Le basi della Via della conoscenza. Quando l’uomo arriva al punto nel quale si consegna alla Coscienza, non ha senso parlare di volontà o di sforzo, ma tutto avviene, tutto accade. Il suo sforzo c’è stato, ma ora lui ha bisogno di togliersi l’idea di essere protagonista o attore o colui che è causa della propria trasformazione.
Nel momento in cui egli toglie da sé questa idea, ciò che si sviluppa e che matura in lui è tutta un’altra visione. Egli non dice più a se stesso: “Io sono l’autore, io devo operare, io devo darmi da fare, io devo impegnarmi“, ma dice soltanto: “Eccomi, io sono soltanto un puro moto della Coscienza“.
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Quando questo accade, allora la volontà di questo individuo potrà anche apparire agli altri uomini, ma non sarà la sua volontà o il suo agire determinato da una specifica volontà, ma sarà soltanto un moto della Coscienza.
Questo però vi ripropone un interrogativo che ha a che fare con il vostro quotidiano molto concreto, e cioè se serve o non serve impegnarsi e sforzarsi per voler essere diversi.
Quando l’uomo rinuncia a essere protagonista, quando l’uomo si consegna alla Coscienza e quando decide veramente di morire a se stesso, il senso della vita scompare, perché il senso della vostra vita è quello che appartiene distintamente a ciascuno di voi e ciascuno di voi dà alla vita un proprio senso.
Ciascuno di voi imposta la propria vita nel tentativo di darle un proprio significato e quindi la vita viene piegata da ciascuno di voi per renderla in qualche maniera accettabile da parte vostra. Ma questo è rinunciare a guardare alla vita come sacralità che non v’appartiene, perché la vita, nella sua sacralità, implica la morte del protagonismo di ciascuno di voi e il consegnarsi e il piegarsi a questa sacralità.
Più perdi desideri, interessi e motivazioni più perdi il tuo protagonismo. Allora affidarsi alla coscienza è ciò che non ti fa perdere l’ancoraggio all’Essere e alla vita che accade
Consapevolezza fondamentale, per cui sono di preparazione vite e vite. Quando sorge inizia un altro lavoro: lavoro che richiede nuove sensibilità da sviluppare e mettere in campo.
Una lettura che sul piano empirico ci può stare; ho sperimentato qualcosa del genere, in modi e tempi limitati ma l’ho fatto.
Sul piano concettuale continua invece la fatica a comprendere il discorso. Il protagonismo e lo sforzo che vengono a cessare, a chi appartenevano se non alla coscienza stessa?
Fatico a pensare che appartenessero ai corpi inferiori e se li attribuisco all’io non faccio altro che, di fatto, attribuirli alla coscienza, dato che l’io non esiste di per sé stesso.
Per questa ragione quel diventare un moto della coscienza, esisteva anche prima, ovvero quando l’individuo si riteneva protagonista e si sforzava.
Sul piano concettuale pertanto mi risuona tutto privo di significato; un cortocircuito.
Resto in attesa che comprensioni più ampie si facciano strada, si sedimentino e, nell’assemblea questo atteggiamento, mi accorgo che attuo quanto suggerito dal post: non mi sforzo eccessivamente ma lascio che le comprensioni avvengano.
Le attendo.
Il senso della vita scompare
Arriva la consapevolezza del non senso, o meglio del non senso nello stato incarnativo in cui ci si trova. Si lascia andare anche questa pretesa nell’atto di affidarsi a quel flusso da cui senti di essere spinto e del quale senti essere parte.
Osservo come le spinte dell’io sono più forti quando la mente prende a blaterare, allora tutto sembra più difficile e l’identità si difende con reazioni che non aiutano a fronteggiare le situazioni.
Sto cercando di comprendere se in questo momento la vita mi suggerisce di allentare il mio controllo su questioni importanti, dove la mia idea di protagonismo ormai non è più utile come lo è stata quando ancora non avevo un nuovo modo di interpretare la mia vita.
L’identità è dura a morire. Osservo la pretesa, il protagonismo, l’apprpriazione indebita del merito.
Osservo e lascio cadere, sovente con un sorriso.
Nella fiducia che non la mia, ma la Sua volontà possa compiere.