Sentire e responsabilità procedono assieme

Tratto qui di alcune perplessità espresse nei commenti al post L’umano non dà la vita, né la morte: l’appunto è che questo approccio potrebbe condurre ad una deresponsabilizzazione. Dal momento che è la coscienza che decide, io come identità posso sollevarmi dalla responsabilità del mio agire.
Questione antica, che a volte nella storia ha portato a non divulgare la conoscenza nel dubbio che questa avrebbe potuto condurre ad un uso distorto, o ad un abuso del conosciuto.
Questione che in questa nuova epoca deve essere affrontata in modo nuovo: oggi la conoscenza, anche quella più esoterica, è disponibile a chiunque, ma questo non significa che chiunque attinge ad essa.
Nel momento in cui delineo i tratti di una nuova antropologia che pone al centro la coscienza ed il suo operare, so che le identità obbietteranno: e noi?
E so anche che le stesse identità avanzeranno l’altra, consueta obbiezione: chi ci conterrà poi, se non ci sentiremo più responsabili delle nostre azioni?
Perché, chi vi contiene oggi?
Chi impedisce ad una identità ordinaria, che usa un paradigma ordinario, di operare scelte nefaste per sé e per l’altro?
La paura delle conseguenze? Si, in parte, ma di certo non basta.
Non è la pena di morte che fa diminuire gli omicidi, questo è appurato. La coscienza che non ha comprensioni tali da evitarlo, finisce per sperimentare l’esperienza dell’assassinio perché ha dati che le necessitano e solo da quella esperienza li può ricavare.
Serve la morale? Serve il richiamo alla responsabilità? No, evidentemente, la gente continua ad uccidersi e ad essere uccisa: l’esperienza riguarda, naturalmente, solo coloro che non hanno quelle comprensioni inscritte nei loro sentire.
Il potenziale assassino, nel momento in cui viene a sapere che non è responsabilità esclusiva della sua identità la sua propensione ad uccidere, ma della sua coscienza priva di comprensioni adeguate, lo farà di più e più a cuor leggero?
Gode quella identità di simile libero arbitrio? Non credo.
E nel momento in cui uccide, sapendo che la responsabilità è della sua coscienza, imparerà di meno da quel gesto?
Siete certi che si possa mettere da una parte l’identità e dall’altra la coscienza?
L’esperienza dell’uccidere vissuta dai corpi dell’identità, non informa forse la coscienza? E questa non tiene conto dei dati ricevuti? E con cosa li parametra? Con il sentire che affluisce dai corpi superiori ad essa che la orientano e la conducono verso questa o quella comprensione da acquisire.
Una coscienza che acquisisce dati dall’uccidere perpetrato dai suoi veicoli e dall’identità che essa contribuisce a generare, confronta quei dati con le informazioni che giungono dai corpi spirituali superiori ad essa, informazioni che dicono: non si toglie la vita ad un altro essere.
Una coscienza non genera l’esperienza dell’assassinio, ma non ha strumenti per evitarla fino a quando non ha conseguito le comprensioni necessarie.
L’esperienza dell’assassinio è generata dalle non comprensioni, dagli istinti di base, dalla paura: i dati che essa genera vanno a costituire tessere di sentire nel corpo della coscienza, tessere che diverranno i canali di trasmissione dell’informazione che giunge dai corpi spirituali e che dice: non si toglie la vita ad un altro essere.
Questo è, in linee molto generali, il funzionamento profondo: alla luce di ciò, cos’è la responsabilità personale?
La consapevolezza e la ponderazione delle proprie intenzioni ed azioni e l’impatto che esse hanno su di sé, sull’altro da sé, sull’ambiente?
Il trovare un equilibrio tra ciò che si desidera e ciò che è possibile ed ammissibile?
Essere responsabili significa dunque operare tenendo in conto innumerevoli fattori che vedono la propria centralità egoica conciliarsi con l’altro da sé.
Questa responsabilità a cosa è commisurata? All’evoluzione del proprio sentire, alle necessità evolutive della coscienza che hanno come fine l’evoluzione del sentire stesso.
Un coscienza poco evoluta, che non ha ancora acquisito la comprensione, e dunque i dati relativi al rispetto sacro della vita altrui, rimane bloccata nella sua evoluzione finché quei dati non ottiene e quella comprensione non realizza attraverso l’esperienza.
La responsabilità di quella persona sarà relativa, e magari riuscirà ad abbracciare l’accudimento dei figli, ma non sarà tale da non comprendere che il “nemico” non va ucciso.
Quella persona, dopo aver ucciso, acquisirà nel tempo un grado diverso di responsabilità e questo sarà direttamente proporzionale all’ampiezza del sentire conseguito.
Capite da voi che quella coscienza allo stato primario, poco se ne fa delle informazione che trae da un libro di esoterismo, o dal nostro post in questione: essa non sa che farsene della distinzione tra coscienza ed identità, tra responsabilità della prima e responsabilità della seconda.
È responsabile una identità? Voi capite che è una domanda assurda: è responsabile l’essere nel suo insieme, ma di cosa è responsabile?
Di non aver compreso qualcosa? No, di quello non siamo responsabili.
Di cosa allora lo siamo? Di quello che abbiamo compreso, ma non lo attuiamo. Allora il karma opera e la causa genera un effetto, ovvero una futura situazione di apprendimento.
Una persona che ha compreso qualcosa, e lo ha compreso veramente, non può trasgredire al compreso.
La persona che ha una comprensione assente o parziale in merito a qualcosa, non si bloccherà per paura, o per l’esercizio di una responsabilità relativa che non coprirà mai completamente quell’ambito del suo non compreso.
Ciò che bisogna comprendere è che coscienza ed identità non sono due, e sentire e responsabilità procedono di pari passo: tanto più ampio è il sentire, tanto maggiore è la responsabilità, ma quest’ultima non è qualcosa che si può evocare, che si può richiamare e invocare: è qualcosa di intrinseco, un principio interno al sentire conseguito che sorge naturalmente.


