La disconnessione che viviamo senza riconoscerla [scomparire6]

La connessione, nella via interiore, assume per voi il significato di ricerca di una meta di armonia e di coerenza, mentre la disconnessione vi parla di un cosiddetto pericoloso disarticolare: se un pensiero va da una parte, l’emozione da un’altra e l’azione da un’altra ancora, non potete più parlare di armonia e di coerenza fra le vostre componenti, vale a dire di un “io agente” unitario, La disconnessione per voi è disarmonia.

La connessione presuppone varie parti intrecciate secondo una logica che definite razionale e che parla di una certa qual armonia fra le diverse parti che compongono il vostro “io”. Mentre la disconnessione vi parla di disarticolazione, che corrisponde alla vostra etichetta di “disarmonia”. Non potete vederla come armonia, in quanto è per definizione la negazione della possibilità di connettere insieme le diverse parti di voi per formare un “io” unitario.

Per capire il processo dello scomparire dell’agente, è necessario partire dalla profonda e nascosta disarticolazione – cioè disconnessione – in cui vivete, e riconoscere che voi siete interiormente disconnessi nei molteplici aspetti che vi caratterizzano.

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Provate a pensare a quello che vi dite di qualcuno che, a volte, nel corso del tempo, presenta aspetti contraddittori. Vi dite che comunque è lui, non perché esista una reale connessione, ma perché leggete una costanza nel modo con cui presenta questi vari aspetti, e non solo per la sua fisicità. La connessione la costruite sul fatto che i vari aspetti li attribuite sempre a lui, dato che non ha senso per voi che possano esistere tanti aspetti disconnessi senza una logica che li riunisca. E quindi automaticamente lo escludete, e vedete quel che volete vedere.

Questo dipende dal fatto che vi identificate in una struttura mentale che è creatrice di un presupposto, divenuto concetto, che dice: “L’identità è data da un principio di coerenza di quello che l’altro incarna dal punto di vista fisico e di come si percepisce e si proclama come “io”. Anche se l’altro, inconsapevolmente disconnesso, non può che dire: “Questo sono io”.

Tutti i passaggi che faremo sul processo del scomparire dell’agente non li potrete comprendere, se escluderete la premessa della disconnessione attraverso cui guardare voi stessi e il quotidiano intorno a voi.

Un partecipante: Ma ci potete portare un esempio della nostra disconnessione quotidiana?

Una voce: La disconnessione è già in voi e intorno a voi, ma non la riconoscete. Eppure, vi accorgete che molte volte pensate a qualcosa, mentre state facendo altro; poi arriva una sollecitazione e già siete altrove col pensiero e lontani con l’attenzione da quello che state continuando a fare. Ad esempio, state riordinando casa e contemporaneamente pensando a quel che cucinerete per la cena; improvvisamente, guardando un oggetto o ascoltando una musica, bussa un ricordo del passato e subito vi ritrovate a rovistare dentro i ricordi, magari avendo un’emozione di tristezza mentre state facendo qualcosa che in quel momento è piacevole.

Questo non è essere interiormente connessi; non si tratta certo della coerenza fra pensieri, emozioni e azioni a cui ambite, perché ognuno va per conto proprio. Ma voi non la percepite come disconnessione, perché la attribuite a voi: “Mi appartiene, è fuori discussione!”. È vostro il passato, è vostra l’incoerenza che a volte notate, è vostra l’esperienza nel presente; tutto è vostro.

Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo

Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
Per ogni informazione e chiarimento: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com

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Samuele Deias

Certo, qui disconnessione non è inteso come disidentificazione; si sta parlando di altro. Non è insolito però neppure essere connessi: la mente ha un pensiero piacevole, es. di mangiare un gelato, sorge un’emozione piacevole a cui può ben seguire l’azione corporea di acquistare il gelato e gustarselo. Sappiamo anzi quanto siano forti le relazioni tra i nostri corpi personali (specifico per non essere frainteso da eventuali neofiti), tanto che conosciamo bene gli psicosomatismi. Psiche e corpo fisico collegati strettamente; l’uno capace di influire vicendevolmente sull’altro. Poi Luigi diceva che siamo uno, nessuno e centomila, forse lambendo il concetto della disconnessione qui riportato.

Leonardo

La disconnessione come stato ontologico-esistenziale, ovvero la frattura che si dà nella continuità del racconto della mente

Catia Belacchi

Capisco cosa dice “Una voce” quando afferma che comunque noi siamo disconnessi e non ce ne accorgiamo, ma la disconnessione che intende la VdC è una pratica cosciente, che ci permettere di guardare agli accadimenti senza che ci sia un agente che interpreta e connette.

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