L’amore ruvido

Chiede una cara amica: Cosa diresti ad una persona che quotidianamente cerca di fare del suo meglio, va avanti, si impegna, beh.. senza grandi risultati, ma lo fa, sente che c’è da fare, che tutto sommato è giusto così e agisce. Punto.
Poi un giorno esce per poco più di 24 ore dalla sua routine e si rende conto, come un pesce che fa un balzo fuori dall’acqua, che tutto il mondo in cui è immersa è solo frutto del senso del dovere, della forza di volontà e che, in realtà, quello che prova è grande odio per se stessa, per la vita che vive e che non riesce a cambiare, e c’è perdita completa di ogni forma di speranza.
A quel punto è costretta a tornare in acqua e proseguire la sua corsa e il suo attivismo, come il criceto nella ruota che gira, gira, gira.
Cosa diresti a questa persona?

Le direi che la vita le ha dato l’occasione di vedersi, ora e molte volte in passato, ed essa non ha mai voluto ascoltarla ed è sempre tornata nella sua prigione fatta di doveri e di fare, di sensi di colpa e di inadeguatezze, di risentimenti e di asprezze, di dolcezze infinite mai liberate, di sensibilità mai sufficientemente cantate, di intelligenza lucida e feconda mai conciliata con un femminile inespresso.
Ha perseverato tenendosi stretta le lische di pesce nel piatto che conosce, piuttosto che abbandonarsi ai colori dell’aria, all’odore del vento, al mistero del vivere che non si può controllare.
Le direi che deve rompere un ordine mortifero, una morte costruita con metodo, con intelligenza, con costanza.
Le direi di osare mostrarsi, non potrà morire di più di quanto stia già morendo: la potrà uccidere il suo prossimo più di quanto lei si stia uccidendo da sola?
Le direi, per una volta, una volta sola nella sua oramai non più breve vita, di dare ascolto a ciò che la vita le propone, che lei conosce, che lei sa che è verità, ma che nega vigorosamente per rimanere attaccata alla sua morte.
Le direi che è amante della morte, e che non ha il coraggio di vivere e rimane avvoltolata nella coperta del dovere e della colpa, un sudario più che altro.
Ma per vivere, deve accettare di incontrare l’altro, di flettersi, di mostrarsi, di rischiare l’abbandono, la delusione, il tradimento.
Rischiare di incontrare qualcuno che, miracolo, la riconosca! Che la ami, che possa essere amato.
Può correre questo rischio?
Ma lei è disposta a riconoscere qualcuno, oppure, chiusa com’è nel suo sudario, le interessa solo celebrare il rito della vita, ma non viverla davvero?
Questa persona crede di vivere e invece celebra il rito delle vita.
La vita non è un rito, ci si sporca: è disposta a sporcarsi? Non si può stare al riparo dell’altare, della forma, del giudizio, della paura.
Odia se stessa? Fa bene, è il segno di un conflitto, di una lacerazione, di una ribellione profonda per una mancanza di coraggio, per una incapacità di uscire dalla propria prigione.
Nessuno la libererà, deve liberarsi da sola.
L’abbandoneranno tutti, finché, devastata dal dolore e dal rifiuto, non troverà le forze per concedersi alla vita.
Allora comincerà da poco e da vicino.
Comincerà a vedere quelle persone che ha accanto, e comincerà a rispettarle concedendo loro udienza.
Comincerà a vedere ciò che ha infinite volte visto, ma mai si è concessa fino in fondo libera dal pensiero di tornare nella sua prigione: la vita semplice, il libero fluire delle forze.
Il libero fluire delle forze emotive, sensoriali: lo sbocciare del femminile.
C’è un’alba possibile dopo la notte, se vuole concedersela.
Bisogna che la notte ceda il passo, bisogna che la paura e il senso di inadeguatezza si plachino; bisogna che il risentimento e l’avversione si dominino, bisogna che la colpa si taciti ed inizi l’osare vivere.
C’è un’alba possibile, non basta la notte intessuta fin nelle ossa?
Se basta, allora si può alleggerire, si può correre il rischio di vivere non solo frammenti, ma giorni, mesi, anni.
Si può uscire di prigione.
Dalla prigione della propria immagine, cominciando, lo ripeto, da poco e da vicino.


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Alessandro B

Grazie!

Anna

La gabbia c’è se noi permettiamo che ci sia, dipende da noi!
Ogni giorno dobbiamo chiederci dove vogliamo andare e cosa vogliamo fare della vita..il cambiamento avviene inevitabilmente anche quando è così impercettibile da non vederlo, avviene e taglia piano piano, ad una ad una tutte le sbarre della gabbia.
Quando la gabbia è sparita puoi assaporare ogni attimo, ogni momento senza paura certo di non aver bisogno di alcuna protezione perchè nulla è contro di te ma per te.
Grazie

Marco Dellisanti

Mi associo al commento di Mariella. Premesso che mi ritrovo in quello che dice e che non sono certo meglio di lei, vorrei però osservare che finché ci limitiamo a dire “Vorrei avere il coraggio”, “Quanto sarebbe liberante”, le cose non cambiano. Proviamoci…

alberta

Importanti queste parole, fuggire o restare? Alleggerire questo si. Grazie

Mariella

Roby perché hai scelto l’aggettivo ruvido per il titolo?
Si io vorrei tanto avere il coraggio di compiere azioni che costringano gli altri a provare delusione nei miei confronti, vorrei essere capace di sostenere la loro riprovazione, rompere le etichette che mi hanno messo addosso. Quanto sarebbe liberante tutto questo, almeno per me!

Maria b

Grazie Roberto per osare queste parole e grazie alla nostra amica per mettersi in gioco. Ognuno di noi può trovarvi parte di se.

Samuele Deias

Grazie

nadia

Anche ìo sento tutto cìò vìcìno…la forza delle parole è uno sprono notevole! Grazìe

Catia Belacchi

Quando la coscienza preme per il cambiamento significa che il cambiamento è vicino e inevitabile perché non si riesce a vivere sdoppiati .

Roberta G

Molto intensa la domanda, altrettanto intensa e piena di compassione e amore la risposta. Comprendo bene ciò che viene detto, questo sentire mi è vicino, quindi grazie!
Direi che il balzo del pesce fuori dall’acqua è stata una benedizione!
Non tutti sono così “fortunati” da avere la possibilità di vedere “la ruota del criceto” dall’esterno!

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