Senza pratica meditativa il cammino spirituale è fragile

Intendo per cammino spirituale il percorso esistenziale consapevole che da ego ci conduce ad amore, di comprensione in comprensione.
Intendo per pratica un complesso di disposizioni, attitudini e attuazioni:
1- calare nel proprio quotidiano il paradigma che si va seguendo e perseguendo e di questo, in particolare, il superamento della disposizione della vittima;
2- divenire artefici consapevoli e responsabili di ogni aspetto della propria vita;
3- cercare la coerenza possibile a sé, che è sempre in divenire, tra il sentire, il pensare, il provare e l’agire evitando accuratamente di dire e professare quanto non si è in grado di applicare;
4- praticare l’analisi dell’origine delle proprie disarmonie e dei propri conflitti;
5- praticare la disconnessione dai contenuti mentali ed emozionali;
6- praticare una forma meditativa;
7- coltivare senza sosta la fiducia, l’abbandono al sentire e al suo processo, il silenzio di sé.
E’ evidente che ciascuno cerca di attuare tutto questo secondo le proprie possibilità ed il compreso conseguito: è anche evidente che si parla di cammino, di via quando la persona a questo si applica con consapevolezza, costanza, dedizione.
La via non è una catena di montaggio e nessuno controlla i tempi e i modi, ma non è nemmeno il luogo della narrazione dei propri desideri senza porsi il problema della loro attuazione concreta.
Nel tempo, abbiamo sempre detto che ciascuno fa quello che può perché è inutile prefissarsi obiettivi che non siano alla portata del sentire di cui si dispone: lo ribadiamo.
La persona faccia quello che può, e non proietti di sé un’immagine non vera e non corrispondente a quello che è veramente in grado di attuare e di vivere.
Perché dico questo? Perché esiste sempre il pericolo che il cammino spirituale si trasformi in una pantomima, soprattutto quando non si vive assieme e quindi non ci si svela a vicenda.
Se vivi tra le mura di un monastero, o negli spazi di una comunità, hai poco da nasconderti: tutto parla di te e gli altri ti vedono per quello che sei.
Ma se frequenti una volta al mese per poche ore, e magari non chiedi mai, o quasi, un colloquio individuale a chi ti segue, lo svelamento è più complesso e la pantomima incombe.
Un cammino spirituale è fondato su un complesso di pratiche, di attitudini e disposizioni coltivate con perseveranza: un cammino senza pratiche è niente, pura rappresentazione.
Il problema che si pone a tutti i praticanti, chiamati così non a caso, è quello dell’incarnazione, del calare nel quotidiano il contenuto del compreso che man mano va ampliandosi grazie all’esperienza di vita e all’arricchimento che ad essa porta la via spirituale che si persegue.
Si può percorrere una via senza essere dediti all’analisi di ciò che ci offusca lo sguardo? Senza disconnetterlo dopo averlo conosciuto?
Si può essere sinceri praticanti se non ci si ferma nella gratuità della meditazione? Se non si dedica un tempo al semplice stare liberi da sé e dalla propria centralità?
E come si può progredire in un cammino se non si coltiva senza sosta la fiducia nella vita e nella coscienza e si mette da parte la pretesa di essere noi sempre davanti?
Se andate a vedere, tutto questo è meravigliosamente compendiato nella pratica della meditazione quotidiana: delle sette pratiche sopra descritte, almeno sei si realizzano nella meditazione, in quel tempo che dedichiamo quotidianamente allo stare nudi di fronte alla vita e a noi stessi.
Il mio invito è quello di dedicarsi alle sette pratiche e, in particolare, alla pratica della meditazione nei modi e nei tempi a ciascuno possibili.
Verrà un giorno, per alcuni, in cui quella pratica specifica non sarà più necessaria nel proprio cammino e non si avrà più la motivazione a perseguirla: questo accadrà quando l’intera nostra vita sarà divenuta atteggiamento meditativo, meditazione in atto.
Prima di allora, mi rimane difficile vedere un cammino vero, sincero, autentico e saldo che non appoggi sulla meditazione, su di una pratica meditativa specifica e quotidiana.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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Sandra Pistocchi

Penso roberto, che hai toccato il fulcro della questione, i sette punti sono una traccia indelebile di cosa significhi percorrere un sentiero. Come dici tu il non vivere insieme, la ridotta possibilità di uno svelamento continuo può incentivare la pantomima…per esperienza posso dire che è così. Vengo da una storia personale e da una forma di percorso precedente dove i punto 4 (praticare l’analisi dell’origine delle proprie disarmonie e dei propri conflitti) per necessità è stato un punto fondamentale e di svolta, da unire necessariamente ad una pratica quotidiana perchè potessero sostenersi a vicenda. In una forma comunitaria come la nostra, così rarefatta nel vivere il rapporto quotidiano, credo che dovremmo trovare degli strumenti, che possono essere anche autogestiti, che aiutino in maniera determinante nell’analisi dei propri contenuti.

Catia Belacchi

Vedo che da qualche tempo diversi post insistono sulla pratica meditativa, a testimoniare il cammino spirituale in atto. Non posso che concordare sull’importanza di questa pratica per svuotare i contenuti della mente, fare vuoto interiore,. esercitare la costanza ed aprirsi alla fiducia.

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