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Alberta

Si chiaro, grazie

Nicoletta

Sempre più appare evidente che siamo tutti in un’officina esistenziale, in una immensa scuola dove chi è più avanti deve convivere con chi è all’inizio del percorso. Cosa non facile… Episodi di violenza contro persone, natura,animali diventano sempre più insopportabili… E allora l’impulso e’ di stare con persone che vibrano al tuo stesso livello, ma mi è sempre sembrata una fuga….
Forse non è così…

natascia

Più ampio è il sentire, più il punto d’osservazione si eleva e permette una visione via via più ampia dei fatti. Più difficile diventa non tener conto delle conseguenze delle proprie azioni. Consola sapere che questo è un processo ineluttabile per tutti noi, altrimenti lo sconforto, anche rispetto ai tanti fatti di cronaca di questi giorni, ci porta a pensare che viviamo in un mondo impazzito. È chiaro che chi ha maggiori comprensioni, ha maggiori responsabilità. Sempre più difficile è, costruirsi un alibi rispetto a ciò che la coscienza chiede.

Anna

“Siamo responsabili di quello che abbiamo compreso e non lo attuiamo”.
Questo il cuore del post, ecco perche nell’ agire quotidiano non possiamo mai staccarci dalle nostre comprensioni che continuamente devono guidare I nostri gesti.
Grazie

Alberto c""

Come ho scritto nel post padre di questo, mi sembra di riuscire a capire la naturalezza del processo.
Grazie.

Catia Belacchi

Post chiarissimo, grazie

Anto

Si, ora è più chiaro, grazie.

nadia

Caspita che bella domenica piena di input che ci regali!
È chiaro ciò che scrivi, lo capisco e forse per qualcosa c è anche comprensione…grazie…

Sandra

Grazie! Più chiaro sicuramente

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