Dal Post del Cerchio Ifior Avete mai amato davvero?: Com’è possibile pensare, figli cari, che non riuscirete a trovare prima o poi il vero amore? Che senso avrebbe tutto ciò che state soffrendo o godendo?
Certo, non avverrà domani, certo neppure in questa vita, ma lentamente supererete voi stessi e abbraccerete l’universo. Non è un augurio il nostro, né tanto meno, una speranza: è una certezza.
Ciò che più conta è che non abbiate fretta, che compiate i vostri passi con cautela, con naturalezza, che non pretendiate da voi molto di più di ciò che potete dare, che vi accontentiate di chiedervi solo un piccolo sforzo per volta, che vi accontentiate di imparare anche solo a chiedervelo poiché, molto spesso, non è che non sappiate sforzarvi ma è che fate in modo da evitare di trovarvi davanti alla possibilità di compiere anche il più piccolo sforzo.
Certo, può accadere che vi sforziate nel momento e nel modo sbagliati, ma questo non vi preoccupi né costituisca per voi un freno: qui e ora siete nella fase in cui dovete imparare a sforzarvi; dopo, quando ciò sarà naturale – e, quindi, non più sforzato – potrete preoccuparvi di amare nel modo e nel momento giusti.
E dopo ancora, quando anche questo sarà acquisito – e perciò naturale e spontaneo – allora amerete davvero.
Questo brano è controverso e si presta a diverse obbiezioni. Conoscendo a sufficienza il pensiero del CI, so che il loro insegnamento va ben aldilà di ciò che in questo brano è in maniera contingente espresso, ciò nonostante approfitto di questa contingenza per mettere a fuoco alcuni principi basilari.
La tesi dalla quale il CI parte è che la capacità d’amare è oscurata dalla prevalenza delle esigenze identitarie, dunque si ama ciò che ci è funzionale: giustamente viene affermato che questo non è amore, lasciando intendere che l’amore esiste solo nella gratuità.
L’innamoramento, l’affetto e l’amicizia sono le tre grandi declinazioni dell’amore vissute nei limiti dell’identità: declinazioni limitate e circoscritte dell’amore unitario e gratuito che si manifesta solamente in assenza del filtro identitario.
Ci si può sforzare di innamorarsi? Di provare affetto? Di coltivare amicizia?
Per rispondere bisogna interrogarsi sulla natura di quei sentimenti: essi sono sperimentabili in virtù della presenza del corpo astrale che è preposto alla loro sperimentazione e manifestazione attraverso il complesso dei sensi di cui è munito.
Il corpo astrale non è però altro che la cassa di risonanza di una intenzione che nasce su altri piani: sul piano della coscienza e su quello dell’identità, entrambi veicolati da un adeguato pensiero.
La persona può avere difficoltà ad innamorarsi, a provare affetto e amicizia, e la causa non va trovata nella carenza dei suoi veicoli, ma nella struttura della sua identità: nel conscio, o nel subconscio, qualcosa le impedisce quello sperimentare.
Presa consapevolezza di questa difficoltà, lo sforzo non può essere quello di provare ad innamorarsi, o a sperimentare affetto per qualcuno, ma quello di analizzare le cause di quell’impedimento, cause che risiedono in qualche affermazione, convinzione, timore, trauma che si è annidato nel complesso della identità e dunque nella lettura di sé e delle proprie relazioni.
L’esperienza di innamoramento/affetto direi che non è nemmeno condizionata dal sentire acquisito, essendo piuttosto basica e dunque presente anche in sentire limitati.
Lo sforzo va dunque indirizzato verso il processo di conoscenza e di consapevolezza: rimosse le cause che nell’identità velano quella possibilità d’esperienza, essa si rende disponibile essendo già nel programma del sentire in dotazione.
Man mano che quel sentire evolverà, diverrà consapevole comprenderà, la natura dell’amore vero, unitario, gratuito: lo diverrà passando per le esperienze, per lo sforzo di concedersi le esperienze liberandosi delle paure e delle reticenze, superando blocchi e traumi, indagando con coraggio il reale che ogni giorno si presenta.
Lo sforzo, ma in questo caso preferirei parlare di impegno, è rivolto al vivere senza resistere: da quel vivere sorgono le comprensioni e dunque la capacità d’amare liberi dal condizionamento del proprio bisogno.
Porre l’accento sullo sforzo d’amare fa risuonare la peggiore didattica cristiano-cattolica e ci conduce lontani dal reale: so che questo è chiaro nell’insegnamento del CI e qui stiamo discutendo solamente di una non adeguata espressione/comunicazione di un principio.
