Mettiamo a disposizione di chi ci segue questa raccolta di materiale frutto di alcune discussioni in una chat interna del Sentiero. Il Pdf per la stampa.
La realtà non è una che Diviene, ma una che È. L’essere umano consapevole e risvegliato comprende la simultaneità di Essere e Divenire e ne vive il paradosso. In ‘superficie’ vediamo il Divenire, in ‘profondità’ sentiamo l’Essere.
Vita dopo vita, esperienza dopo esperienza, il nostro Sentire si amplia e comprende sempre di più la Realtà; è questo movimento verso una maggiore comprensione che ci fa vivere l’illusione di una realtà che diviene. Quando invece contempliamo, prendiamo atto di ciò che È, viviamo l’Essere dove il movimento non esiste, dove i fatti sono solo fatti senza concatenamento, senza relazione di causa-effetto.
Nel tentare di semplificare questo approccio e renderlo fruibile alle nostre menti, possiamo immaginare di essere davanti a una persona con i sensi fisici che ci mandano dei dati, li registriamo: questo è quello che appare.
Allo stesso tempo, simultaneamente, quella persona la sentiamo; per esempio sentiamo se è onesta con noi, se ci possiamo fidare.
Questi due monitoraggi avvengono simultaneamente, mentre parliamo accade di sentire se possiamo fidarci oppure no. Questa è la percezione simultanea di diversi piani di esistenza.
Se siamo attenti e consapevoli, presenti alla vita che accade, quantità di dati parlano del Reale e impressionano il nostro interiore come la luce una pellicola fotografica.
Tutti questi dati affluiscono simultaneamente e vengono smistati a livelli di consapevolezza e di comprensione differente.
Alcuni dati vengono letti in sequenza, come processi, e vanno negli archivi del divenire; altri dati sono contemplati e vanno nell’archivio dell’Essere.
Per comprendere quanto detto fino a ora, è necessario aver ‘costruito’, nella propria consapevolezza, uno spazio differenziato per questi dati, è necessario ammettere e riconoscere che la realtà È e diviene.
Se ammetto che la realtà È e Diviene, allora lo smistamento dei dati è veloce: questo è come appare, questo come È.
In alcune persone questa percezione simultanea è amplificata e allora può succedere che quando qualcuno vi parla, vi inondi di dati, vi sommerga di sensazioni profonde; può capitarvi di sentirvi inebriati di input ed emozioni, sensazioni, stati sconosciuti che sempre impattano e creano scuotimento.
Può succedere che tutto questo arrivi in un susseguirsi di istanti e l’attimo dopo svanisca. Può succedere che percepiate l’impermanenza delle parole nelle relazioni, dei pensieri, delle emozioni e dei fatti che, in un susseguirsi di istanti, vi sconvolgono e l’attimo dopo non esistono più, svanendo.
L’essere parte di un organismo come quello del Sentiero, al livello che nel Sentiero coltiviamo, catapulta tutti sul piano in cui si origina la realtà: questo, istantaneamente, in coloro che sono pronti, attiva una relativizzazione delle problematiche più dense, ampliando il respiro, conferendo orizzonte e leggerezza.
Ecco che l’opera comune, l’immersione in questa vibrazione, agisce positivamente anche sulle questioni più pratiche.
Quali sono gli strumenti in nostro possesso per vivere la Realtà? Quali sono i dati che registriamo quando siamo consapevoli?
Quale mente, quale intenzione sono necessari per inchinarsi di fronte a ciò che viene, al Vivente che bussa e non si premura di onorarci o di smentirci?
La mente è’ un ostacolo, ma anche una porta, di lì deve passare il Vivente…
La mente è un ostacolo finché decide lei dove andare, finché non riusciamo a usarla come strumento. Come riusciremmo a leggere ciò che ci accade se non avessimo uno strumento come questo? Lo stesso sentire si serve della mente per generare pensieri.
Quale intenzione
L’intenzione che coltiviamo è quella del ferro reso incandescente dalla fornace della vita e forgiato sotto i colpi del martello delle esperienze. Colpi a volte come carezze, altre volte così pesanti da spezzare le ossa.
