Immagine di se stessi. Dizionario del Cerchio Ifior
Una delle caratteristiche di base dell’uomo incarnato – ci hanno insegnato le Guide – è quella di osservare la realtà che vive e di crearsi un’immagine interiore di quello che gli interessa. Ecco, così, che esiste un’immagine di se stessi, una delle altre persone e una, addirittura, dell’ambiente, delle situazioni e di tutto ciò che si incontra nel corso della vita. In altre parole ogni individuo ha, dentro di sé, la rappresentazione della realtà incarnativa che attraversa.
Nella costituzione di questa serie di rappresentazioni sorge però un problema: esse sono condizionate dalla relatività della percezione sensoriale dell’individuo, e non solo, ma anche dai suoi bisogni evolutivi (che gli fanno dare preminenza a certi aspetti a scapito di altri), dalle sue comprensioni e incomprensioni, dall’Io e via dicendo.
Ne consegue che le immagini che l’individuo si forma non sono mai complete né esatte, bensì parziali e, in definitiva, non sempre molto attendibili.
Fattore importante in questa problematica è il fatto che l’immagine che viene creata tende ad essere fissa, sostenuta e mantenuta tale il più a lungo possibile dall’Io che ha paura dei cambiamenti in quanto avvertiti come possibili pericoli alla sua stabilità e al suo possesso della realtà.
Messaggio esemplificativo
Qualcuno ha chiesto «a cosa serve l’immagine?» e, più o meno, avete cercato di dare una risposta; però avete dimenticato la risposta essenziale. A cosa serve l’immagine? L’immagine serve all’Io per illudersi di esistere.
Se l’Io non creasse questa immagine con cui rappresentare se stesso, non avrebbe nessun elemento – secondo lui «palpabile» – per poter affermare che egli è reale, che egli appartiene al mondo fisico; e anzi, tutto sommato – se vogliamo proprio andare a vedere – è anche più reale di tutto il resto della realtà!
Ecco, quindi, che questa è la necessità prima dell’esistenza dell’immagine che l’individuo ha di se stesso.
Ahimè, voi sapete – come abbiamo sempre detto – che l’Io ha in se stesso le armi per la propria distruzione; ecco che, infatti, questa immagine, pur essendo necessaria all’Io per rafforzare se stesso e per convincersi di esistere, di essere più realista del re, è anche quel fattore che induce l’individuo con un minimo di consapevolezza e di attenzione su se stesso, a guardare questa immagine e a essere poco convinto di quello che vede; quindi, a notare questa discrepanza tra ciò che il suo Io crede e ciò che magari è la realtà. Da qui l’esigenza, la spinta a cercare di comprendere di più e tutto quello che ne consegue, come l’avvicinarsi al Cerchio Ifior, o interessarsi di filosofia, e via e via e via, tutti quegli elementi che possono portare a cercare una maggiore comprensione di quella che è la propria realtà.
Ma come fa l’uomo ad accorgersi che è un’immagine, come fa a contestarla, come fa a modificarla? Che sia difficile, non c’è ombra di dubbio, sennò tutti in un paio di vite ce la caveremmo, e invece ce ne vogliono molte di più! Il problema è che bisogna pensare all’uomo non come un individuo limitato, settoriale, bensì costituito da varie componenti. Certamente c’è la componente che dà questa fittizia vita all’Io – che è costituita dai corpi inferiori, quelli cosiddetti «transitori» – ma c’è anche la componente che dura sempre, che è quella della coscienza; ed è proprio dalla coscienza che viene l’impulso a comprendere, ed è proprio dalla coscienza che viene, alla fin fine, ad essere messo in atto quel meccanismo che tende ad osservare l’immagine che di se stesso si crea l’Io mettendo il tarlo del dubbio in chi osserva da «osservatore» e non dal punto di vista dell’Io.
Noi abbiamo sempre detto che tutto nella Realtà è una specie di perfetto orologio svizzero in cui tutti i meccanismi sono interagenti tra di loro e tutto si muove; attraverso il piccolo movimento di una rotellina tutto l’universo si muove di conseguenza.
L’immagine che avete di voi stessi è l’immagine che ha il vostro Io di voi stessi; difficilmente avete un’immagine che discordi da quella dell’Io, a meno che non siate così capaci di osservare voi stessi mettendovi da parte da rendervi conto che quell’immagine è falsa; ma allora, probabilmente, non sareste qua nessuno di voi!
Però, quello di cui non vi rendete conto è che voi, questo discorso dell’immagine, lo applicate all’individuo, «l’immagine che io ho di me stesso», ma in realtà voi, la vostra vita la conducete secondo un’immagine di «tutta» la realtà; il vostro Io si fa un’immagine della realtà, si fa un’immagine … che ne so … della politica in America, si fa un’immagine di come si comporta l’amica G., si fa l’immagine di come sono i rapporti tra di voi; l’Io è un continuo formarsi di immagini, e le immagini che si forma sono quelle che, solitamente, più vanno d’accordo con i suoi scopi. E quali sono i suoi scopi? Principalmente espandere se stesso nel tentativo di fare sua tutta la Realtà in maniera da poterla tenere sotto controllo.
