Nascita e sviluppo dell’Io. Dizionario del Cerchio Ifior
Per chi si avvicina alle nostre parole spinto dal desiderio di comprendere non solo ciò che diciamo ma, soprattutto, quali sono gli elementi indispensabili per affrontare la propria interiorità allo scopo di migliorare la qualità della propria vita, il concetto di Io risulta essenziale.
Quello che più vi mette in difficoltà nelle nostre parole è il fatto che vi proponiamo in continuazione l’Io nei nostri messaggi ma, contemporaneamente, asseriamo altrettanto spesso che esso non esiste ed è soltanto un’illusione.
Cerchiamo, allora, di capire quello che, a prima vista, può apparire un’assurdità.
Nel corso dell’evoluzione dell’individualità attraverso le varie forme incarnative (minerale, vegetale, animale e umana) essa prende via via coscienza di se stessa, grazie all’incontro con la materia che sta sperimentando nel corso dell’incarnazione.
Il minerale, prima fase dell’evoluzione, non è cosciente di se stesso, ma avverte solo quelle sensazioni che gli provengono dalle condizioni ambientali in cui si trova immerso; esso non interagisce in nessun modo con l’ambiente e può essere considerato in balia degli eventi fisici che accadono intorno a lui.
Una prima differenza – semplice ma, in effetti, di notevole portata – si incontra allorché viene affrontata l’esperienza come vegetale. In questo caso incomincia ad esserci una minima possibilità di interazione con l’ambiente anche se si tratta, più che altro, di una conseguenza quasi automatica di ciò che è intorno al vegetale: in un clima torrido e in un terreno arido il vegetale che cerca di sopravvivere alla siccità prolungherà, per esempio, le proprie radici, andando per tentativi nell’esplorare il terreno alla ricerca di quell’umidità che è per esso l’elemento primario per poter protrarre la sua esistenza. Ciò non avviene, però, consapevolmente: la pianta non «decide» di aver sete, né pianifica la sua ricerca dell’acqua, ma saranno i meccanismi naturali che sono in azione al suo interno a potenziare oltre la norma lo sviluppo delle sue radici. L’unico motivo che la spinge è la sensazione di benessere che, in questa maniera, riesce a procurarsi. Anche in questo caso, fratelli nostri, la pianta è, in realtà, pressoché inconsapevole di se stessa se non a livello di sensazione, e il mondo circostante non costituisce fonte di domande ma solo di stimolazioni.
Quando l’individualità è pronta a cambiare tipo di esperienza avviene il passaggio alla forma animale. Ecco che accade qualche cosa di diverso, in quanto alla percezione fisica si unisce la possibilità di pensiero, con tutti gli elementi che contraddistinguono la facoltà di ragionamento: si fa largo l’idea che esiste un essere (l’animale, in questo caso) che percepisce e pensa, e un mondo che dall’essere è pensato e percepito. Si incomincia, così, a sviluppare il concetto di differenziazione, di separazione tra se stessi e il mondo circostante. Questa differenziazione viene sempre più acquisita a mano a mano che l’individualità fa la sua esperienza in animali sempre più «evoluti» ed è qui, nelle ultime incarnazioni come animale, che può essere situato il formarsi dell’Io nell’interiorità dell’individuo incarnato: l’animale non cercherà più di allontanarsi dal fuoco semplicemente perché il troppo calore provoca una sensazione di dolore, ma lo farà perché «Io ne ho paura e temo che Io potrei essere annientato da quell’elemento di ciò che è non-Io e che si oppone al mio benessere».
Con il raggiungimento della forma umana, sensazione e pensiero sono ben più completi e complessi che nell’animale e la scoperta di poter reagire all’ambiente e non solo, ma anche di poterlo influenzare volutamente con le proprie azioni, porta ad una nuova angolazione nel considerare la realtà fisica che si sta vivendo: l’individuo non si sente più in balia del mondo esterno, crede di capire che può arrivare a dominarlo, e dominarlo significa poter appagare i propri bisogni e i propri desideri. Questo induce il tentativo di modellare la realtà nell’ottica di se stessi (il cosiddetto «egoismo») e del potere che si pensa di poter acquisire primeggiando su ciò che sta attorno.
E’ in questa fase che noi individuiamo la piena percezione di se stessi come esseri contrapposti e separati dal resto della realtà, percezione che rende forte nell’individuo la spinta dell’Io e che lo induce a cercare di espandere la propria influenza in modo tale da poter soddisfare sempre meglio – e in maniera sempre maggiore – quelli che ritiene siano i suoi bisogni.
Naturalmente il discorso è molto più ampio e complesso di come ve l’ho appena tratteggiato, ma quello che mi preme farvi notare è che esso è portatore di enormi conseguenze logiche. Vediamone alcune.
Soddisfare i propri bisogni (o, per lo meno, cercare di farlo) significa arrivare a considerare se stessi il perno intorno al quale ruota tutta la realtà cosicché (e quanto spesso, purtroppo) i bisogni degli altri diventano irrilevanti se non addirittura motivo di lotta per la supremazia.
Vedere il mondo in funzione di se stessi significa tendere a considerare i propri bisogni talmente importanti che tutta la realtà sembra dover confluire verso un unico scopo: il loro appagamento. E, di conseguenza, allorché avviene l’incontro con gli altri individui che, inevitabilmente, contrastano questo egocentrismo con il proprio, ecco nascere le frustrazioni, le reazioni aggressive, il tentativo di prevalere o di prevaricare l’altro.
Considerare se stessi il centro della realtà induce a osservare la realtà stessa in modo quasi totalmente soggettivo perché in essa si tende a far riflettere i propri desideri e le proprie aspettative, arrivando spesso addirittura a negare anche la verità più evidente se questa afferma che le cose stanno in maniera ben diversa da come si vorrebbe che fossero… e potremmo, figli nostri, andare avanti con innumerevoli altri elementi, ma lasciamo al prossimo incontro i passi successivi di quest’argomento.
Ricapitolando brevemente: l’Io nasce, si manifesta e si struttura come proiezione dei propri bisogni nella realtà che l’individuo attraversa, rafforzandosi e divenendo sempre più complesso a mano a mano che si rafforza la sensazione di essere autocosciente che si percepisce distinto dal resto della realtà, anche se in essa si trova ad essere immerso.
Quello che, questa volta, mi interessa sottolineare è che, comunque, l’Io è un meccanismo naturale, la cui nascita è legata indissolubilmente alla presa di coscienza dell’individuo, a tal punto che la sua azione nell’essere umano è inevitabile.
Ma non soltanto: l’azione dell’Io è indispensabile per compiere i passi che porteranno, gradatamente, all’uscita dalla catena reincarnativa, in quanto fornisce gli stimoli (primi fra tutti la sofferenza e l’insoddisfazione) per incanalare l’essere umano lungo le tappe successive della sua evoluzione.
Certamente, l’Io è un’illusione ma, come dicono i Maestri «l’illusione, per chi la vive come se fosse reale, ha la forza e la consistenza della realtà», e mai quanto nel caso dell’Io questo assume importanza e significato, al punto che esso diventa (pur non avendo nessuna reale esistenza) l’essenziale burattinaio che muove i fili delle ombre che animano il teatro nel quale l’individuo compie la sua ricerca della Verità. Baba
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte terza, Edizione privata