[Via del monaco 3] Chiunque sia reduce da un lungo periodo di formazione è immerso in una bolla in cui l’immagine di sé si è strutturata in relazione alla formazione ricevuta.
Vale per qualsiasi formazione, in qualsivoglia ambito e non fa eccezione la formazione spirituale.
Durante il periodo formativo sono stati acquisiti un paradigma, delle concettualità, dei linguaggi, dei comportamenti, degli stili di vita: tutte cose importanti ma che dovranno diluirsi nella vita quotidiana che ciascuno si trova ad affrontare.
Diluendosi la bolla formativa, emergeranno sincerità con se stessi e autenticità.
La persona reduce da una formazione spirituale ha l’illusione di aver trovato sé, in realtà ha prevalentemente sofisticato l’immagine di sé.
Vivendo, affrontando le sfide, mettendo in pratica l’acquisito avrà modo di “vestire” l’insegnamento, usurandolo, stropicciandolo, sporcandolo, consumandolo: tutti passaggi necessari per renderlo reale, per incarnarlo nelle ore e nelle fatiche dei giorni, facendolo scendere da immagine di sé a sostanza compresa e praticata.
L’operazione richiede tempo: non c’è immagine più impropria di sé di quella che emerge dopo una formazione, e se la persona non ne è consapevole incorre in seri rischi, alimenta qualcosa che è solo una bolla narrativa e, fondamentalmente, irreale.
La Via del monaco è il completamento del Sentiero contemplativo, il suo approdo; è anche il percorso di un gruppo di persone che si incontrano periodicamente all’Eremo dal silenzio e, a ogni stagione, al monastero camaldolese di Fonte Avellana.
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Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Ogni formazione, fra cui quella spirituale, fornisce i mezzi per proseguire poi il cammino, ma solo l’esperienza porta a far divenire pratica quotidiana ciò che si è appreso, fra ragli e sonore cadute talvolta anche fra i più esperti. Alla fine sembra diventare persino banale ciò che si è acquisito, ma perché è diventato, tramite la pratica quotidiana, parte di noi.
Senza che ce ne accorgiamo, talvolta, sorge in noi il cambiamento.
Tra l’illusione e di aver trovato sé e l’avere invece sofisticato l’immagine di sé c’è la messa in dubbio di ciò che ci racconta la mente, ma occorre una vigilanza continua.
Si sperimenta nella frequentazione di certi ambienti che la formazione produce una immagine che a volte è omologazione di atteggiamenti e linguaggi. Perchè qui dovrebbe essere diverso?
È mia esperienza.
Aderire a tutto e poi mettere in discussione tutto, buttare via tutto per poi ricominciare, sono cicli che mi riguardano.
Alla fine di ogni ciclo rimane appiccicato qualcosa, quello che è possibile e che è ciò che realmente si è compreso.
L’immagine di sé ha perso spazio, non richiede più energie.
L’attenzione riversa nell’incarnare gli insegnamenti e nei feedback che da quel lavoro ritornano.
Siamo all’opera!
Inizialmente si entra in via spirituale per conoscere sé e si identifica la buona riuscita del proprio cammino in base a quanto la via spirituale faccia sentire “felice”; si raffina, così, la propria lettura di sé e si erige una barriera contro ciò che è percepito come spiacevole.
Ciò che è troppo complicato che non si riesce ad accettare diventa “Ciò-che-è”: un’etichetta per ogni cosa che non si vuol vedere.
Poi a un certo arriva il logoramento e forse inizia una nuova fase…
È vero si ha l’impressione che tutto debba essere lasciato ma anche di confusione perché si avverte l’illusione del nostro pensare o delle nostre emozioni…e non si sa cosa stiamo diventando…o meglio..come sia possibile non identificarsi in qualcosa