La paura e le basi per il cambiamento

Un video Unicef pone la questione dello nostre reazioni di fronte ad una persona bisognosa: nello specifico vengono registrate le reazioni di fronte ad una bambina sola per strada, ma ben vestita e curata, e di fronte alla stessa bambina truccata da povera. La prima bambina viene accudita, la seconda ignorata.
Perdonate, ma in sé il video non dimostra niente se non che abbiamo paura e diffidenza rispetto a tutto ciò che può comportare un problema, o un’aggiunta di complicazione nella nostra vita.
Di fronte ad una bambina sola, ma curata e ben vestita, noi sappiamo che la soluzione non sarà complessa; stessa certezza non abbiamo di fronte alla bambina sola e in cattive condizioni: qui si può spalancare un mondo che non consociamo, che possiamo avere difficoltà nel gestire, che ci richiederebbe forze che non abbiamo, o che non vogliamo mettere in campo. Poi, magari, non sarebbe così e la gestione del primo caso e del secondo richiederebbero, alla prova dei fatti, lo stesso impegno, ma noi abbiamo paura della situazione che si configura come più complessa e meno gestibile.
In questa analisi non prendo in considerazione, ovviamente, coloro che rifiutano la seconda scena perché apertamente e consapevolmente ostili e razzisti: non credo siano altro che una piccola minoranza.
La grande parte di noi ha paura di essere destabilizzato e questa paura spiega molte cose, dalla Brexit, al montare in tutta Europa dei movimenti di ricostruzione dei confini e di esclusione di ciò che non si può controllare.
La paura porta con sé la necessità del controllo: essendo un’emozione primaria collegata all’istinto di sopravvivenza, per essere gestita ha bisogno di individuare la fonte della minaccia e di poterla controllare.
In genere, la gestione di queste paure usa formule semplici ed immediate: alla prevalenza dell’istintivo mal si conciliano la riflessione, la ponderazione, il discernimento.
Questa è la ragione per cui le soluzioni semplici e primarie sono proposte da personaggi altrettanto semplici e primari il cui messaggio giunge diretto al ventre del pauroso. La saldatura tra paure ancestrali e messaggi primari è pericolosa e foriera del peggio, la storia insegna.
Se analizziamo la situazione di molti paesi occidentali, vediamo come negli ultimi decenni ci sia stato un impoverimento complessivo della classe media: operai, artigiani, commercianti, impiegati pubblici e privati; vediamo l’alto tasso di disoccupazione giovanile e vediamo come la ricchezza si sia concentrata nelle mani di un’esigua minoranza a discapito della maggioranza; vediamo anche l’incapacità, o la non volontà delle classi dirigenti di mettere mano ad una profonda ed equa redistribuzione dei redditi e della ricchezza dei paesi.
Ampie fasce della popolazione occidentale si sentono minacciate nel loro presente e nel futuro loro e dei loro figli.
In una situazione così precaria e fragile, si manifesta in modo virulento il problema dell’immigrazione, della competizione tra poveri, della redistribuzione tra poveri dei residui di bilanci statali sempre più scarni, o avari.
Cosa poteva avanzare se non la paura? E cosa chiede la paura? Il controllo.
Il ventre non ragiona, non dice: “Redistribuiamo la ricchezza, annulliamo gli immensi egoismi di pochi, mettiamo a disposizione le risorse per garantire una prospettiva a tutti!”, non dice questo, individua un nemico alla volta e cerca di isolarlo.
Il ventre non ha mente e ha bisogno di soluzioni semplici e così trova i suoi sciamani semplici e funzionali ai suoi fini.
La soluzione in sé, di questa situazione, non è difficile: se esistessero classi dirigenti illuminate, avrebbero già provveduto, ma queste non esistono, ci sono solo ciechi che guidano ciechi.
E allora qual è la soluzione? Che si colgano il segni del tempo:
– se non esistono classi dirigenti credibili;
– se le ingiustizie sono intollerabili;
– se la paura condiziona masse sterminate di persone;
– se gli apprendisti stregoni si affacciano sulla scena con le loro seduzioni,
se tutto questo accade, allora, forse è tempo che tutti coloro che hanno lucidità di intenzione e di sguardo possano far sentire la propria voce, il proprio potere, la propria creatività.
L’orizzonte è quello del cittadino che rivendica il proprio diritto di cittadinanza attuando una forma più avanzata di vita democratica che veda il protagonismo dei cittadini camminare assieme alla funzione delle necessarie rappresentanze proprie di statualità organizzate e moderne.
La paura che percorre tanti di noi non può essere esorcizzata e nemmeno combattuta: va conosciuta, addomesticata, gestita, convertita in forza creativa.
Se metti un cittadino qualsiasi di fronte ad uno zingaro, il cittadino ha paura e se gli fai il predicozzo perdi solo il tuo tempo: dai al cittadino le basi di una sicurezza che gli permetta di avere un orizzonte nella propria vita; fai in modo che lo zingaro si assuma le sue responsabilità sociali e lavora perché possa trovare un modo per camminare, nella sua autonomia, all’interno di una società complessa rispettandone le regole ed essendone rispettato.
A me sembra, a volte, che noi, tutti noi invece di mettere mano a quest’opera di ridefinizione del vivere insieme, scegliamo la via del ventre, la via semplice, che ci esime dal confronto, dal discernimento, dalla necessità di trovare la via di mezzo, dall’impegno, dall’assunzione diretta di una responsabilità.
Preferiamo la via radicale, pur sapendo che ci faremo male. Come sempre accade, speriamo che a farsi male sia l’altro e che noi ci si possa salvare.
Ma questo, naturalmente, non lo diciamo.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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Luciana

Fotografia chiara del presente….fa tanto bene mettere a punto il nostro “dove siamo”
Da qui il procedere…e anche qui l’essere gruppo fa la differenza, risveglia, stimola e sprona, ma le soluzioni ancora non riesco a metterle a fuoco pur nella fiducia che accade sempre solo ciò che serve.

nadia

La caccia alle streghe è ancora di moda,poi oggi non c’è nemmeno bisogno di tanto sbattimento…basta un click e restare col culo sul divano…naturalmente parato!

Sandra Pistocchi

La vita ci impatta, come tu dici: gli stimoli che sentiamo, vediamo e ci muovono, ci riguardano, sono la nostra via di apprendimento, la paura ce li fa evitare, ci fa andare avanti a mani basse, ci tiene fermi in una immobilità controproducente e col tempo estremamente dolorosa…

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