Suona la sveglia: siamo nel cuor della notte, le 2.40; ci si veste in fretta e percorrendo il chiostro semibuio ci si avvia subito alla chiesa. Dalle vetrate si scorge, sul giardino del chiostro, lo stellato chiaro, o il lume della luna che inargenta il tronco della betulla e fa scintillare il vialetto di pietra. Ma la vista più bella è data dai pleniluni sul mare, che si possono scorgere dalle finestre subito dopo il dormitorio: una luna enorme sul mare a specchio, che va dall’argento all’oro, sino ad assumere una sfumatura quasi rosa quando c’è una leggera foschia. Non c’è tempo di fermarsi, ma è come una boccata di bellezza che riempie i polmoni dello spirito, prima di immergersi nella preghiera.
Il rintocco della campana, il suono dell’organo, le note dell’antifona gregoriana «O admirabile commercium…» che da secoli aprono le notti dei monaci e delle monache, ricordando loro il mistero per il quale Dio ci ha fatto dono della sua divinità, prendendo su di sé la nostra umanità. Seguono gli inni, la salmodia, che si alterna con le letture; la liturgia sgrana per noi i misteri delle Scritture, la sapienza dei Padri, e le parole antiche distillano la contemplazione della Verità che tanti prima di noi hanno indagato nelle loro notti.
Talvolta, la mente si illumina e il cuore vola, particolarmente nelle grandi solennità in cui la notte della fede si fa per noi trasparente più che l’aria nel plenilunio chiaro; talvolta invece la stanchezza si fa sentire e bisogna combattere la buona battaglia contro il sonno. Ma il Signore, che conosce bene la piccolezza delle sue creature, è con noi comunque. Dopo il canto delle vigilie, si va nello Scriptorium, e per un’ora ciascuna può starsene in silenzio al suo tavolino, cercando di approfondire nella riflessione personale una pagina della Scrittura. Si cantano poi le lodi, in chiesa: in estate al primo albeggiare, in inverno siamo ancora nel cuor della notte. Con un alternarsi di preghiera silenziosa e di canto si arriva al culmine della mattinata, la celebrazione dell’Eucarestia.
Noi la chiamiamo la Messa Conventuale: siamo tutte assieme, celebra il nostro Cappellano, un monaco come noi. Qui diveniamo e siamo un corpo solo, unite dall’unico Pane. Qui si celebra e si incomincia l’avventura di ogni giorno, che è proprio quella di costruire una comunione piena fra di noi, di costruire la comunità, di divenire, come un tempo gli Apostoli, un cuore solo e un’anima sola, per lodare insieme il Creatore nel cuore della Chiesa e a nome di ogni uomo.
Dopo quattro ore di fila di silenzio e di contemplazione inizia la giornata, in cui il lavoro e le altre attività saranno via via intercalate dalla preghiera liturgica in chiesa, sempre cantata, secondo una sapiente disposizione che molti secoli fa il nostro Patriarca, San Benedetto, ha pensata per noi.
In questo periodo, stiamo raccogliendo le olive: giovani e anziane, tutte quelle che possono, escono nei campi. Si passa accanto all’orto, dove i cavoli allargano le loro grandi foglie, e si percorre una via che costeggia il bosco, che inizia appena a colorarsi e lascia cadere generosamente le sue ghiande. Ci si affolla infine attorno agli ulivi per la preziosa raccolta, che per grazia di Dio è normalmente abbondante. Il lavoro comune, quello fatto assieme, è come una festa, che aiuta a portare la fatica.
