[Via del monaco 1] Alcuni di noi sono chiamati a qualcosa di più della semplice ricerca spirituale, sono mossi da una inquietudine che ha radici profonde e che non si accontenta di quella pratica, di quel rito, di quella lettura o frequentazione.
Alcuni di noi hanno impulso e necessità di dedicare la totalità della propria vita, e ogni attimo di essa, alla realizzazione della condizione unitaria propria della dimensione del monaco.
Non si acquisisce la consapevolezza dell’archetipo del monaco che opera in sé perché qualcuno ci educa a questo, o perché ci riconosce in questo: dall’inquietudine, dalla ricerca di senso, dalla vita ordinaria che non basta e che chiede Altro, sorge la risposta nostra a una chiamata esistenziale, risposta che fiorisce come un fiore sotto la neve.
Il Sentiero contemplativo culmina nella Via del monaco, nella dedizione totale alla vita simultanea nell’Essere e nel divenire.
La Via del monaco è via di solitudine e di condivisione:
– nulla possiamo se non siamo capaci di ascolto profondo, e non c’è ascolto che non cresca, innanzitutto, nella solitudine e nel silenzio;
– nulla possiamo se non siamo capaci di confrontarci con gli altri, di darci, di offrirci alla relazione autentica lasciandoci mettere in scacco dall’alterità altrui.
Cosa chiede il Sentiero ai suoi monaci?
1- di avere consapevolezza della propria condizione di monaci, della propria chiamata esistenziale, della sua autenticità da verificare ogni giorno;
2- di provare ogni giorno a vivere illuminati dall’archetipo del monaco;
3- di avere fisso lo sguardo sulla simultaneità di Essere e divenire;
4- di riconoscere l’importanza del procedere assieme, dell’azione chiarificatrice e ispiratrice operata dalla presenza dell’altro da sé;
5- di nutrire quel procedere offrendosi, dandosi senza timore, trovando il giusto equilibrio tra la propria vita personale e quella comunitaria.
La Via del monaco è il completamento del Sentiero contemplativo, il suo approdo; è anche il percorso di un gruppo di persone che si incontrano periodicamente all’Eremo dal silenzio e, a ogni stagione, al monastero camaldolese di Fonte Avellana.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Impegnarsi è un lavoro continuo
Comprendo bene ciò che si afferma. Ogni percorso è venerabile ma le spinte avvertite per intraprendere quel cammino hanno una differente natura .
Il bisogno di silenzio e solitudine aumenta, man mano che si è impegnati a coltivare l’ascolto di sé, di rimanere in costante contatto con la radice.
Mi rendo conto che quando mi relaziono con persone che non hanno la stessa necessità, le sento distanti, difficile su alcuni aspetti del vivere, il confronto.
Di qui la necessità di coltivare la relazione con coloro con cui posso condividere questo stato.
Pur sperimentando le varie diversità di Sentire, la relazione è imprescindibile come strumento di conoscenza di sé e dell’altro, che comunque sempre, anche in un rapporto conflittuale, rappresenta il collaboratore efficace per svelare le maschere dell’Io.
Più che bussare l’archetipo del monaco scardina la porta dietro cui ci si trincera.
Una volta compreso che l’essere monaci ci appartiene ontologicamente si è chiamati a perseguire questo “richiamo”.