Le basi della Via della conoscenza. Oggi mi inoltrerò sul un terreno complesso e arduo per le vostre menti, che parla del Divino che irrompe. Però questa immagine può essere equivocata da voi, che potreste poi trasformare ogni vostra futura crisi in un Divino che irrompe.
Magari, ogni volta che non vi sentite più di percorrere il sentiero evolutivo perché non ne riscontrate più una vostra riuscita, rischiate di dire che è il Divino che irrompe.
Invece il Divino che irrompe è qualcosa di molto sostanziale, di molto profondo e carico di conseguenze, ma non è possibile stabilire le coordinate attraverso le quali poter interpretare correttamente quando il Divino irrompe. La mente umana vorrebbe potersi appropriare di tutti quegli aspetti che definiscono una situazione in modo preciso, e invece c’è sempre il rischio di scambiare una crisi momentanea della vostra mente per l’irruzione del Divino.
“L’irrompere silenzioso”
Quando il Divino irrompe, lo fa silenziosamente e non sussurra all’orecchio che Lui è il Divino. Il Divino irrompe con passo silenzioso – solo raramente interviene pesantemente – perché il silenzio fa sì che la vostra mente continui a blaterare anche dentro l’esperienza nella quale Egli vi pone.
Un uomo che dubita delle proprie mete ha attraversato prima tutta una serie di fasi nelle quali la sua mente, e quindi la sua disponibilità, si è aperta, nelle quali ha cercato di purificare la sua concettualizzazione del Divino, nelle quali ha cercato di comportarsi in modo coerente con queste concettualizzazioni, nelle quali ha cercato di osservarsi senza giudicare e senza giudicarsi, o condannarsi, purtuttavia attento a ciò che succede dentro di lui.
Quindi è un uomo che ha fatto un percorso e che continua a osservarsi sapendo che l’osservazione è lo strumento centrale che ha l’uomo per superare le concettualizzazioni che mano a mano egli stesso si procura. È un uomo che ha imparato ad amare sempre di più, perché ha imparato piano piano ad accettare di essere sia amore che non-amore, ora l’una e ora l’altra cosa e poi contemporaneamente, ha accettato il proprio fluire, non sempre, ma almeno per qualche aspetto, pur avendo ben presente che la questione evolutiva è il proprio fluire.
È dunque un uomo che è arrivato a percepire come importante per lui, non l’arroccarsi dentro posizioni, non giustificare se stesso, non condannare gli altri, ma aprirsi all’onda della vita che trasforma, al di là di ciò a cui uno si prepara e al di là di ciò che ognuno vuole.
“Sono pronto, fa di me ciò che vuoi”
Egli ha appreso che, nel percorso che sta facendo, di quando in quando non si sente più padrone, perché già altre volte gli è accaduto di ritrovarsi in balia di qualcosa che non sapeva bene spiegarsi e che non è la propria emotività, che non è la propria irrazionalità, ma che è soprattutto qualcosa che lo spinge a chinare la testa e a dire: “Sono pronto, fa di me ciò che vuoi”.
Quindi ha anche sperimentato il fatto che la vita – o l’Assoluto o il Divino – ha già potuto irrompere dentro quella fase che lui stava vivendo, facendogli chinare la testa. Purtuttavia, durante tutto quel tragitto, egli ha conservato l’idea che tutto ciò che faceva, che pensava e che sentiva doveva essere sempre più diretto e orientato verso una specifica meta, che per esempio poteva essere quella di lasciarsi andare sempre più al flusso della vita, e così egli ha sperimentato mete sempre più raffinate con un parametro preciso che è quello di lasciarsi andare al Divino.
Quindi quell’uomo incomincia a lasciare che il proprio concetto di meta venga insidiato e successivamente lui inizia a chiedersi perché abbia voluto così tanto impegnarsi o perché abbia desiderato così tanto vincere quella partita. Quindi si lascerà trasportare, poi plasmare e soprattutto consumare dal tormento di non poter più coltivare l’idea di una meta, comprendendo che ogni volta che agisce pone se stesso nell’agire.