In noi abbiamo maturato comprensioni tali che ci permettono di guardare a questa azione di forgiatura con sguardo chiaro, senza tremori, senza fughe, probabilmente con delle resistenze, ma senza che queste divengano opposizione.
Il fatto stesso che siamo qui a discutere di questo, che possiamo considerare la carezza e il ceffone come due fatti, che stiamo imparando a declinare la neutralità, è una grande cosa che vi prego di interpretare e valorizzare adeguatamente.
Nessuno di noi sa come domani reagirà di fronte al ceffone della Vita, e non bisogna raccontarsi storie, né coltivare illusioni: sarà molto dura. Ma sarà tanto più gestibile quanto saremo sorretti dalle comprensioni adeguate.
Avreste potuto fuggire, ma non lo avete fatto. Questo significa solo una cosa: che il vostro sentire sta armeggiando con queste comprensioni. Se così non fosse sareste fuggite/i.
Ma se questo è vero, allora vi invito ad abbandonare ogni residua resistenza, a buttarvi a capofitto in questa logica che non discrimina tra bene e male, buono e cattivo, piacevole e spiacevole.
Se vi sembra di avere in mano una chiave d’accesso, allora con quella cercate di aprire le porte della vita, senza esitazione: vedrete che queste comprensioni non vi tradiranno, vi sosterranno, vi illumineranno di senso il procedere, anche quello più duro.
Quale mente
Non c’è intenzione che possa divenire fatto se non passando attraverso l’organismo che chiamiamo mente: a seconda di come la mente è strutturata, di come è evoluta nella sua dimensione più pratica e concreta, e in quella più astratta e creativa, l’intenzione sarà decodificata in modo più coerente (per i dati in discesa) e l’esperienza sarà interpretata nella maniera più efficace (per i dati in salita).
La mente va coltivata come si coltiva il proprio giardino, decidendo quali erbe possano colonizzarla e quali vadano estirpate. Bisogna fare in modo che, come in un giardino, vi sia il giusto grado di luce e di ombra, di umidità, di presenza di specie vegetali, animali e umane.
La mente è un ecosistema, se generi squilibrio essa interpreterà le intenzioni e le esperienze su quel registro; se la mente è armoniosa elaborerà i dati di conseguenza.
La mente non è la nostra carnefice, ma il frutto del compreso e del non compreso, di ciò che abbiamo allevato e di ciò che abbiamo soffocato: troppo comodo dichiararsi vittime della propria mente.
In sé lo strumento è quello che è: divide, seziona, analizza, contrappone, deduce, connette secondo logiche, cataloga, parametra.
Se usi un coltello non è come se usassi un piumino: non usi il piumino per tagliare il formaggio e il coltello per pulire la polvere. Come stai usando lo strumento mente?
Se lo usi male con chi te la prendi, se non lo conosci, se non lo curi, se non lo allevi, se non lo educhi, se non lo disciplini, di chi è la responsabilità?
La mente va conosciuta, non meno di quanto il corpo fisico vada conosciuto, o di quanto si debba conoscere il corpo astrale.
Nessuno ci educa a questi tipi di conoscenze che invece dovrebbero essere al centro della formazione degli individui:
– conoscere ed educare il pensiero concreto e il pensiero astratto;
– conoscere ed educare le emozioni e i sentimenti;
– conoscere ed educare il corpo fisico, la sua alimentazione, ecc.
LA MENTE RAPPRESENTA UN PROBLEMA PERCHE’ L’UMANO NON SA USARLA NÈ GOVERNARLA
La mente funziona sulla base di alcuni paradigmi e di alcuni archetipi che la strutturano e la orientano. La mente è l’hardware, i paradigmi il software.
Quale software gira nella mia mente?
Quello che apprendo dalla nascita, quello basato sulla dualità vittima-carnefice.
Oggi, al mio stadio evolutivo, è il paradigma adatto a me?
O debbo cambiare paradigma?
E qual è il paradigma che più mi corrisponde?