La campagna non basta però per vivere; e le monache vivono del lavoro delle loro mani, per scelta e per regola, dandosi da fare in vari modi. L’attività principale è un laboratorio artigianale dove confezioniamo noi stesse alcuni profumi dalla fragranza classica e una gamma di creme alle sostanze naturali. […]
Noi siamo felici di poterci guadagnare il pane, e anche di soccorrere i poveri. Da sempre i monasteri sono come porti dove qualcosa arriva e qualcosa parte; noi abbiamo come compito particolare l’aiuto a un nostro monastero in Africa. Laggiù le sorelle lavorano come e più di noi, ma le condizioni del paese non permettono guadagni, e folle di poveri e rifugiati assorbono da anni le loro risorse. Ma è bello il fatto che tanti amici, specie qui in Toscana, al corrente di questo, ci aiutano generosamente in mille modi. […]
Il ritmo di una giornata
2,40 Sveglia
3 canto delle vigilie – lettura
5,15 canto delle lodi – orazione
6,15 Messa-capitolo (incontro comunitario)
8,30 canto di terza -lavoro
11 fine del lavoro
11,15 canto di sesta – pranzo – tempo libero
13,30 canto di nona- lavoro
16,10 fine del lavoro
16,40 canto di vespro – orazione – cena
18,20 lettura in comune (o avvisi, varie)
18,30 canto di compieta – riposo
Qual è, in mezzo a tutte le attività che caratterizzano la giornata, l’esperienza più vera e più profonda di una monaca? Perché una ragazza può ancora oggi lasciare tutto e chiudersi in un monastero? Che cosa cerchiamo? Queste le domande che spesso ci rivolgono. Se lasciamo tutto, è perché desideriamo molto, molto di più di quello che ci offriva la vita di prima. Cerchiamo il senso della vita, cerchiamo le risposte vere, quelle che si sentono solo nel silenzio del cuore e che si pagano con una ricerca appassionata quanto paziente. Non vogliamo accontentarci dell’effimero; siamo fragili come tutti, siamo bisognose come chiunque, ma vogliamo affidare il nostro desiderio di vita all’amico più fedele che abbiamo conosciuto, quello che non tradisce mai, il Signore Gesù.
Venendo qui, abbiamo scoperto che non è necessario andare in Oriente per imparare la meditazione e la contemplazione, ma che abbiamo questi immensi tesori nella nostra tradizione cristiana e monastica, ormai divenuta sconosciuta ai più. Abbiamo sperimentato che la potenza della preghiera raggiunge tutti coloro che amiamo e valica gli oceani; sperimentiamo anche che i tempi e i disegni del nostro Dio non sono i nostri, ma che conviene fidarsi di Lui e seguirlo, più che cercare di piegarlo ai nostri progetti.
Se tutto questo, per chi si sente chiamato, è una avventura affascinante, niente è facile, niente è scontato; venendo in monastero si inizia un vero e proprio cammino di crescita, di trasformazione, che può essere anche molto impegnativo e doloroso.
È un cammino di conoscenza di sé: il silenzio, la meditazione delle Scritture, la vita in comune senza possibilità di scappatoie, la guida di una maestra, ci conduce poco a poco a scoprire aspetti di noi stesse che non conoscevamo affatto, e che spesso non ci piacciono.
Accettare la nostra verità, la nostra realtà, conoscerci alla luce di Dio – il che non si riduce affatto a una semplice conoscenza psicologica – è la base indispensabile per scoprire in noi, con la Sua grazia, possibilità sempre nuove per arrivare a conoscere Lui, e a comprendere la Sua volontà su di noi. La conoscenza di noi stesse e la conoscenza di Dio sono poi l’elemento sul quale può innestarsi e crescere l’amore. Conoscere Dio e imparare ad amare, non sono due cose diverse. Conoscere il suo amore è possibilità di amare tutti e tutto.
È facile tutto questo? No. Presuppone sempre una lotta, la lotta contro l’egoismo, contro tutto quello che ci impedisce di amare. Una lotta che non ci dà mai tregua.
C’è una domanda che spesso ci rivolgono i visitatori: «Ma voi, non vi annoiate a stare sempre qui dentro?» Sempre a questa domanda mi sono cascate le braccia: «E ora, come faccio a spiegarglielo?» .
Si annoia chi si sprofonda nella materia, e ha sempre bisogno di nuovi incentivi e nuovi stimoli. Si annoia chi percorre il mondo alla superficie, e alla fine non ha più nulla da scoprire. Ma chi si inoltra nelle vie dello spirito, si trova di fronte a panorami sempre nuovi e del tutto imprevedibili, e a sfide anche troppo impegnative. Insomma, chi segue il Signore, nel monastero come in una missione, si trova coinvolto in una avventura da levare il fiato, come quelle di Paolo e degli altri Apostoli negli Atti; o, passando dal campo della storia della Salvezza a quello del simbolico, come le avventure dei medievali cercatori del Santo Graal, o di Frodo e dei suoi compagni ne «Il Signore degli anelli»: l’eterna, appassionante, cosmica avventura di chi impegna la propria vita nella ricerca del Bene e nella lotta contro il Male.
Suor Monica. Monastero cistercense di Valserena, Trappiste.
Fonte
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Da questo racconto sento trasudare una pienezza di vita incredibile che solo chi ha trovato la propria strada, la strada maestra mi viene da dire, può sperimentare. Grazie Robi e grazie anche a Suor Monica!
Grazie roberto!