Quello che segue, e gli altri sei post che ad esso saranno collegati, sono la sintesi del Sentiero contemplativo e della Via del monaco, la conciliazione tra le logiche del divenire e quelle dell’essere, tra l’esserci come identità e il suo scomparire.
Vi invito a leggere con attenzione i testi, a ruminarli e a contemplarli: una lettura superficiale non estrarrà l’intima natura e funzione di questi contenuti, quella di accompagnare consapevolmente e vibratoriamente incontro a sé e all’unità d’essere.
La vita unitaria è la condizione originaria di ogni essere, l’umano non ha accesso a quella condizione a causa delle sue identificazioni,della ricerca senza fine della sua centralità, dell’egoismo e della paura che lo portano a coltivare una alterità e una contrapposizione che, nei fatti, non esiste, è una pura illusione generata da una limitata interpretazione di sé e della vita, dall’identificazione con una immagine di sé infantile e fondata sul vittimismo.
Illustro di seguito le sette disposizioni interiori necessarie per coltivare una dimensione unitaria d’essere: le tratterò in altrettanti post.
1- Non apporre etichette sui fatti
2- Sviluppare la consapevolezza del presente attraverso il ritorno a zero e alla presenza delle sensazioni
3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo
4- Essere disposti a togliere
5- Sapere che la vita provvede il necessario a ciascuno: la fiducia
6- Sviluppare lo sguardo del genitore che osserva la processione dei fatti, sa intervenire e sa astenersi
7- Salire sul monte, contemplare l’accadere come Ciò-che-è
1- Non apporre etichette sui fatti
Definiamo fatto qualsiasi cosa esiste e si presenta sulla scena della nostra consapevolezza: il pensiero, l’emozione, la singola azione nostra o altrui, sono fatti.
Il tempo è un fatto; le relazioni sono fatti.
Un processo è composto da fatti che vengono connessi tra loro sulla base di una disposizione interpretativa che esiste a priori, a volte, o che si forma man mano, altre volte.
I molti fatti di un processo, se non interpretati, rimangono singoli fatti, non divengono processo: la loro successione temporale non acquisisce rilevanza, ogni fatto scorre e viene abbandonato e non vi è proiezione sul fatto che deve venire, ne c’è ruminazione del fatto passato.
Non apporre etichette sui fatti significa non giudicarli e non parametrarli:
– non racchiuderli nella nostra limitata visione;
– coltivare la consapevolezza che dell’esistenza altrui nulla sappiamo, essendo il film di ogni persona personale e soggettivo;
– essere senza fine disposti ad azzerare la propria opinione e a guardare con sempre rinnovata curiosità ed interesse a ciò che si presenta, anche se per mille volte quella scena è venuta a noi e ci sembra di averla già tutta indagata;
– non confrontare mai il proprio con l’altrui, e viceversa: ogni persona è unica e irripetibile nel suo tracciato esistenziale.
La vita nel divenire, nell’affermazione di sé, ha bisogno di giudizio e di confronto: è così che si crea il proprio confine individuale e ci si divide dall’altro.
Questa è un’operazione necessaria nel divenire per lunghe stagioni d’esistenza, ma non è eterna e, a tempo debito, a sentire adeguato va superata.
Chi può superarla, si attiene alla non etichettatura e alla non parametrazione.
Chi non può ancora superarla, oscilla tra giudizio e non giudizio, identificazione e non identificazione con la propria personale interpretazione.
Non è necessario che il sentire sia compiutamente maturato per praticare il non giudizio e la non parametrazione: chi può si misuri comunque con questo.
Giudicare un fatto significa attribuirgli delle qualità e cristallizzarsi su quella definizione senza metterla in discussione.
Il non giudizio presuppone comunque un discernimento della natura del fatto, ma comporta il non spingersi oltre, il non apporre etichetta e dunque il rimanere completamente aperti rispetto a ciò che viene.
Questa è la prima indispensabile condizione per avviarsi sulla strada della vita unitaria, dello sperimentare unitario e dell’interpretare sé e gli altri all’interno di logiche unitarie.
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Non basta mai leggere, rileggere, riflettere.
Ogni volta che viene fatto ciò aspetti nuovi, più sottili sorgono e sollecitano la consapevolezza.
Interessante anche rileggere i commenti personali e constatare che, pur nel permanere delle officine, il lavoro si è affinato, alcune comprensione sono state acquisite.
Grazie per questi utilissimi strumenti che ci offri. Stamperò, studierò e farò tutto il possibile per mettere in pratica questi insegnamenti.
Avrei bisogno di approfondire la differenza tra giudizio e discernimento, scendendo in considerazioni pratiche. Grazie
Parliamone all’intensivo..
Si, grazie…interessante anche l’affermazione in risposta ad un commento di Mariella che dietro ad ogni emozione c è sempre l’affernazione della mente…da approfondire!
Grazie Roberto, per questi post, da stampare e rileggere…
La lettura del post, mi ha chiarito qual’è l’atteggiamento che coltivo rispetto alle relazioni, che a volte non viene compreso da alcuni, ma interpretato come inopportuno. Posso ora confrontarmi portando una maggior chiarezza. Grazie.
Grazie Robi, anch’io stamperò per rileggerlo più volte.
Non giudicare un fatto mi riesce quando c’è poco coinvolgimento emotivo, quando quel fatto riguarda soprattutto il cognitivo, allora riesco a guardarlo da una certa distanza e ad accoglierlo semplicemente per quello che è.
Ma quando il fatto va a suonare le corde emotive, prima di potermi disidentificare da esso si scatenano in me turbolenze legate a bisogni, aspettative, desideri, insomma tutto l’armamentario che l’io può mettere in campo. Questa è la mia vera officina oggi
Mariella: Chiaro ciò che dici, ricorda che dietro ogni emozione c’è sempre un’affermazione della mente..
Stare sul quel che è. Importantissimo per me! Questi insegnamenti sono stati a suo tempo una scoperta bellissima.
Grazie Robi del tuo impegno nel riproporceli.
Anche a me era venuta l’idea di stampare e ruminare i post. Sono un grande aiuto sulla via in un periodo di confusione.”Oscillazione” è il termine usato da Roberto che bene si addice. Grazie Robi!
Cercherò di coltivare il non giudizio disidentificandomi tutte le volte e nella misura in cui mi sarà possibile, visto che appartengo, credo, alla categoria di persone che oscillano tra giudizio e non giudizio.
Grazie
Il ventaglio di disposizioni interiori che suggerisci mi sembra un aiuto utilissimo per ricordarci la via e giungere all’unificazione. Stamperò ogni post per poterlo rileggere e ruminare.