C’è un velo tra noi e la realtà ed è rappresentato dalla nostra pretesa di esserci e di contare con i nostri bisogni e le nostre priorità: in una parola, di esserci con la nostra identità.
È per noi così naturale partire da quel che siamo, dal come vediamo i fatti, da quello che ci abbisogna sul piano della soddisfazione e del riconoscimento che non riusciamo a cogliere la concretezza di un’altra possibilità.
Il mondo reale è oltre il nostro orizzonte personale, lontano e ignoto; noi siamo schiantati nella pervicace ricerca ed affermazione di quel che siamo e di quel che vogliamo essere.
Il mondo reale è, essenzialmente, i mille sguardi, i mille angoli visuali, il molteplice non riconducibile ad un osservatore identificato.
Il Mondo Reale è ciò che si apre al contemplante, colui-che-è-libero-dall’identificazione.
Nel mezzo ci siamo noi: coloro-che-resistono-al-reale.
Chi ci svela?
Ogni fatto della vita, se abbiamo occhi per vedere e, quando non li abbiamo, coloro che sono a noi più vicini: la mamma di Antonella, i figli di Maria, il lavoro di Sandra.
Una comunità come la nostra non svela che alcuni dettagli, o l’impianto generale e necessariamente generico, però può aiutare a guardare, a sviluppare lo sguardo giusto su quello che i collaboratori efficaci portano.
Può aiutarci a riconsiderare il punto di vista, a metterlo in crisi, ad accogliere la crisi in cui l’altro l’ha messo.
Due partner sono complici nel velarsi vicendevolmente, o collaborano nello stanarsi?
I figli, come sapete, non stanno ad alcun gioco di mascheramento, arrivano diretti.
Anche il lavoro arriva diretto e non si cura di farci male.
Se avete tempo, guardate su Netflix Wild Wild Country, la storia della comune di Osho in Oregon: è un modo efficace per osservare una colossale operazione di mascheramento celata dietro l’anticonformismo e l’apparente radicalità di svelamento.
Cambiare tutto per non cambiare niente; il massimo di democrazia per nessuna democrazia; le mille pratiche di conoscenza non sorrette coerentemente e durevolmente dalla prima e ultima delle condizioni: rimanere onesti e impietosi nello sguardo sulla propria irriducibile centralità egoica.
Dunque chi svela questa centralità egoica?
Non un maestro, non delle tecniche, non una comunità: coloro che ci stanno a fianco, quelli con cui sbattiamo tutti i giorni.
Per cogliere questa lezione quotidiana ci è necessario, o utile, l’aiuto di un maestro, di qualche tecnica, di una comunità, magari.
Ma lo svelamento avviene nel quotidiano: voi direte che questo è chiaro, che lo sapete. Certo, lo sapete, ma lo avete compreso?
E, soprattutto, sapete leggere, e reggere, la spallata altrui?
Le menti protestano quando le si vuole disconnettere ma, vi chiedo, state imparando dalla identificazione?
Voglio insinuarvi un dubbio: non è che si impara meglio stando nel ritmo identificazione-disidentificazione?
Se sei sempre identificato, ti cristallizzi; se sei capace di disconnettere, puoi vederti, conoscerti, divenire consapevole.
Se alterni l’inevitabile identificazione con la voluta e ricercata disidentificazione, alla lunga comprendi.
Cara Maria, i miei modi un po’ ruvidi richiamano i modi dei tuoi figli, loro ed io non siamo persone a modo, non stiamo dentro i confini stabiliti dalla tua identità.
Cosa puoi fare? Vedere quei limiti artificiosamente posti; essi altro non sono che elementi costitutivi della tua personale narrazione che non tiene in conto il reale.
Cara Antonella, la vita ti parla attraverso tua madre, attraverso quell’uomo, quella sorella: li vedi? La lezione non è difficile se ti metti nell’ottica di colei-che-impara, superando quella di colei-che-protesta, se ti detendi e lasci che la vita scorra, dal momento che non puoi piegarla. Se ti plachi.
Cara Sandra, affogata nell’ombelico, torniamo a respirare oltre noi, nutriamoci di qualcosa che non sia contingente, illuminiamo lo sguardo di pazienza e di amorevolezza per i rompicoglioni quotidiani e, soprattutto, torniamo a coltivare la fiducia.
