Il Reale è un grado d’esperienza e di consapevolezza; il reale è un grado diverso.
Il primo è sperimentabile prevalentemente attraverso i sensi del sentire, il secondo attraverso la prevalenza dei sensi dei corpi transitori.
Il reale esiste in virtù del Reale: tutto è dunque sentire.
Tutti gli umani sono costituiti di sentire e a esso hanno accesso, in vario grado.
A maggiore evoluzione corrisponde più ampia strutturazione del corpo akasico, più alto sviluppo dei suoi sensi, una connessione più ferma, pervadente e fluida con i corpi transitori.
A seconda del grado d’identificazione, l’accesso al sentire, o il suo fluire, risulta penalizzato.
Una forte dinamica nel corpo mentale e astrale – i due sono inscindibilmente connessi – disturba il flusso in discesa dei dati dal sentire – il fluire – e di quelli in salita – l’accedere.
La visione esterna è quella prevalentemente fondata sulla consapevolezza fornita dai sensi dei corpi transitori, sebbene i sensi del sentire – a seconda del grado di sviluppo raggiunto – forniscano comunque dei dati.
La visione interna è basata sui dati forniti dai sensi del corpo akasico/sentire ai quali si aggiungono quelli dei corpi transitori.
La visione esterna coglie prevalentemente il reale, quella interna prevalentemente il Reale. Naturalmente questa è una riduzione approssimativa e schematica.
Di fronte a un fatto, a seconda del grado evolutivo del centro di percezione, e di quello d’identificazione, si avrà prevalente percezione esterna o interna.
I fatti di questi giorni nel Sentiero, rivelano prevalenti percezioni esterne o interne.
Il deficit di reazione di alcuni, la rimozione operante in altri parlano di visione esterna.
La prontezza e l’intensità di altri, di percezione interna.
Questo è valido in generale, ma non nel particolare.
Accade infatti che in alcuni sistemi la percezione interna dei fatti non produca una subitaneità di reazione a causa della struttura temperamentale, o di alcuni conflitti di comunicazione tra i piani/corpi.
E accade anche che alcune reazioni immediate e sollecite siano più la conseguenza di una eccitazione dei corpi transitori, che di un fluire della percezione interna.
Inoltre, in alcuni centri di sentire, il ruolo della responsabilità confonde in sommo grado le cose, al punto che non si capisce se sia prevalente la percezione interna o la visone esterna, in quanto il senso di responsabilità marcato prevale su tutto.
Quel centro di coscienza non opera perché spinto dal sentire, o da una identificazione, ma in virtù del principio di responsabilità: “Sento la responsabilità in una certa situazione e mi attivo”.
D’altra parte, l’attivarsi della responsabilità può essere il frutto di una pressione del sentire, quindi della percezione interna, o dell’influenza di codici morali, e quindi conseguenza della visione esterna.
Un guazzabuglio inestricabile.
Qual è il senso di quest’analisi? L’affermazione di un principio: mai sappiamo cosa c’è dietro l’intendere e l’operare delle persone.
Liberati dalla pretesa di sapere, osserviamo i fatti. C’è chi reagisce prontamente, chi lentamente, chi rimuove.
Se ci facessimo bloccare dal guazzabuglio interpretativo, rimarremmo paralizzati: cosa facciamo allora?
Operiamo, reagiamo a pratire dall’impulso che sale dal nostro interiore e che ci chiede di divenire fatto, azione nel divenire. Certo, lo filtriamo attraverso la valutazione d’opportunità, di necessità, di efficacia, ma alla fine giungiamo alla manifestazione.
Rischiamo di dire cose approssimative e magari non reali? Ma certo!
Ma vi risulta che esista un sasso che cada nello stagno sbagliato?
Dunque la nostra azione, per quanto maldestra, provocherà una ripercussione nel centro di sentire che di quell’impulso ha necessità; passerà invece indenne attraverso quel centro che di quello non abbisogna.
Agli occhi del secondo avremo fatto la figura degli stolti o degli inopportuni? Probabile.
Quell’etichetta apposta sul nostro comportamento sarà il vero insegnamento per quel centro di sentire: non è stato colto dalla nostra azione, ma dalla sua reazione alla nostra azione; comunque qualcosa è accaduto, uno stimolo lanciato, una possibilità di apprendimento avviata.
Ecco l’importanza di attivare intenzioni, generare pensiero, operare azioni, immettersi nei processi e decidere di osare il vivere.
Ecco l’importanza dell’officina chiamata Sentiero.
