I fatti che scorrono nella vita non sono etichettabili, non sono comparabili, non sono misurabili, non sono adattabili e nemmeno evitabili: sono semplicemente da accogliere, poiché vivere è essere in ciò che accade senza alcuno sforzo per imprimervi sopra il proprio marchio e per renderlo utile alla propria trasformazione interiore.
I fatti che si presentano sono da vivere con curiosità, ma con distacco rispetto alla propria struttura mentale, per scoprire quel che essi sono in sé, vale a dire non-rilevanza e neutralità. Essere aderenti all’accadere non fa fare alcuna comparazione fra un fatto presente e un fatto già trascorso, ma porta a vivere il presente così com’è, cioè dove si manifesta la profondità della vita nei suoi vari aspetti.
Uno degli aspetti [di questa profondità] è l’indicibilità.
Si mostra nel silenzio che si sente nascere dentro, quando si lasciano andare le certezze e ci si abbandona al dubbio.
L’indicibilità è come un’onda che fa emergere i fatti e poi li fa svanire, senza nulla aver aggiunto o sottratto a ciò che è.
L’indicibilità della vita si svela quando non si è attaccati ai fatti, perché li si vede in sé; è un distacco che non è disinteresse, ma consapevolezza di essere vita nella vita, senza nulla aggiungere di proprio.
Un altro aspetto della vita [nella sua profondità] è l’impersonalità.
L’uomo la teme come provocazione al suo bisogno di identificarsi negli accadimenti, come se fosse lui il protagonista di ciò che si apre e poi si chiude nello scorrere della vita.
Per voi c’è sempre un ‘chi’ come soggetto agente di tutte le azioni, sia vostre che altrui; e in quanto protagonisti delle azioni, vi date una grande importanza, convinti che la vita sia utilizzabile ai vostri fini, a maggior ragione quelli evolutivi.
L’impersonalità plasma tutto ciò che accade, e l’uomo che, per trasformarsi, si impegna con volontà nelle azioni che compie, la vive come una sconfitta.
Impersonalità significa che i fatti sono in sé, cioè privi di intenzioni, e non appartengono ad alcuno né sono generati da qualcuno, perché nulla c’è da interpretare dell’accadere e nulla c’è da aggiungere.
Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Vita, pp. 21-22
In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.
Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.
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Comprendere che i fatti sono, indipendentemente dalle individualità significa non solo non considerarsi centrali, ma anche non ritenere l’altro protagonista dei fatti che accadono. Tutto è manifestazione della. Vita.
L’indicibilità “si mostra nel silenzio che si sente nascere dentro, quando si lasciano andare le certezze e ci si abbandona al dubbio”.
Questo passaggio cattura la mia attenzione. In ambiente spirituale spesso si parla di “ancoraggio profondo”, di “scoperta del vero Sé” che restituisce “stabilità” e dunque “consapevolezza”. Ancora: si parla di “costruire sulla roccia piuttosto che sulla sabbia”. Tutto vero e sacrosanto, ma tutta questa necessità di stabilità può essere pericolosa, può essere un più raffinato e sofisticato modo della mente per mantenersi stabile e al centro.
Occorre stare molto attenti. Abbandonare qualsiasi certezza significa anche e soprattutto esporsi costantemente al dubbio radicale, rimanere vigili e per questo il dubbio come modalità esistenziale ineliminabile.
Le menti sono brave a raccontarsi tante cose…
Che la vita vada accolta come un fatto che accade, senza etichettato, compararlo, ecc… lo comprendo.
Difficile è comprendere su cosa quel fatto mi interroga, cosa mette in evidenza di me.
Se le esperienze sono funzionali ad un maggior grado di comprensione, l’impatto produce quasi sempre una reazione.
La neutralità è il secondo stop, se la comprensione è avvenuta.
Nonostante la chiarezza di ciò che il post riporta, l’esperienza palesa altro.
Nonostante la convinzione (e non solo) di vivere i fatti per ciò che sono, a determinati accadimenti susseguono reazioni “positive” o “negative”….la mente quindi se la racconta!
Queste reazioni sorgono sottoforma di energia, di vibrazione che stanno a sostegno di ogni centro di coscienza e di espressione. Sono bene o sono male? Sono quel che sono e come tali lasciamo che ci trapassino.
I fatti non sono da comparare, da etichettare, sono da accogliere.
Non c’è un protagonista, qualcuno che se ne può assumere il
merito.
Tuttavia i corpi inferiori portano la memoria degli accadimenti sia quelli gioiosi, sia quelli dolorosi che quelli neutri. Pertanto anche se ad esempio, cerchiamo di non comparare un fatto che provoca rabbia ad uno precedente, la rabbia sale comunque se a provocarla è l, ‘altro da sé che aveva fatto sorgere la precedente.
Mi pare di dover dire che più che non comparare dobbiamo disconnettere.
La mente etichetta, compara e misura, sempre. Nella mia natura è così. A volte queste comparazioni sorgono in un secondo momento rispetto al fatto, altre volte lo velano.
Di fondo la base è neutra e c’è consapevolezza del meccanismo per cui si osserva l’insieme.
Comprendo chiaramente ciò che viene affermato nel post. Grazie!
I fatti che scorrono
È così e lo si comprende osservando la Natura.
Esiste contestualmente in questa stessa Natura una dimensione dell’uomo, in cui l’identità è chiamata a farsi avanti, e a recitare scene che presuppongono che il “chi” sia fortemente coinvolto con tutte le antenne dei sensi del divenire accese.
Non necessariamente il chi protagonista implica che il “chi” si senta importante e che utilizzi la vita ai propri scopi. Può essere ma può non essere così. Non è un assioma.
E il fatto che il chi si senta importante o meno fa anche poca differenza nella Natura delle cose.
Può fare differenza per la Vita del singolo individuo che vive onnipotenza o frustrazione ma nel disegno complessivo nulla cambia.
Sento questo e lo vedo nel mio quotidiano.