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Mi alzo al mattino disponendomi ad accogliere quello che la giornata mi metterà davanti, senza accampare pretese, senza progettare e disporre secondo i dettami della mente. Mi sforzo di stare ad osservare e provo a leggere i simboli. Fallisco quando è il corpo emozionale ad essere impattato: allora divento un grumo di emozioni e pensieri che mi allontanano dal Reale. La mattina successiva ricomincio da capo, con l’unico obiettivo di arrivare alla sera, evito di pensare al domani che appare alla mia mente così incerto e irto di ostacoli.
Da mesi oramai non lavoro e nel tranquillo scorrere dei giorni a casa, c è comunque un’infinitá di veli da togliere e quindi un incessante lavoro interiore… è come se mi fosse concessa questa pausa, per avere la tranquillità di cogliere i dettagli che, altrimenti, sfuggirebbero risucchiati nel vortice del dovere che mi identifica nei vari ruoli. Grazie a tutti.
Sono grata ogni volta che ci riporti alla nostra realtà quotidiana, ogni volta che ci ricordi che “ogni fatto della vita, se abbiamo occhi per vedere” ci svela, che la nostra centralità egoica viene svelata da chi ci sta a fianco, da coloro con cui sbattiamo ogni giorno.
Ed è vero, quello che mi frega è il mio essere attaccata alla mia identità, a come-debbono- essere- le- cose per me, a cosa debbono fare gli altri per me, al controllo su ciò che mi circonda . Controllare non è osservare.
Lo sguardo che controlla si appropria di ciò che accade, lo giudica e lo vorrebbe, spesso, modificare.
Lo sguardo che osserva cerca di imparare da ciò che è. E, in un secondo momento, credo, arriva a vedere il fatto come un fatto.
Importante lavorare sulla disconnessione, alternata alla inevitabile identificazione.
Grazie a Roberto e grazie a tutti per gli interessanti commenti.
Pensandoci bene è impossibile imparare senza sporcarsi le mani, senza passare da quello stato di identità a quello stato di disconnessione che ti da la capacità di guardare un pochino più chiaramente quello che ti sta intorno permettendoti di capire, di aprirti, di disarmarti ed accettare quello che passa in quel momento. Lo stesso “sbattere il muso” contro gli ostacoli ci rende più saggi.
Ma poi cos’è il Reale? Semplicemente il Tutto senza condizionamenti dell’identità? Sembra un concetto veramente impossibile, proprio non ci arrivo!! E lo sto dicendo assolutamente affascinato.
Grazie Robi
Cerco di vivere la Vita come un lungo processo di comprensione. A volte ne colgo la grande fatica, come in questo momento e come altre volte è stato. A volte scorre più lieve. Ci sono scene che si ripropongono, con sfaccettature diverse, ma che mirano sempre ad un determinato aspetto. Non è facile rimanere osservatori, l’identità protesta e si giustifica. E’ un lungo lavoro di identificazione, disconnessione e osservazione. Ad ogni momento, quasi ad ogni respiro. Non mi pare avere altra scelta.
Sento anche la difficoltà dei fratelli del cammino, sapere che abbiamo la possibilità di condividere i nostri limiti, mi è di conforto.
Quale sia il percorso che qui ci ha portato, di certo è stato utile per maturare delle comprensioni.
Non so se esistano altri percorsi così laici e orientati alla Verità, come quello trasmesso dalle guide e a cui Robi ha dato questa forma così peculiare. Così attento a non coltivare l’illusione, a richiamare l’attenzione sullo svelamento del reale e ad una analisi continua.
Il richiamo è verso ciò che c’è già, ciò che è più prossimo. Forse proprio questo rende meno affascinante e attraente il tutto. Solo coltivando la fiducia, posso accettare che tutto ciò sia necessario, ed ora, più che l’esperienza unitaria, è quella che più mi sostiene.
Bene! Timore e attrazione per questa nuova sfida..
