La comunione del sentire tra monaci

Cosa rimane di un cammino di contemplazione e di formazione quando ha esaurito la sua funzione per un certo numero di persone?
Rimane il paradigma e le pratiche che ha sviluppato; rimane ciò che ha trasmesso ai singoli e all’insieme e che, sebbene sia affidato al vento, mai cade su un terreno casualmente.

La funzione del Sentiero è stata quella di portare un contributo nel divenire, per accompagnare alcuni che avevano una domanda relativa al loro procedere esistenziale, o al loro abbandonarsi all’Essere che sentivano con forza bussare; in ogni momento il Sentiero è stato pronto a tirarsi indietro, a scomparire.
Assolvere un servizio e poi sparire.

Questo è avvenuto: ma che ne è dei singoli, di coloro che il Sentiero l’hanno fondato e alimentato?
Vivono le loro vite di monaci.

Monaco: colui/ei che persegue e realizza l’unificazione interiore.

Un monaco vive il quotidiano e dedica le proprie ore al Ciò-che-È.
Un monaco, con una certa continuità, incontra altri monaci consapevole che tutti procedono assieme e sono Uno.

È nella pratica di tutti i giorni, fatta di dedizione, solitudine, comunione e condivisione, che si realizza la comunità monastica, la comunità dei sentire, che altro non è che la lucida consapevolezza, e la pratica di questa consapevolezza, che tutti sono Uno, che chi appare altro in realtà non lo è, chi è percepito lontano in realtà non è distinto da sé.

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9 commenti su “La comunione del sentire tra monaci”

  1. Grazie per ricordarci la natura della Comunità monastica, quale comunità dei sentire. Su questo occorre focalizzarci, se veramente riconosciamo in noi questa vocazione: che chi appare altro da sé “in realtà non è distinto da sé”.
    Coltivando questa consapevolezza, in quella direzione orientiamo la nostra disposizione nei confronti dei fratelli nella via.

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  2. Nell’intento di dare risposta al quesito se il procedere comune, intendo nella modalità del confronto e dell’approfondimento con i fratelli e le sorelle della Via, sia ciò che è giusto fare, leggo questo post.
    Mi colpisce questo passaggio: “È nella pratica di tutti i giorni, fatta di dedizione, solitudine, comunione e condivisione, che si realizza la comunità monastica, la comunità dei sentire, che altro non è che la lucida consapevolezza, e la pratica di questa consapevolezza, che tutti sono Uno, che chi appare altro in realtà non lo è, chi è percepito lontano in realtà non è distinto da sé.”
    Alcune ansie si affievolano.

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  3. Non arrivo a percepirla nel modo che descrivi, o almeno non in modo così ampio.
    Parmi non essere (la comunione dei sentire) nemmeno quella di emettere tutti una stessa nota dal momento che i sentire son diversi, così come le persone che li esprimono.
    Parmi piuttosto un sintonizzarsi su una stessa frequenza e condividere la stessa musica che si concorre a suonare.
    La frequenza in cui vi è un certo allineamento, in cui la pretesa identitaria è a cuccia; quella in cui, partendo dell’attenzione alle sensazioni, si crea uno spazio ed anche una pregnanza e in quello stato si sta assieme e si condivide il tempo ancor prima che pensieri o gesti.
    La condizione unitaria, dei singoli e del consesso, in quel contesto affiora.

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  4. Sempre ci ricordi dove posare lo sguardo, il valore del vivere il quotidiano come ciò che è, la consapevolezza che ci indirizza verso la via del monaco e la unificazione interiore.
    Per tutto questo ed altro ancora, grazie.

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