Operare senza pretese con l’attenzione posata sull’effimero [V14]

Effimero non è l’altro da voi: effimero è tutto ciò che voi costruite sull’accadere che si presenta davanti a voi. Tutto accade ed è effimero, e voi lo interpretate e lo consolidate, non capendo che l’accadere è il compiersi di ciò che si compie.

Attenti, però, a non far diventare l’accadere il motivo per sottrarvi all’azione, poiché voi nell’azione comunque ci siete sempre. Non vi è stato detto che ‘avviene quel che deve avvenire’, questa è una vostra interpretazione; e su quel ‘deve’ poi costruite le vostre teorie che vi servono per sottrarvi al vivere la vita e incontrare l’accadere.

Incominciate, quindi, a esserci, operando senza pretese, con l’attenzione posata sull’effimero. E allora la prima cosa effimera che appare sono le vostre pretese, la seconda è il vostro ‘io’.

Voi credete che l’effimero, di cui vi parliamo, sia soltanto una facciata, dietro la quale – vi dite – c’è comunque sostanza e solidità, e che quindi anche di effimero potete riempirvi interiormente, rallegrandovi: “Ah, che bello l’effimero!”.
Non è così. Voi state ancora una volta costruendo etichette per scivolare via dall’effimero, che temete, sovrapponendogli un’interpretazione che vi rassicura, cioè quella di renderlo ancor più importante e fondamentale per una vostra progressione evolutiva.
Ma non capite che costruire consistenza e solidità sull’effimero è un inganno? Così come lo è aver bisogno di raffigurarvi un Dio, o un Assoluto che, sovrastandovi, diano conferma al vostro esserci.

L’effimero non arricchisce interiormente ma, quando lo si incontra davvero, consuma tutte le speranze e rende vano ogni tentativo di trovare una scappatoia per eluderlo.

Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Vita, pag. 16

In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.

Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.


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6 commenti su “Operare senza pretese con l’attenzione posata sull’effimero [V14]”

  1. Si ritorna incessantemente sulla necessità di coltivare il dubbio, la vigilanza.
    Grazie anche a Leo che riporta l’attenzione sui trabocchetti della mente/identità.
    Le sue sofisticazioni sono le più insidiose e pericolose per coloro che voglio intraprendere la Via dell’Unificazione.

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  2. Se ho capito, non dico compreso, effimero è non dare sostanza ai fatti, non colorarli o catalogarli o collegarli ma vederli soltanto come fatti. Tutto ciò che ci appiccichiamo sopra è superfluo, irrilevante.
    Questo non ci esime però, come dice Soggetto, dal responsabilizzarci e non agire.

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  3. L’effimero è il ciò che è e non lo si può accogliere. La realtà si manifesta, si svela quando il soggetto scompare.
    Se da un lato c’è il rischio di risparmiarsi nell’agire, etichettando tutto come “ciò che è”, dall’altro l’ interpretazione dell’effimero nasconde ulteriori bisogni. Occorre dunque grande attenzione!
    Grazie a Leo per l’ulteriore ed esaustiva spiegazione.

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  4. Ad Alberta:

    Credo che la questione dell’accogliere il “Ciò-che-è, senza pretese” non sia così facile da risolvere, appunto, non sia “una scappatoia”.
    A mio avviso, non basta dire che si “disconnette” il meccanismo del consolidamento dell’effimero semplicemente “rifugiandosi” nel Ciò-che-è per mezzo della “scappatoia” della disconnessione.
    Il problema in questo processo è il “soggetto”. È il soggetto che “fa”, è il soggetto che “sceglie”, è il soggetto che “disconnette”, è il soggetto che “accoglie” il Ciò-che-è”.
    Se c’è il “soggetto” non c’è la disposizione a far sì che la forza dell’effimero impatti sulle nostre vite, e quindi è precluso anche all’accesso al Ciò-che-é.
    Saremo convinti e illusi ancora una volta di aver eluso e raggirato la potenza della mente, ma in verità ciò che abbiamo fatto uscire dalla porta (il soggetto) è rientrato dalla finestra.
    Insomma, non possiamo essere “noi” che “decidiamo” di disconnettere il consolidamento dell’effimero e così aprici al Ciò-che-è.

    La chiave è qui:

    “L’effimero non arricchisce interiormente ma, quando lo si incontra davvero, consuma tutte le speranze e rende vano ogni tentativo di trovare una scappatoia per eluderlo.”

    Si incontra davvero l’effimero quando si è abbastanza maturi nel sentire da poterlo avvertire dunque senza merito o demerito personali, solo per semplice processo, e quando si inizia a sentire la pressione dell’effimero occorre lasciare che consumi ogni speranza e renda vano ogni tentativo di eluderlo.
    E questo implica conoscere la mente e sapere quanto sia tenace nel volersi infilare dappertutto. A partire da questa constatazione lasciar spazio alla “vigilanza”, alla “dubbio” e in ultimo alla “disconnessione”. Insomma, erigere il sospetto a regola.
    Diversamente, rischiamo di trasformare, incolpevolmente il Ciò-che-è in un’ulteriore sofisticazione della mente.

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  5. Noi teniamo l’,accadere e quindi consolidiamo l’effimero, la scappatoia , come sempre, è accogliere il Ciò che è, senza pretese. È così,?

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