Grazie per le parole sul lavoro perché vedo con piacere che non creano protesta interiore, la vittima non emerge e quindi forse sto imparando qualcosa! Per quanto riguarda una comunità che può essere quella in Oregon o più banalmente quella che ho frequentato per oltre 10 anni prima di conoscervi, vorrei fare una considerazione: ne vedo i limiti e le illusioni, soprattutto a distanza di tempo, ma riconosco che la mia ricerca profonda era sincera e che anche se celate da varie identificazioni ho trovato risposte fondamentali e soprattutto ho scoperto sprazzi di quell’amore primario, accoglienza incondizionata che, solo a 26 anni, ne ho percepito l’esistenza. Il discorso è articolato spero di essere riuscita a spiegarmi.
A Sandra e Alessandro: nel post il riferimento alla comunità di Osho è funzionale all’affermazione che conclude il periodo: “le mille pratiche di conoscenza non sorrette coerentemente e durevolmente dalla prima e ultima delle condizioni: rimanere onesti e impietosi nello sguardo sulla propria irriducibile centralità egoica.”
Questo è stato un problema di quella comunità e di quelle persone, e certamente è un problema di questa comunità e di queste persone: gran parte del nostro lavoro futuro sarà indirizzato alla consapevolezza di questa centralità egoica e al suo superamento.
Un post che la dice lunga sull’egoicitá e sul bisogno di affermarsi. Vivo tutto questo soprattutto nei rapporti affettivi, la mia officina più grande! Lo vedo, mi vedo, ma continua la resistenza al lasciare andare. C’è ancora l’identificazione con il ruolo di vittima, e mi racconto che ho ragioni da vendere per reagire con rabbia a quelle che vivo come continue provocazioni. Mi pare da un po’ di tempo a questa parte di non riuscire a disconnettere pur vivendo momenti di distacco in cui mi vedo agire in modo “sbagliato” nel senso che vedo le mie reazioni esagerate e che non aiutano ad andare oltre, che hanno solo il fine di scoperchiare una pentola in ebollizione che altrimenti potrebbe implodere facendo ancora più danni! Mi manca certo l’allenamento alla disconnessione dato dalla meditazione che, complice il momento concitato dovuto al lavoro, ho frequentato troppo raramente da un po’. Ma il leggere i post, condividere con voi le vostre e le mie vicissitudini, le mie e le vostre debolezze nonché i momenti di gioia, a volte di comunione con il tutto, mi ancorano al sentire e mi permettono di non lasciare l’officina. Grazie Roberto e grazie a tutti.
Parole che … ancora una volta.. aiutano la disconnessione
..colossale operazione di mascheramento..
Lascio che queste parole si impattino con l’amore che ho ritrovato in quegli anni e che lavorino dentro, senza mettermi in mezzo.
C’era già ovviamente questo amore, ma era velato dal dolore.
E il dolore si è diradato proprio grazie a quelle mille tecniche che oggi non ricordo quasi più.
E certe dimensioni le ho conosciute con quelle tecniche che hanno preparato negli anni il terreno e oggi è un attimo essere lì.
Se non li avessi frequentati quei luoghi come potrei comprendere oggi quell’attimo in cui si esce dalla nebbia? Per poi rientrarci ovviamente per quanto mi riguarda..
Ho la sensazione che si parli di un approccio lontano da chi scrive che per meccaniche diverse è lontano anni luce.
Poi quelli di noi che si sono trovati su quel cammino lo hanno vissuto in modo più blando o in modo più determinato, questo è chiaro, ma c’era amore in alcuni di quegli insegnanti che hanno segnato certe tappe.
PS. Abbiamo la chiavetta internet rotta e ci colleghiamo al momento solo con gli smartphone..
Ringrazio per la bontà chi segnala con pazienza questi post anche su wapp.
Parole forti, che arrivano dirette a scuotere l’essere intrappolato nella rete dell’identità. Arrivano precise e puntuali in un periodo in cui mi sento braccata da più parti e più mi sento braccata più cerco di fuggire, ma non è più possibile fuggire e questo mi fa sentire senza via di scampo. E in realtà ora mi avvedo che questa è la cosa migliore che possa capitare all’identità impaurita, non avere più scampo, perché allora non rimane che la resa.
Questo post è per me un segno della connessione che c’è tra le nostre coscienze. La gratitudine è rafforzata da qualcosa che non so definire, forse il senso della fratellanza.