Nella sua tesina sulla danza per l’esame di maturità che inizia proprio oggi, e che sappiamo supererà brillantemente, scrive una giovane amica in merito alla danza, al danzatore e all’essere-danzati:
“Il Balletto diventa veicolo di un’armonia assoluta e universale: scegliendo i suoi eletti li utilizza (direttamente, senza la mediazione di alcuno strumento) per trasmettere valori di bellezza.
Compito dell’uomo è quello di prepararsi ad essere veicolo tramite allenamento, disciplina e rigore. Quando il corpo è predisposto in armonia per danzare bene, non c’è più egoità, non esiste più il singolo che danza: è la danza che lo danza”.
L’amica in questione ha praticato lungamente danza classica e ora, da alcuni anni, danza moderna: parla di allenamento, disciplina, rigore.
Parole e concetti chiave quanto desueti in questo tempo, ma non in certi ambienti, non per certe persone.
Non è così anche per la via interiore? Non servono allenamento, disciplina, rigore?
Il cammino del conosci te stesso può essere perseguito in molti modi, almeno in una fase iniziale: in uno stadio avanzato allenamento, disciplina, rigore divengono imperativi che procedono unitariamente ad una grande compassione per sé e per il proprio prossimo, ma la compassione non è mai lassismo, tirare a campare, approssimazione: essa sorge dal governo delle forze interiori che è divenuto pietà.
La persona che non ha imparato a governare le forze interiori è primaria, nell’accezione del termine propria della via interiore, e abbisogna di esperienze primarie.
Nelle scuole di iniziazione di un tempo, l’allenamento, la disciplina, il rigore avevano funzioni precise ed una centralità riconosciuta: oggi, con l’iniziazione generale, sembra che esse non abbiano più una funzione specifica e in molti affermano che basta vivere.
È vero, basta vivere, e questo per un lungo tratto di strada, ma non per sempre: la necessità del rigore è qualcosa che sorge ad un certo punto del cammino e, quando sorge, non lascia possibilità di arbitrio: non fare del male, non ferire, non abusare, non invadere, non prevaricare, non usare, non porsi al centro, non rimuovere, non distrarsi, non disperdersi.
La Via chiede integrità, chiede la vita intera, non dei frammenti: donare la vita intera è un processo, richiede allenamento, disciplina, rigore, compassione senza fine.
Fare sul serio, farlo fino in fondo;
dire una parola e sentirsi vincolati da essa;
intraprendere un’opera e completarla;
vedere le forze in campo e saperle governare;
essere capaci di un passo avanti, quando necessario;
di un passo indietro appena possibile, prima che l’altro ce lo chieda.
La nostra giovane amica ci ricorda che noi siamo il tempio dello spirito, il contenitore di un’intenzione divina, l’aspetto tangibile ed effimero di un sentire-che-è, la rappresentazione di un grado del Sentire assoluto: quando siamo divenuti consapevoli di questo, la disciplina è stata interiorizzata, il rigore è il nostro metodo, l’allenamento la nostra disposizione.
Il tempo del fare le cose per farle è finito, appartiene ad un passato lontano ed estraneo: oggi ogni fatto è riconosciuto come l’essenziale, come il determinante.
Anche il più piccolo, anche il grano di senape.
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Mi vengono in mente le parole e l’esempio di don Milani quando scriveva che l’obbedienza non è più virtù ma poi faceva scuola ai ragazzi 365 giorni all’anno con rigore e dedizione totale. Ecco quella è l’ubbidienza che libera. grazie
Un inchino profondo alla giovane amica.
Quanto alla Via, che richiede la vita intera, leggendo avverto un moto di ribellione: ma proprio tutta? Tutta la vita?
Se mi fermo a riflettere so bene che qualunque eccezione rappresenta una separazione incompatibile con la Via stessa.
Perché allora questo moto?
E che cosa pretenderei di tenere fuori dalla Via, ammesso che riesca a trovarlo?
Grazie per la riflessione che il post ha generato in me
In un contesto sociale, dove i giovani sono tacciati per lo più di lassismo e superficialità, le parole di Francesca fanno di molto riflettere.
Che grande lezione di vita da una giovane ragazza! Grazie.
Bellissimo, Complimenti alla nostra amica e grazie.
Una bella consapevolezza per una così giovane coscienza..
Non sapevo che F. avesse fatto danza, ora è chiaro che in questa forma di espressione così potente che è la danza lei abbia sperimentato quella dimensione precisa in cui si diviene la danza e non c’è più un soggetto che esegue dei movimenti.
Davvero riconoscente alla giovane amica per il suo compreso e per l’insegnamento che ci trasmette. E’ bene tenere a mente, quanto detto nel post, cioè percorrere la via interiore con allenamento, disciplina e rigore.
Leggendo arriva la potenza della forza e della determinazione, che però sono un frutto e non una costrizione: disciplina, rigore, totalità, non come sforzo identitario, ma come ineluttabile processo, obbedienza che libera. Ne comprendo la portata. Grazie!