Ecco perché nessuno può rimanere alla finestra e, qualunque sia la sua modalità prevalente, qualunque la struttura dei corpi, qualsiasi il livello d’identificazione, è chiamato a manifestare il principio vitale che lo informa attraverso quelle dimensioni che appella con il proprio nome.
Non pochi di noi sono bloccati, o rallentati, o trattenuti dalla possibilità di sbagliare e di venire, conseguentemente, etichettati come non adeguati.
Questi timori sono giustificati, ma se non vengono visti e superati rappresentano un ostacolo insormontabile al vivere pienamente e nell’abbondanza di senso.
Lasciamo che sia il momento presente a far si che il ciò che è rappresenti l’unico inscindibile motivo per agire e non essere altrettanto tiepidi
Ciò non toglie che in alcuni casi va preservata la concomitanza di eventuali cruciali e indiscutibili su cui obbiettare e altrettanto difficile…
Gratuità e partecipazione sono gli elementi fondanti di tutto il nostro cammino
Per il momento accolgo con gratitudine
Fiducioso che piano piano qualcosa verrà iscritto nei neuroni…
Vivere, sporcarsi le mani, non tirarsi indietro. Questi i presupposti del procedere a cui veniamo esortati.
Colpisce il concetto che mai sappiamo cosa c’e’ dietro l’intendere e l’operare delle persone.
E’ un automatismo interpretativo che, benche’ lavorato, torna a volte in superficie forse perche’ ancora la parte identitaria chiede la sua parte.
A riprova di cio’ che il post esplica, l’affermazione appena scritta aggiunge dati di consapevolezza e quindi cambiamento.
Già, il guazzabuglio interpretativo tende a paralizzare!
…
La distinzione tra Reale e reale è quanto mai opportuna. Finalmente per me è più chiaro.
Tutto il post è utile a chiarire le nostre dinamiche comportamentali, ma se ho ben capito quello che conta è attivarsi, non rimanere passivi, qualsiasi sia la spinta ad agire.
Anche se difetto di sollecitudine e da tempo fatico a manifestare le mie reazioni, capisco e accolgo quanto qui viene detto. Uso a proposito il termine “capisco”, perché se ci fosse comprensione, agirei diversamente.
Una cosa mi impegno a fare, cercare di non inventare giustificazioni ed esprimere il poco con onestà, anche a rischio di un giudizio negativo o di disapprovazione.
L’operazione non è semplice perché comporta lo smascheramento dei propri meccanismi di difesa dell’immagine di sé, meccanismi che spesso agiscono velocemente e nell’inconsapevolezza.
E’ per questo che spesso prendo tempo, prendo tempo perché la menzogna è sempre in agguato e quel tempo è un travaglio che fa parte del gioco che stiamo giocando.
Certo non è detto che porti immediatamente a una comprensione, ma rappresenta comunque una fonte di dati per la coscienza, dati che prima o poi, sommati ad altri dati sfoceranno in una comprensione.
Discorso complesso, come dici.
È necessario operare nel non giudizio, consapevoli che qualsiasi cosa detta o fatta, sarà una risposta relativa e parziale.
Per questo penso sia necessario operare in umiltà, ma senza nascondersi e sottrarsi alle responsabilità.
Un nuovo guazzabuglio si apre se consideriamo che tutto è comunicazione, anche il silenzio.
A volte alcuni silenzi pesano come macigni e non è solo una frase fatta.
Sappiamo anche altre cose sulla comunicazione ad es. la differenza tra modalità incentrata sul maschile e modalità sul femminile.
Tutte cose che non sfuggono di certo alla nostra guida, autore del post, ed al cui discernimento e sapienza mi rimetto facendo tesoro di quanto scritto e risuonante in me. Grazie.
Il senso di inadeguatezza, figlio del giudizio, mi è appartenuto x lungo tempo, e forse ancora a volte si presenta, ma nel tempo l’azione, per quanto a volte sgraziata, ha prevalso e i blocchi sono stati nel tempo lavorati.
La consapevolezza che nessun sasso cada nello stagno sbagliato ha prevalso.
Il tempo è stato x me di grande aiuto.
A volte leggo considerazioni che fatico a comprendere ma le lascio sedimentare e mi affido ad una comprensione altra, che non è della mente ma dei corpi tutti e che lavora nel profondo e mi aiuta a fiutare la direzione da prendere tra quelle che la vita apparentemente mi mostra.
”Ma vi risulta che esista un sasso che cada nello stagno sbagliato?”
Liberi dal giudizio agiamo, nella consapevolezza di essere da stimolo e di essere stimolati.
Grazie