L’espansione dell’Io, che – da un certo punto di vista, concettualmente – è molto utile perché dà l’idea di questo tentativo da parte dell’Io di fagocitare tutta la realtà, può però anche indurre in un errore grossolano, perché «espandersi» porta in sé l’idea del movimento; in realtà lo scopo dell’Io è quello di mantenere tutto immobile; lui non vuole espandersi e conquistare la realtà: vuole che la realtà si fermi e riconosca che lui è il centro, il perno stabile di tutta la realtà, è questo il punto; quindi non è che l’Io voglia proprio combattere con la realtà ma semplicemente vuole che la realtà si fermi perché in quel momento a lui sta bene che le cose siano così e, quindi, per la sua grandezza, per il suo desiderio, per i suoi bisogni, la realtà deve piegarsi, fermarsi in quella situazione, in quell’immagine che, secondo lui, è ottimale per se stesso. Dicendo «immagine ottimale per se stesso» intendo l’immagine che ha di se stesso, l’immagine che ha degli altri, l’immagine che ha della realtà. Praticamente è come se lui, sentendosi un dio onnipotente, volesse crearsi un «eterno presente relativo» partendo dall’assunto che la realtà non solo «è» adatta a lui, ma «deve» essere adatta a lui; non può essere altrimenti. È lui il centro dell’universo, no?
È un po’ come secoli fa, quando si pensava che fosse la Terra al centro dell’universo; è ancora un passettino più avanti: lui è, addirittura, lui stesso il centro dell’universo, tutto ruota intorno a lui, è lì per lui, per far piacere a lui; e non sa poi – ironia della cosa! – quanto in realtà sia tutto vero questo; perché, in realtà, tutta la Realtà esiste «anche» per lui, però certamente la prospettiva è un’altra.
Dunque, l’Io si crea questa immagine e cerca di fermare la realtà: un fermo-immagine del proiettore dell’esistenza, in modo tale da fermare l’immagine sul momento che più gli sembra ottimale per se stesso. Dove sta il problema? Perché non ci riesce? A questo punto, dovreste essere tutti autistici, crogiolati nell’ammirazione di voi stessi – e non soltanto per qualche momento, come fate di solito, ma sempre – e, quindi, la vostra vita non avere più spinta né senso per andare avanti per modificarla; giusto?
La spinta avviene naturalmente, un po’ per i movimenti dall’esterno – perché gli altri non sono lì per il vostro benestare, ma sono lì per vivere anche loro – viene dai loro Io che cercano, a loro volta, di fare di voi quello che voi volete fare di loro e, quindi, da questo confronto, molte volte nasce qualcosa di utile, e viene dal fatto che vi rendiate conto con un minimo di consapevolezza – quando la possedete, come dicevo prima – vi rendete conto che la vostra immagine, a cui siete così attaccati, non è più la stessa. Ma non è più la stessa non per sfumature piccole, ma non è più la stessa perché nel giro di una settimana, di un mese, è completamente diversa; e allora, a quel punto, la terra incomincia un po’ a tremare sotto i piedi dell’Io, perché incomincia ad avere dei dubbi sulla propria onnipotenza. Scifo
Immagine di se stessi, approfondimento
Dal momento che le immagini che ci creiamo sono fisse, non possono tenere conto dei cambiamenti che, nel frattempo, noi stessi, le altre persone o le situazioni hanno messo in atto.
Diventa allora indispensabile ricordarsi di non restare aggrappati alle immagini che abbiamo ma cercare di aggiornarle rendendole il più aderenti possibile alla nostra realtà corrente.
Questo ci permetterà di essere più facilmente sinceri con noi stessi, di tendere meno alla cristallizzazione, di non giudicare gli altri senza dare loro alcuna possibilità di riscatto e di comportarci meno spesso di quanto facciamo in maniera irragionevole per non dire sciocca.
Immagine di sé, differenza con l’Io
Ovviamente immagine e Io sono strettamente correlati. Sappiamo che, secondo l’Insegnamento, l’Io non ha una sua esistenza reale; l’Io si potrebbe quasi dire che è una situazione in cui l’individuo si trova, una risultante del comportamento all’interno dell’incarnazione dell’individuo tramite le sue componenti fisica, mentale e astrale. Ora, questo dà vita a una fittizia personalità che, a un certo punto, cerca di essere vera, di essere reale e, per far questo, cosa deve fare? Deve costruire se stessa. Ricordiamo che quando l’individuo nasce, al di là del corpo fisico, nasce praticamente senza Io, ha soltanto un’identità fisica.
Un po’ alla volta questo Io si struttura, grazie all’intervento degli altri corpi: del corpo astrale e del corpo mentale.
A mano a mano che questi altri corpi intervengono, l’Io si struttura, e ha necessità – per prendere vita, quanto meno «apparente» – di identificarsi con qualche cosa e, siccome si trova a vivere all’interno del piano fisico con vari individui – cosa ha bisogno di fare? Di avere un’immagine di se stesso che stia quanto meno alla pari degli altri individui; quindi, un’immagine non soltanto fisica ma completa e caratteriale di come lui è in confronto agli altri. Sappiamo che l’Io avverte la necessità di apparire «meglio» degli altri; ecco, quindi, che l’Io un po’ alla volta si costruisce quest’immagine di potenza per cui egli cerca sempre di mostrare la propria superiorità nei confronti degli altri individui incarnati che incontra. Diciamo, così, che l’immagine dell’Io non è altro che «un riflesso» dell’Io: un’illusione dell’illusione, poi, alla fin fine.
Il cambiamento dell’individuo nel tempo, grazie alle esperienze di vita, diventa percepibile allorché l’individuo riesce a fornire all’Io, riuscendo a vincere le sue resistenze al cambiamento, un’immagine aggiornata di se stesso. Questo è un meccanismo non solo inevitabile ma addirittura indispensabile per poter mantenere in movimento l’evoluzione dell’individuo. Senza questo meccanismo di continuo aggiornamento dell’immagine, l’Io non cambierebbe, quindi non riuscirebbe a cambiare neanche l’individuo.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata