni attimo del presente basta a se stesso e porta a galla ciò che lo genera. Ogni attimo esprime un sentire e lo rende fruibile ai sensi.
Ad ogni attimo la vita viene creata dal niente emotivo, dal niente cognitivo, dalla pregnanza delle comprensioni.
Ogni fatto è condensazione di quella pregnanza di sentire, non altro. La realtà che i sensi percepiscono e creano percependola, è plasmata dal sentire che in quel non tempo vibra.
Il presente accade in un non tempo, solo l’azione della mente e dei sensi permette di legare in successione i fatti e crea il film del vivere: un dato sentire – un dato fatto non sono in successione, accadono simultaneamente. La teoria dei fatti, la successione, avviene nel tempo, nell’artificio che chiamiamo tempo.
Adesso, in questo adesso, ciascuno ha la materializzazione del sentire che gli serve: su quello appoggia l’attenzione, la consapevolezza, l’analisi e il discernimento. E l’abbandono di sé.
Quell’apparire fisico, e/o psicologico, di un sentire è un simbolo: denuncia e indica la strada.
Mai denuncia uno stato, una non comprensione senza indicare la soluzione, i passi da compiere.
Immenso è il presente: ventre di tutte le risorse e di tutte le soluzioni. Bisogna avere occhi e mente adatti per frequentarlo.
Il sentire affiora e dice: “Sono qui, in questa forma, lavorami!”. Altre volte suggerisce semplicemente di stare, di risiedere e di lasciar morire le analisi e le domande. Dipende: in genere l’una situazione e l’altra si alternano.
Infinito è il presente: ciò che abbiamo sempre cercato è lì e sta accadendo ora, dentro di noi, attorno a noi.
Non ha confine e non ha limite, se non agli occhi di chi ovunque vede limite e confine.
Non esiste un presente generico, esiste ogni presente, ogni fatto nella sua eternità che colpisce l’attenzione.
È l’attenzione che scorre, che fluisce tra i fatti che, in sé non scorrono, sono senza tempo.
Nelle ore di ospedale, seduti ad attendere che le macchine facciano il loro lavoro, noi possiamo scendere nel ventre del tempo, dei colori, dei suoni, del muoversi fugace, dello sbattere, del risiedere, dello stare.
Le ore di ospedale, i tempi imposti dagli effetti delle terapie, possono per noi divenire non i tempi dell’attesa e della pazienza, ma i tempi della vita minuta che canta se stessa attraverso l’irrilevante.
Quando finalmente cogliamo l’irrilevante, il mai visto, l’insignificante e questo denuncia, testimonia, palesa il sentite che l’ha generato, a quel punto siamo tutti interni alla dimensione del sentire e per noi la malattia è diventata la levatrice della nostra realizzazione.
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Un grande grande abbraccio alle quattro compagne di viaggio
Mi è piaciuto il commento di Catia e concordo col suo sentire
grazie
Grazie…
L’accettazione dell’impermanenza non è acquisita una volta per tutte, ma l’esperienza fatta
si fissa nel ricordo, come l’esperienza del presente, del perdere tutto e dello stare, esperienze che si perdono e si ritrovano.
Quando la malattia ci catapulta di fronte alla possibilità dell’ impermanenza come evento concreto, non solo possibile, è vero, scatta un modo diverso di vedere le cose e tutti gli accadimenti e i gesti che compongono le nostre giornate acquistano una valenza straordinaria, una esistenza pregnante, tutto emerge nella pienezza del presente che accade e l’io si fa piccolo, piccolissimo.
Chiunque è passato attraverso queste esperienze lo testimonia. Tuttavia l’accettazione dell’impermanenza, a mio modo di vedere, non è acquisita una volta per tutte; basta poco per aggrapparci di nuovo alla vita, perchè ciò è parte della nostra umanità. Qualunque sia il nostro percorso umano, comunque, sappiamo che sempre siamo aiutati, in ogni sua fase, e questa convinzione deve guidare i nostri passi, i molti piccoli,” insignificanti” momenti della giornata.
Inchino, gratitudine profonda unita a commozione sono presenti