LA MENTE FUNZIONALE
Se ho trovato il paradigma adatto a me, allora debbo padroneggiarlo fino in fondo, non debbo coltivare la superficialità né l’approssimazione. Il software del mio PC deve essere efficace, veloce, aggiornato, non si deve inceppare a ogni battuta.
- Osservate quanto siamo approssimativi a volte nella conoscenza di alcuni principi di base che governano le nostre vite.
- Se la mia mente non è adeguata alle comprensioni che sto acquisendo, quanto faticherò di più?
- Ma se è adeguata e sufficientemente disciplinata, quanto mi si spianerà la strada?
SENTIRE E MENTE SONO UNO
Per esigenza didattica separiamo sentire-mente-emozione-corpo. Siamo uno: il sentire subisce una serie di decodifiche fino a divenire azione. L’azione subisce decodifiche fino a divenire sentire.
Sentire evoluto crea mente evoluta, astrale evoluto, fisico adeguato: l’insieme deve avere una sua ecologia, ogni piano deve avere una sua ecologia.
Coltiviamo l’insieme con questi discorsi, con lo zazen, con una consapevolezza unitaria.
Coltiviamo l’ecologia di ogni piano con strategie e pratiche adeguate: nulla trascuriamo, di ogni aspetto ci prendiamo cura, come il tenzo di ogni chicco di riso.
Flash di disconnessione
Immagino vi troviate un po’ in difficoltà col tema dei flash di disconnessione…
Il tema è di assoluta importanza, dunque dovremo trovare il verso per prenderlo, la stessa difficoltà nell’affrontarlo ci dice quanto sia pervasiva l’azione dell’identità che presume di controllare l’intero spettro del nostro sperimentare.
- Avete padronanza di ogni pensiero, di ogni emozione, di ogni azione che sorge durante le vostre giornate?
- Non vi sorgono mai pensieri che vi sorprendono per la loro natura, perché frutto di un’intuizione, o di quello che chiameremmo un istinto?
- Pensieri ‘alti’, ispirati; pensieri ‘bassi’ istintuali: avete la gestione totale su quello che sorge alla vostra consapevolezza mentale?
- Non vi capita di dire, o di scrivere cose che poi vi meravigliano e non potete credere di averle dette o scritte voi?
- Non avete mai moti affettivi che non capite bene da dove vengano?
- Momenti in cui una commozione vi coglie, una compassione vi sovrasta, una sensazione vi invade?
- Non avete mai moti di attrazione o di repulsione che vi attraversano nitidi per istanti senza tempo?
- E tutte le vostre azioni sono frutto di ponderazione?
- Non ve ne sono alcune che non sono né automatismi, né conseguenza di bisogni?
- Ad esempio, momenti in cui camminate e vi sembra di essere il camminare?
- State seduti, e siete pervasi di silenzio?
- Guidate per chilometri e alla fine non sapete chi ha guidato?
- Compiere delle scelte d’istinto, come se la scelta si fosse imposta da sola?
Non tutto ciò che accade ha una causa, né tutto ciò che viviamo produce un effetto, questa è una logica del divenire, ma non dell’Essere, non dell’esperienza contemplativa.
Non ragionate su questo, non è pane per le menti, sentitelo nella sua assurdità, nel suo paradosso, nel suo mettere in scacco ogni pretesa di controllare e gestire tutto.
Per arrivare a questo
C’è semplice presenza, estesa ricettività ma assenza di volontà soggettiva.
Ascolto, presenza, disconnessione da qualsivoglia finalità finché non irrompe l’urgenza del gesto: fai quello, porta le mani di qui o di là, fai mettere il paziente così o così.
Disconnessione dalla sequenzialità soggettiva dell’identità, affiorare del gratuito.
La chiamiamo intuizione o come ci pare, non è importante, è qualcosa che non è riconducibile al nostro piccolo essere, questo conta.
Rompe lo schema del controllo, del dominio, del ‘sono io!’
Rompe lo schema del divenire imperante e apre all’Essere, all’esperienza contemplativa che non diviene, che È.