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Ma quando un uomo arriva fino al punto di lasciarsi sia tormentare che contemporaneamente avvincere, accade che il Divino si presenta nella sua vita, entrando silenziosamente e alimentando quel tormento che era prima balenato dentro di lui. E il Divino soffia su quel tormento che quell’essere sta vivendo nello sperimentare l’inadeguatezza della propria azione e di tutto ciò che prima lo gratificava, compreso il proprio pensiero, e scalzando in quell’essere l’idea che la sua azione sia necessaria o addirittura indispensabile per arrivare all’illuminazione – anch’essa messa in crisi in quel deserto interiore – o comunque utile a fargli ottenere ciò che desidera.
E a quel punto in lui entra in crisi anche il desiderare, perché, se l’azione non può fargli raggiungere ciò che desidera, a che serve il desiderio? Ma quella crisi sarà un ulteriore terreno offerto al Divino per portarlo allo scacco, e difatti quell’individuo si ritroverà a vivere dentro l’insufficienza della propria azione e di ogni possibile sforzo e anche dentro l’esperienza di non potere più nulla riguardo alla propria santificazione, o anche illuminazione.
Questa è l’esperienza del deserto interiore in cui voi non potete nulla, eppure agite: se per esempio un tempo meditavate, non riuscirete a non farlo, magari ribellandovi in certi momenti o magari desiderando di scrollarvelo di dosso, pur non potendo non farlo.
Ed è in questo che voi vivrete il dramma del vostro passato agire sempre in nome di una meta, poiché a quel punto vi accorgerete che dentro quell’esperienza di deserto non otterrete più la soddisfazione che ottenevate prima, pur continuando a fare ciò che facevate prima.
Ma, se le vostre azioni non servono a niente e se neanche il vostro sforzo serve a qualcosa, allora – urlerà la vostra mente – chi è il Divino?
Ma non riuscirete a darvi nessuna risposta e il Divino soffierà di nuovo su questo nuovo interrogativo e l’alimenterà, portandovi, attraverso la vostra domanda senza alcuna risposta, a un ulteriore dilemma: se il Divino non vi è accanto in quel tormento, allora non c’è, e quindi gli altri chi sono?
“Gli altri sono il divino che parla”
Chi sono quegli altri ai quali offrite ancora qualcosa perché non potete non farlo, quegli altri che vi sono stati accanto in quel percorso di cui ora non trovate più il senso, o quegli altri che prima consideravate diversi e che forse adesso non sono così lontani da voi, magari perché ora siete più vicini a loro? In quel deserto interiore scoprirete che gli altri sono il Divino che parla.
E non importa come loro parlano: sono sempre il Divino che parla; non importa ciò che dicono: sono sempre il Divino che parla; non importa come si rapportano: sono sempre il Divino che parla. Ed è in quegli altri che parla il Divino, non nelle vostre costruzioni concettuali, ma solo lì, indifferentemente da ciò che gli altri dicono, da come lo dicono, da come si comportano o da come si rapportano. Lì c’è il Divino e lì parla, spogliato da tutto ciò che voi avete costruito sopra il concetto o sopra la vostra esperienza del Divino.
Partecipante: Allora anche ogni atto che faccio io è espressione del Divino.
No, in quel momento tu non ti riconosci come espressione del Divino, perché prima devi riconoscere che gli altri sono il Divino. Questa è la drammaticità dell’esperienza del deserto. Non hai il coraggio di riconoscerti divina guardando alla miseria di ciò che sei e di ciò che stai sperimentando, e comunque provi l’esperienza che, proprio in quell’annullamento, non ti puoi più diversificare dagli altri, chiunque essi siano.
E come parla il Divino attraverso gli altri? Non parla attraverso le differenze, né attraverso i confronti e neanche attraverso le vostre continue e sottili distinzioni. No, Lui parla in un unico modo, e cioè che tutti sono il Divino, indipendentemente dal modo con cui parlano. Perciò, soltanto quando vi accorgerete dentro il deserto che gli altri, così come sono, sono il Divino, saprete cogliere la profondità dell’esperienza del Divino.
In quell’altro in cui il Divino parla vedo il superamento di molti archetipi transitori. Grazie
Riconoscere che gli altri sono il divino. Negli altri si riconosce il divino. Grazie Soggetto