Ricapitolando: ai vari livelli evolutivi di una coscienza, esiste la disposizione ad innamorarsi, a provare affetto ed amicizia, a sperimentare l’amore gratuito: ai primi livelli evolutivi si manifestano le prime disposizioni, in una fase molto avanzata si palesa anche l’ultima disposizione, quella dell’amore autentico.
Una coscienza/identità che sta alfabetizzandosi sull’affetto non avrà in genere accesso all’amore gratuito, essa si eserciterà nella conoscenza e nella consapevolezza di sé e del proprio operare: queste, nell’esperienza dei giorni, porteranno comprensioni e, di comprensione in comprensione diverranno disponibili alla sperimentazione dei germi dell’operare gratuito, dell’amare autentico.
Una coscienza/identità che può permettersi l’affetto, su quello lavora e sull’impedimento eventuale a farlo splendere;
una coscienza che ha in sé le comprensioni dell’amore gratuito, quello conduce a manifestazione nei termini del possibile ogni giorno.
Sono livelli evolutivi del sentire differenti che permettono esperienze differenti: in entrambi i casi la questione è di usare le proprie forze non per sforzarsi di essere differenti da quanto si è, ma per conoscere fino in fondo e fin nei dettagli quanto si è.
La conoscenza del proprio livello evolutivo e l’incessante lavoro di chiarificazione e di trasformazione di esso, lo fanno splendere per quello che è.
In questo modo ciascuno sta facendo esattamente quello che può fare e a nessuno è chiesto di essere quello che non è, ma tutti sono invitati a non sottrarsi alla conoscenza dei propri processi esistenziali.
Questo non sottrarsi alla propria esistenza può richiedere, questo sì, il giusto sforzo: molte sono le pigrizie, le rimozioni, le affermazioni delle menti che ci stazionano in un procedere lento, prossimo alla stasi, immersi in routine che sembrano sommergerci.
Qui possiamo agire e il giusto sforzo ha un senso: divenendo consapevoli della nostra situazione possiamo coltivare la giusta ribellione e reazione, il giusto sforzo nella attivazione e nella trasformazione.
L’amore non si impara: si manifesta quella porzione d’amore che si è compresa.
L’amore autentico non è un sentimento e dunque una vibrazione del corpo astrale: è una disposizione complessiva dell’essere che vibra nella gratuità, che vede sorgere le proprie intenzioni nella gratuità della coscienza e dell’identità, e in quella gratuità realizzarle.
I frammenti dell’amore autentico che l’umano ferialmente sperimenta, l’innamoramento, l’affetto e l’amicizia, sono esperienze limitate e parziali del tutto unitario, in quanto condizionate dall’identità e dalla prevalenza di una risonanza astrale: quando l’amore unitario può risuonare nella percezione e venire espresso dai veicoli transitori, dai corpi, esso non ha una particolare accentuazione astrale, coinvolge tutti i corpi e nel contempo li trascende.
L’amore non è un sentimento, è uno stato d’essere, uno stato del sentire che si riconosce mentre ci pervade ma, soprattutto, nell’operare, nella disposizione alla gratuità.
Man mano che l’amore inizia a splendere nella comprensione, e dunque diviene acquisizione consolidata del sentire o, detto in altri termini, il sentire è divenuto capace di veicolare pienamente quella forza, quel programma da sempre integralmente presente nei piani più elevati dell’essere, i corpi transitori cambiano il modo di reagire di fronte alla sua stimolazione/esperienza.
Le prime esperienze dell’amore unitario sono eclatanti, l’insieme dei corpi vibra in virtù della pienezza che lo attraversa: con il ripetersi delle esperienze, i corpi adeguano la loro vibrazione a quella dell’amore autentico e la loro reazione si attenua, si distribuisce e si armonizza maggiormente e l’essere risuona di una dolcezza infinita, di un’ampiezza senza limite; ma non è questo il centro, non è questo l’indicatore e non bisogna lasciarsi fuorviare dalle esperienze mistiche che in varie forme ci troviamo a sperimentare.
Il banco di prova è la vita: lì si vede l’operare della gratuità e lì si vede l’asino che cade. Non c’è umano capace di amore unitario e autentico integrale, essendo l’esperienza umana niente altro che un’officina di conoscenza e comprensione, sempre e comunque limitata.
Concludiamo il nostro ragionare accennando alla propedeutica delle emozioni:: ci si può educare a conoscere le emozioni e ad esprimerle, come ci si può educare a comunicare i sentimenti di qualsiasi natura essi siano.