Un esempio che vi può chiarire quello di cui discutiamo. Camminate in campagna e vi colpisce il giallo di una verga d’oro.
- La mente dice: “Bello!, è il fiore della verga d’oro”.
- Il disconnesso afferma: “Quel giallo ha impattato con forza!”
Nel primo caso, l’identità gestisce l’intero processo; nel secondo caso, nel vuoto di sé, c’è l’impatto potente del colore sui sensi, impatto che viene registrato dai corpi interessati.
La persona evoluta e consapevole vede i processi, si interroga sulle loro cause ed effetti e, simultaneamente, sente che ogni cosa è perfetta e non è necessario porsi alcun ‘perché’.
Alla luce di questo sguardo profondo, il suo cuore è attraversato dalla leggerezza del gioco.
Questo, quando accade, non è uno stato permanente, ma, come tutto nel divenire, ritmico.
Questo significa andare nel mondo lasciando spazio all’emergere del ‘sentire’ in primo piano, in cui tutti i corpi, coordinati dal sentire stesso, partecipano, a diverso titolo, alla decodifica del divenire.
Ecco cosa si intende per lettura unitaria del reale: l’emergere, consapevolmente e in primo piano, del sentire e dell’equilibrio tra i diversi corpi.
Ecco che la realtà è ‘sentita’ non tanto ‘pensata’, o percepita affettivamente.
Ciò che ne consegue è che “sentire” la realtà significa sentirla, innanzitutto, vibrazionalmente.
Infine, vivere lasciandosi guidare dal sentire, implica una grande capacità d’ascolto.
È evidente che la centralità di sé, l’ingombro di sé sono ciò che più ottunde rispetto a tale ascolto.
È evidente, d’altra parte, quanto questa possibilità di sentire la realtà vibrazionalmente sia ‘fragile’, ‘precario’, e dunque vada custodito.
Ecco la necessità della “cella esistenziale“, nella quale noi manteniamo vivo il fuoco del sentire e rinnoviamo l’ascolto della nota/vibrazione di fondo che si chiama sentire.
Tutto è vibrazione: una lettura è vibrazione, scrivere è vibrazione, la meditazione genera ascolto della vibrazione di fondo, coltivare determinate relazioni è vibrazione che rinnova la nostra disposizione, coltivare la solitudine, infine, produce quello spazio necessario, quella dimenticanza di sé, quel vuoto che segue a un pieno fatto di cose da fare, di relazioni da intrattenere.
Questo edifica, giorno dopo giorno, la nostra cella esistenziale che altro non è che un ecosistema vibrazionale.
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Per rimanere aggiornati su:
Il Sentiero contemplativo, Cerchio Ifior
Grazie per questo resoconto che trasuda di lavoro e di collaborazione.
Mi ha colpito l’affermazione che la mente va coltivata che occorre “estirpare” certe erbe non desiderate.
A tale proposito mi viene in mente la parabola della zizzania: Matteo 13,24-30.
24 Egli propose loro un’altra parabola dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo, che seminò buon seme nel suo campo. 25 Ma, mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e seminò della zizzania in mezzo al grano, e se ne andò. 26 Quando poi il grano germogliò e mise frutto, apparve anche la zizzania. 27 E i servi del padrone di casa vennero a lui e gli dissero: “Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Come mai, dunque, c’è della zizzania?”. 28 Ed egli disse loro: “Un nemico ha fatto questo”. Allora i servi gli dissero: “Vuoi dunque che andiamo e la estirpiamo?”. 29 Ma egli disse: “No, per timore che estirpando la zizzania, non sradichiate insieme ad essa anche il grano. 30 Lasciate che crescano entrambi insieme fino alla mietitura; e al tempo della mietitura io dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano, invece, riponetelo nel mio granaio”».
Mi sembra che il nostro lavoro (anche la seduta in zazen) sia anche questo o, per lo meno, questo è ciò che sto cercando di fare: osservare grano e zizzania, ascoltare ed osservare tutto ciò che c’è, senza identificarci né nel grano, né nella zizzania. Il tempo della mietitura arriverà, ma non sappiamo quando.