Il rumore dei concetti e le necessità del contemplativo (Appunti)

Alcune considerazioni in merito al post Divenire, reincarnazione: tutte illusioni! e al rumore dei concetti. Quanto affermato da Scifo, da Kempis del CF77, da altri in questo tempo così prolifico di scoperte sulla natura della realtà che percepiamo, è di qualche utilità o è solo cibo per la mente?

Afferma Scifo:
“Anche il discorso dell’immersione nella materia e della reincarnazione è un’illusione; “voi” vi immergete soltanto teoricamente nella materia ma in realtà siete come degli attori che osservano ciò che succede sotto”.

Quanto vivete è una rappresentazione che esiste perché voi la state guardando in quel momento”.

Da queste e da altre affermazioni consegue che la percezione del reale è condizionata:
– dai sensi che posseggo;
– dal sentire conseguito.

Da umano, ho questa dotazione di sensi e dunque essi questa realtà “estraggono”.
Il sentire, invece, a differenza dei sensi, si trasforma: più si amplia, più posso comprendere la profondità e complessità del reale.

Ma se oggi io ho un dato sentire che mi permette di accedere a una certa comprensione della realtà, a che mi serve sapere che tra tre decenni, o la prossima vita, avrò un’altra percezione e interpretazione di ciò che mi accade?

Può servirmi a un solo fatto: a relativizzare la percezione e l’interpretazione attuale, a inquadrarla in un contesto più ampio.
Quindi tutto questo discorrere sul reale, sul divenire, sull’Essere, sull’illusione non ha altra funzione che quella della conoscenza, di soddisfare il bisogno di conoscenza: ai fini della vita di ogni giorno è di utilità relativa.

Mi vengono in mente le molte parole del Figlio dell’uomo che non soddisfano la sete di conoscenza, ma ti scaraventano in un battito di ciglia nella dimensione contemplativa relativizzando ogni identificazione e ogni interpretazione.

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono…

Ecco che allora tutto il discorrere esoterico è buono per le menti, un po’ meno per i contemplativi che di quel cibo, alla fine della giostra, non sanno bene cosa farsene perché finisce per creare una sovrabbondanza e un rumore che invece di favorire, distolgono.

E allora, non hanno forse ragione i cristiani che invitano a focalizzarsi sull’intenzione e sull’operare?
E non ha ragione lo Zen che si occupa solo dell’adesso?

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6 commenti su “Il rumore dei concetti e le necessità del contemplativo (Appunti)”

  1. Sì, è così. Non operando alcuna esclusione, l’illuminato (qualsiasi cosa voglia dire) adopera ogni tipo di linguaggio e forma secondo quanto può comprendere colui con il quale entra in contatto, poiché l’essenza è altrove, vi è definitivamente radicato e traspare a prescindere. L’incontro è guidato dall’essenza stessa.

    Al contempo, in mancanza di attaccamento, esprimere una preferenza su quali incontri nutrire e quale linguaggio frequentare non costituisce esclusione rispetto al resto, anzi è un seguire senza scopo il flusso che giunge come espressione di unità e che si incarna, senza intenzione alcuna, in un ruolo.

    Un altro apparente paradosso…

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    • Direi proprio di sì. È cambiata la comprensione del mondo.
      Può ancora essere il luogo di una trasformazione – perché se siamo incarnati una ragione pure ci sarà – ma le scene si svolgono all’interno di un teatro di cui sentiamo ogni componente, quell’essere rappresentazione e quell’essere eternità senza scopo, simultaneamente.

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  2. Quando si incontra un paradosso è di solito un buon segno: significa che si è giunti al limite di osservazione nel duale di una unità.
    Qui il paradosso è questo: affermare il primato di una dimensione autentica del sentire senza spazio né tempo, e di fatto più aderente alla realtà “profonda”, è un ultimo riflesso di una necessità di adeguatezza al mondo che si attua nella mente, in particolare in uno strato emotivo che ci aiuta a classificare le cose in meglio o peggio.

    Quando uno si trova per sua a disposizione nel sentire più completo, quella è la sua dimensione: punto. Può guardarsi alle spalle e vedere qualcuno con la stessa disposizione, ma non ancora nella comprensione, e con la sua testimonianza può fungergli da insegnante. Fine.

    Ogni valutazione sul fatto che persone immerse nel samsara del divenire debbano meglio essere trapiantate nel sentire, che questo abbia per loro qualche utilità pratica, che debba essere il loro obiettivo o che sia inutile insegnare nella dimensione del divenire è a mio avviso superflua.

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  3. Se nulla è a caso, tutto ha una funzione.
    Forse il passaggio dal mentale al contemplativo è necessario.
    Ma se osservo la mia esperienza, mi pare di poter dire che certe comprensioni della coscienza avvengono indipendentemente dall’averle comprese con la mente.
    Mi aiutano a capire dopo, semmai, il perché di certi comportamenti.
    Come se fossero già presenti e lo sforzo per dargli una connotazione è tutt’al più una conferma, ma non la sostanza.

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