Allo stesso modo ci si educa alla collaborazione, alla cooperazione, al superamento della diffidenza e della paura per il diverso da sé.
Ma non è di questi temi che qui abbiamo voluto trattare.
Grazie per la risposta, anche se devo dire che non mi ha charito molto. Per quanto riguarda la prima domanda forse il problema sta nella parola “veicolati” che non riesco a mettere a fuoco nel contesto della frase per un limite mio. Invece nella seconda chiedevo se l’identità è la somma dei tre corpi oppure no. Comunque non è un problema, ci saranno altre occasioni di chiarimento. Grazie
Grazie Roby. Il post è chiaro. Ci sono solo alcune perplessità, dovute a questioni che non mi sono ancora chiare. Riporto di seguito i passi controversi:
“… sul piano della coscienza e su quello dell’identità, entrambi veicolati da un adeguato pensiero.
La persona può avere difficoltà ad innamorarsi, a provare affetto e amicizia, e la causa non va trovata nella carenza dei suoi veicoli, ma nella struttura della sua identità”
1) anche la coscienza è veicolata dal pensiero?
2) so che hai già spiegato il concetto altre volte, ma ricordo solo che mi rimane molto astratto e quindi non sono in grado di esprimerlo. Identifico ancora l’identità con l’insieme dei corpi inferiori, ma è evidente dalla conclusione del passo citato che sono due cose diverse…
I dati della coscienza attraversano i suoi corpi, compreso il mentale quindi, sia all’andata, quando la coscienza genera una scena; sia al ritorno, quando viene informata sul modo in cui la scena è stata attuata.
Coscienza ed identità sono inscindibili: la seconda è conseguenza diretta del compreso e non compreso..
Davvero molto chiaro grazie, ho capito come l’”imparare ad amare” non aiuti e come rimane prioritaria l’importanza del “conosci te stesso”.
Sempre grande chiarezza, grazie ancora…
Il testo mi suggerisce che potremmo considerare la capacità di amare di ognuno come una cartina di tornasole quale indicatore della nostra evoluzione. Nella consapevolezza che mai possiamo sapere dell’altro, come suggerisci l’attenzione è volta ad un’attenta analisi sulle proprie capacità e propri limiti. E ahimè, questi ultimi sembrano predominare.
Contenuto molto intenso ,stimolante….da rileggere con calma, GRAZIE
Non potevi essere più chiaro
Grazie Roberto, molto chiaro e pacificante
” L’amore non si impara: si manifesta quella porzione d’amore che si è compresa.”
Posso comprendere e condivido, ma mi chiedo se l’amore è frutto di comprensioni sempre più piene e quindi di una crescita non è anche questo un imparare, un educarci? grazie
È un processo.
Se io ti dico: “Impara ad amare” e ti invito a sforzarti, non ti aiuto.
Se ti dico: “Guarda le cause che ti impediscono di amare” ti fornisco gli strumenti per conoscerti, per rimuovere gli ostacoli, per svelare l’amore che hai già realizzato nel tuo sentire.
Premesso questo, tutta la vita, le vite, non sono altro che un imparare, un educarci: sono processi che da un livello di sentire conducono ad un altro.
Il centro di una sana pedagogia è invitare le persone a sperimentare, non a sforzarsi di cambiare, e questo perché si cambia solo sperimentando quel che si è.
Mentre in noi si sperimenta, la forza del sentire già ci conduce un passo più avanti, e questo senza fine.
Lo sforzo giusto e necessario, è quello del conoscerci e del divenire consapevoli, non quello di volerci imporre qualcosa che ancora non conosciamo perché non l’abbiamo compreso.
Se tu guardi attentamente e lucidamente quello che sei, come lo sei, vedi anche che c’è una forza interiore che ti porta ad essere diversa, che ti spinge verso un sentire più ampio.
Quindi non ci si sforza per essere migliori, ma per conoscersi meglio e per vedersi meglio: in questa osservazione si diviene consapevoli di quello che potremmo essere e che già stiamo costruendo.
Siamo lontani anni luce da qualsiasi ascesi, siamo nella piena comprensione che la nostra volontà non è che uno dei fattori in campo: se ammetti che siamo coscienza, innanzitutto, allora ammetti anche che questa sa dove portarci e mai smette di condurci.
La volontà di cambiamento fondata sullo sforzo, non tiene in conto la funzione determinante della coscienza e sopravvaluta il ruolo dell’Io.
Un senso di pace mi attraversa nella lettura….gli stimoli che il sentiero porta servono proprio a superare la pigrizia del cammino.
Grazie